Sibyl
von der Schulenburg
Per
Cristo e Venezia
note
a margine di Gianna Natale
Roma
Enoteca letteraria
07.04.2018
“Per
Cristo e Venezia” è un romanzo storico, denso. Ricostruisce un
episodio significativo della storia della Serenissima Repubblica di Venezia con
protagonista il feldmaresciallo Johann
Matthias von der Schulenburg, antenato di Sibyl von der Schulenburg autrice del libro, che
nel 1716 difese Venezia dai turchi a Corfù al grido di guerra per Cristo e
Venezia.
Per meglio comprendere le vicende raccontate
nel romanzo, occorre citarne l’antefatto.
Nell’anno
1699 il conflitto fra l’impero Ottomano e la Repubblica di Venezia, si conclude
con la vittoria della Serenissima, che estende il suo dominio anche sulla Morea
(Grecia occidentale). I Turchi, bramano di rimpossessarsi dei territori persi.
Il Senato Veneziano consapevole del pericolo ha il problema di difendere questi
territori con adeguata truppa di terra.
Con l’intensificarsi dei rapporti dei
suoi informatori che danno per imminente la ripresa delle offensive ottomane,
il Senato Veneto ritiene di dover correre ai ripari e chiede aiuto all’
Austria. Al comando delle forze austriache c’è il Principe Eugenio di Savoia,
capitano di ventura che consiglia la Serenissima di affidare il comando delle
sue truppe al barone Sassone Johann Matthias Von Schulenburg, per la grande
esperienza militare e che lui ha avuto modo di apprezzare, sia come amico sia
come avversario, nelle varie contese che hanno impegnato l’Europa negl’ anni precedenti.
Il
romanzo si conclude con la vittoria della Serenissima sui Turchi e con gli onori
tributati al feldmaresciallo di campo Johann Matthias von der Schulenburg, eroe dell’assedio di Corfù.
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Romanzo affollato, mescola sapientemente personaggi realmente esistiti come Eugenio di
Savoia, Leibnitz, il doge Alvise Pisani e personaggi di fantasia come Elena e
Laura Pisani.
Su tutti campeggia Johann Matthias: la sua ingegnosità,
la sua abilità tattica e strategica, la
sua concretezza organizzativa sul versante militare che fa dire di lui, dagli
avversari, non senza provare un sentimento di stizzosa invidia - di ammirazione
infelice -” di fronte alla sua tattica ci si sente indifesi”.
Nell’assedio di Corfù, epicentro del romanzo,
risulterà vittorioso con 5000 uomini contro 30000 nemici in condizioni di
clamorosa inferiorità numerica.
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Genesi
e forma
Il
libro “Per Cristo e Venezia” è liberamente ispirato al best-seller che il padre
di Sibyl, Werner von der Schulenburg, scrittore e diplomatico anti-nazista,
dedicò alla vittoriosa impresa dell’antenato.
Sibyl
riprende l’opera che già suo padre aveva dedicato al tema, mantiene nella
lingua italiana lo stile letterario barocco usato dal padre e ci consegna una
singolare operazione di riscrittura, una traslazione di struggente sforzo
linguistico che si inarca in disinvolta preferenza adattiva.
Avvertiamo il lettore che il
romanzo di cui parliamo questa sera, è un esempio di letteratura lenta,
profonda, solo scritta. Si discosta dalla dominante formale di tanta
letteratura che ci circonda, ovvero, l’ibridazione: una formula estetica che
ipostatizza l’ansia di contaminarsi con linguaggi, nodi, ambiti e spesso
anche supporti diversi come i suoni o le immagini.
La narrazione ignora il confine
fra narrativa e teatro e dalla pagina potrebbe spostarsi sotto le luci della
ribalta senza perdere un briciolo di plausibilità. Il parlato dei suoi
personaggi, il sottotesto dei loro gesti e delle loro fisionomie, regge
singolarmente bene alla prova della lettura ad alta voce.
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Letterarietà della scrittura
E’ d’obbligo osservare, ancora, che
a
fronte del processo in atto di semplificazione linguistica, specie da un punto
di vista sintattico che sacrifica la classicità della nostra lingua e la
impoverisce, “Per Cristo e Venezia” non disdegna una magniloquenza della stessa
a cui siamo disavvezzi ma che mantiene tutta la promessa di dolcezza racchiusa
in lei, di lingua tra le più belle da ascoltare e da leggere.
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Romanzo storico, dunque, che racchiude la coerenza e l’intensità di un
classico; ma il lettore moderno perché dovrebbe leggere “Per
Cristo e Venezia”?
Per
ragioni oggettive innanzi tutto. In un mondo che oggi più che mai tende a
cancellare le memorie, a ignorare il passato e le idee del passato, e che nello
stesso tempo produce fenomeni culturali sempre più effimeri, credo sia salutare
per la nostra dignità umana voltarsi indietro, saper accogliere e ruminare il
passato. Così come è fondamentale mantenere in vita nella nostra mente nella
nostra cultura e nel nostro affetto i nomi e i pensieri di coloro che ci hanno
preceduto.
Per
ragioni che collimano con la soggettività del lettore contemporaneo. Il lettore
contemporaneo non ignora che a dispetto del miracolo tattico militare del feldmaresciallo Johann Matthias, la
Serenissima è votata ad un tramonto inesorabile come conseguenza di inerzia
politica e morale e se, sempre il lettore contemporaneo, volesse esercitare la
comprensione del presente mediante il passato, vedrebbe nella ragioni del
declino della Serenissima la paradigmaticità delle ragioni della decadenza
della società in cui vive, altrettanto fragile, frastornata, priva di
consistenza, all’interno di un più vasto
scenario, sempre più contraddistinto da cedimenti strutturali dell’anima occidentale.
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Osservazioni conclusive
Con Per Cristo e Venezia è guardare al mondo
con una scrittrice appassionata.
Una cartacea navigazione al termine della quale
il mondo che Sibyl ci offre è il nostro mondo di ombre, di luci, di grandi e
piccoli quadri, nei quali si consuma la preziosa e misteriosa avventura della
vita.
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Mi avvio a concludere riandando all’incipit del
romanzo, dal quale cito testualmente.
“Il barone J M Von der Schulenburg, continuò a
graffiare la pergamena con la lunga penna d’oca. Aveva ordinato che nessuno lo
disturbasse. La biografia, alla quale stava lavorando da qualche tempo,
richiedeva la massima concentrazione. La sua mente era a Dresda, alla corte di
Eugenio di Savoia” …
Matthias è dunque
un letterato. Vi ricordo che il
termine assume, talora, un senso leggermente ironico, di persona che vive fuori
della realtà, nell’astrattezza degli studî.
Matthias viene
descritto da una delle sue amanti come una persona piuttosto ingenua, giudizio
che doveva essere condiviso anche da altri, visto che è lo stesso Leibnitz a
metterlo in guardia, quando gli dice: “Volevo solo ricordare, alla sua credulità
nordica, che deve stare sempre all'erta”.
Sibyl von der Schulenburg, con l’immagine del
suo antenato intento a “graffiare la pergamena con la lunga penna d’oca” sembra
volerci dire che è quel colloquio tra l’io solitario e la scrittura a
realizzare il meglio della condizione umana.
La mia gratitudine va anche a Gianna Natale, che sta collaborando con noi del Circolo Iplac con risultati sorprendenti. Sibyl è rimasta commossa dalle due relatrici. Un grazie di cuore e un inchino al condottiero instancabile di questo blog, Nazario Pardini.
RispondiEliminaMaria Rizzi