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mercoledì 14 marzo 2018

N. PARDINI LEGGE: "T. S. ELIOT..." DI DANIELA QUIETI



Daniela Quieti




T. S. ELIOT
LA TRAVOLGENTE DOMANDA
CENT’ANNI DI PRUFROCK
IBISKOS ULIVIERI. EMPOLI. 2015. Pgg. 100











PUBBLICATA SULLA RIVISTA LETTERARIA
BACHERONTIUS ANNO XLIX N° 1 - 2018
ALLA Pp. 41



Scrivere su questa complessa opera di Daniela Quieti significa andare a fondo del patrimonio culturale di una scrittrice poliedrica, di proteiforme valenza: poetessa, saggista, narratrice, collaboratrice infaticabile di cultura, qualunque sia il campo … Una personalità di spicco nel panorama letterario odierno. Ho avuto la fortuna di leggere alcune sue opere ed ho apprezzato fin da subito la grande sintonia fra anima, pensiero e parola. Sì, c’è questa sintonia nel suo linguaggio: la plasticità di un verbo che corre con grande fluidità per stare in armonia con gli abbrivi emotivi o con gli approfondimenti intellettivi che la completano. Ed è così che chi la legge prova una sana invidia, dacché non è per niente facile incontrare tale equilibrio fra dire e sentire in questo mondo infarcito di una dovizia di libri tale da essere destinata il più delle volte al macero. Tanto che la sua scrittura si fa morbida e apodittica; invitante e semplice; acuta e paratattica; va incontro al lettore per offrirgli i concetti più astrusi in un vassoio d’argento senza troppi ricami; va al sodo, come di solito si dice; e lo fa con una tale disinvoltura da farci sembrare romanzo, avvincente e coinvolgente, anche la narrazione saggistica. E si sa che non è certamente semplice avventurarsi in una ricognizione esegetica su un tale talento quale T. S. Eliot; dacché è inevitabile spaziare in parallelismi interdisciplinari; toccare ambiti letterari, filosofici o poilitico-sociali se si vuole ben inquadrare “uno dei migliori autori del ventesimo secolo a livello internazionale” (pg. 45):  le sue ispirazioni, i suoi contatti, gli ambienti che l’hanno formato, i periodi storici, l’idealismo filosofico di Josiah Royce, il pragmatismo di William James, il nuovo umanesimo di Irving Babbitt, i dubbi esistenziali già evidenti in The Love Song of J. Alfred Prufrock; la formazione, il classicismo postsimbolista  che Mario Praz rettifica avvertendo (nel saggio 
Due maestri dei moderni, J  Joice e T. S. Eliot del 1967) che il “poeta  antepone al simbolismo inteso in senso individuale, arbitrario, dei moderni, ove la suggestione sfuma e si perde nella musica verbale (tipo Mallarmé), il simbolismo dantesco, di carattere universale spersonalizzato” e connotando acutamente che “la vera originalità non consiste per Eliot in un’eccentricità, sia pur geniale d’ispirazione (esempio William Blake), ma nel dare espressione suprema ad un’esperienza di carattere universale”; la poetica; il legame indissolubile della poesia con la poetica, guida intellettuale dei poeti e cosciente interprete dei loro sentimenti; la comparazione letteraria per cui richiamare il finale del cimitero marino di Valéry  come slancio necessario a esistere (Il vento si leva… Bisogna tentare di vivere! Il mio libro  apre e richiude/ l’aria immensa, da rupi/ audace l’onda in polverìo zampilla./ Pagine impallidite, / volate via! Con onde/ allegre irrompi, flutto:/ questo tetto tranquillo/ che predavano i fiocchi, rompi, inonda!”), significa confutare sia la tragicità del Battello ebro di Rimbaud che s’inabissa nel mare con “la chiglia spezzata”, che quella del noto passo dei Quattro Quartetti di Eliot: “Qui non c’è acqua ma solo roccia/ Roccia e niente acqua e la strada sabbiosa/ La strada che serpeggia in alto fra le montagne/ che sono montagne di roccia senz’acqua./ Se ci fosse acqua ci fermeremmo a bere”, dove l’asprezza della roccia acuisce  la sete e ravviva l’impulso a cercare l’acqua nel viandante, che sente vicina la sorgente pur non riuscendo a scorgerla (Sandro Guarneri: Poesia e Poetica. 1996).  Il saggio di Daniela composto di cinque capitoli, si profila, quindi, come una interessante e approfondita dissertazione su un autore di cui tanto si dice e si è detto, ma forse mai si è scritto con tale acutezza e personalità critico-cognitiva; questi i sottotitoli: Eliot e l’età moderna; Scenario storico e culturale; Dante, Virgilio e la classicità in Eliot; Prufrock e la travolgente domanda (da cui il titolo); La figlia che piange; Conclusione, uniti da un tema centrale che corrisponde all’intendimento che Eliot ha della poesia. La sua evoluzione, le varie tappe, e soprattutto il rapporto del poeta con l’essere e l’esistere: una proiezione continua verso il tutto, l’oltre, l’olismo; il desiderio di dissetarsi ad una sorgente di cui sentiamo la vicinanza ma che ci sfugge continuamente. D’altronde è proprio dell’uomo ambire a svincolarsi dalla terrenità pur facendone parte in maniera indissolubile. Ma è pur vero che in noi è viva la coscienza della nostra precarietà, della  nostra pochezza se commisurata al dipanarsi infinito di una clessidra che unisce in sé passato presente e futuro. Soffrire di queste pulsioni e trasferirle in un poièin la cui armonia (innata nell’uomo) faccia da legame vincolante, e il cui slancio si muti in correlativo oggettivo, penso sia il focus centrale delle inquietudini esistenziali di Eliot. E per questo mi piace aggiungere al mio scritto alcuni passi del critico che mettono bene in luce, nella Conclusione, la  conflittualità che anima il percorso poetico e umano di Eliot: “… Nella sua infanzia Eliot contemplava l’Atlantico e sapeva cosa significasse affrontare uno sconfinato orizzonte, in cui scoprire nuovi ormeggi ma anche rischiare un naufragio…”;  “… Eliot incastra trasposizioni letterarie, scissioni, e antinomie nell’insieme della versificazione alternando intensi passaggi emotivi con un ritmo ondeggiante, essenziale e melodico, in una originale stratificazione di linguaggio alto e basso…”; “Il percorso che avrebbe portato Eliot alla conversione non fu facile, e la sua iniziale produzione poetica ne testimonia il conflitto interiore proteso al raggiungimento di una dimensione critica e razionale…”; “…  Il monologante Prufrok, nel descrivere il senso di squallore quotidiano che pervade le sue divaganti osservazioni, rappresenta il manifesto di una nuova poesia che esce da uno schema rigido, per affermare i pensieri e le ansie effettive della coscienza con uno sguardo lucido e penetrante associato a una sottile vena musicale e comica…”.           
E terminare questo mio scritto riportando un’affermazione dello stesso Eliot, come massimo interprete della poesia di tipo analogico-simbolico, culminante nei poemetti La terra desolata, Mercoledi delle ceneri, e I quattro quartetti: “è compito del poeta non quello di trovare nuove emozioni, ma di usare quelle comuni e di esprimere… sentimenti che non si trovano nelle emozioni vere e proprie” significa mettere in luce il fine umorismo inglese che lo caratterizza; ma anche una sua idea fondamentale: quella che il mistero della poesia e dell’universo è impenetrabile anche dalla stessa poetica.      


Nazario Pardini


1 commento:

  1. Grazie, grazie di cuore, carissimo Nazario. Il Tuo autorevole apprezzamento mi gratifica ed emoziona in modo particolare. Rallegramenti vivissimi per il costante e generoso impegno letterario e un caloroso saluto con i migliori auguri di cose belle... Alla volta di Leucade!

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