Sabato 7 aprile
all'Enoteca Letteraria abbiamo avuto l'onore di ricevere la Scrittrice di
origine tedesca Sibyl von der Schulenburg con il romanzo storico dedicato all'illustre
antenato che combatté in qualità di feldmaresciallo per difendere la
Serenissima dagli ottomani.
Le due
relatrici sono state fantastiche. Invio la recensione della nostra Aurora
De Luca.
Maria Rizzi
Nota
di Aurora De Luca; Sibyl von der Schulenburg, Per Cristo e Venezia, Il Prato Casa Editrice, Saonara (PD), 2016
Aurora De Luca, collaboratrice di Lèucade |
Non capita poi tanto spesso, soprattutto in
questi giorni, che i componenti di una famiglia si ritrovino uniti dalle pagine
di uno stesso libro; non un libro scritto da un’ulteriore terza parte, ma uno
che nasca dal padre, passi alla madre, per poi raggiungere la figlia. Parti di
una stessa letteratura, che ricostruisce innanzitutto un microcosmo, la vita di
un gruppo specifico di persone, e poi un macrocosmo, una storia nazionale,
conoscibile da tutti e che tutti coinvolge.
Questo passaggio da mano a mano – questo modo
di ‘mantenersi’ – le ha permesso, come la stessa autrice scrive in prefazione,
di conoscere il proprio genitore da un punto di vista precluso a molti altri
figli: «[...] vivere il proprio padre
attraverso la letteratura. A me accade regolarmente, ogni volta che traduco un
suo racconto, romanzo, lettera o articolo giornalistico [...]».
Per
Cristo e Venezia è infatti la terza versione de Il Re di Corfù, per la stesura del quale
Werner von der Schulenburg, impiegò ben sei anni. Un’opera considerevole, di
dimensioni importanti, e che recuperava la storia di un eminente componente
della famiglia von der Schulenburg: il feldmaresciallo Johann Matthias von der
Schulenburg.
Dal 1950 al 2008 Il Re di Corfù ebbe molte riedizioni e due lingue, tedesco e greco
moderno. Dal 2000 anche le case editrici italiane ne vollero una traduzione in
italiano, e dunque l’onere di tale trasposizione ricadde sulle spalle di Sibyl,
la quale si accostò al testo con grande attenzione, lavorando anzitutto sulla
ricerca di un proprio stile, sulla propria crescita letteraria.
Fra la versione di Werner e quella di Sibyl vi
è la non meno importante versione materna; anche Jsa von der Schulenburg, in
accordo con il marito, provò una riedizione ridotta del testo, nella
prospettiva di una pubblicazione più agile e in linea con le richieste di un
nuovo mercato librario.
Lo sforzo di Sibyl, nel raccogliere e, appunto,
mantenere questa eredità, avvicinandola al mondo moderno ma senza tradire lo
stile paterno (e materno), è stato ben ripagato: Per Cristo e Venezia è stato vincitore del Premio Internazionale
Mario Luzi 2014/2015 Sezione narrativa edita “Premio Italia, Primo Premio
Assoluto”.
Come dicevo, Per Cristo e Venezia, pur nello scopo di ammodernare la narrazione,
rispetta lo stile di Werner: lo stile barocco di un aristocratico nato nel
1881, in grado di inscenare dialoghi assai verosimili a quelli dell’epoca
descritta e a cui sono propri «[un] modo teatrale di strutturare una storia,
[una] grande capacità di usare le parole per dipingere scenari poetici nonché
[una] grande accortezza nella collocazione storica di personaggi ed eventi».
Il lettore moderno non subisce effetti
stranianti e non corre il rischio di andare incontro a stonature o stridori,
fastidiosi balzi in avanti e repentini salti indietro; il romanzo scorre fluido
e denso, riuscendo, grazie a quella “patina d’antico che l’autore originario
aveva applicato con tanta maestria”, a evocare le sontuose atmosfere della
Serenissima Repubblica di Venezia, facendole sentire vicine e comprensibili,
quasi visive, quasi tangibili.
In più, come in ogni buon romanzo storico che
si rispetti [e che abbia come fine la conoscenza e non solo la ‘commozione’ del
pubblico], vi è in appendice un ottimo apparato spazio-temporale (una tavola
storico cronologica, un elenco dei personaggi principali e due cartine – di
Corfù e del Golfo Veneziano – del 1716) che aiuta il lettore a localizzare personaggi,
luoghi ed avvenimenti.
Siamo, dunque, nel 1716, quando il mondo
occidentale è minacciato dall’impero turco ottomano e tutti i potenti d’Europa
tentano di difendere i territori della cristianità dall’invasione islamica.
La missione del conte Johann Matthias von der
Schulenburg, condottiero tedesco, è quella di difendere l’isola veneziana di
Corfù, estremo avamposto d’Europa, e dare così al
principe Eugenio di Savoia il tempo di portare le sue truppe a est.
I valori del feldmaresciallo sono solidi:
l’amore, l’orgoglio, l’onore, la difesa della terra patria e di un ideale di
fede, nonché la gloria postuma. Tali valori gli permettono di contrappore soli
tremila uomini contro i quarantamila nemici; tremila uomini schierati al grido
di guerra “Per Cristo e Venezia”.
Il romanzo però, pur sotto un titolo che è
invero un grido di guerra, non si apre in battaglia, ma con il suono della
penna d’oca su di una pergamena e con l’immagine del barone Johann Matthias von
der Schulenburg, nel suo studio, intento nella stesura di una biografia.
Matthias appare, fin dalle primissime pagine, un
uomo attento, riflessivo, capace di leggere il carattere della persona che ha
di fronte, sia essa Eugenio di Savoia, o la donna desiderata, ma soprattutto è
un uomo che conosce quali siano i suoi doveri e che sa muoversi, in maniera
corretta, nelle cangianti e fitte trame di intrighi e mosse segrete, bisbigli e
previsioni, con mani da “violoncellista, delicate e tastanti”.
I suoi doveri è egli stesso a dichiararli
apertamente «difendere la terra, estenderne i confini, e, se necessario,
combattere per salvarla. [...] Non siamo più i conquistatori di allora, ma ciò
che possediamo lo vogliamo mantenere»; questi doveri anche a discapito
dell’amore. Angiolina Mocenigo Della Torre, la donna la cui bellezza classica
aveva meritato il titolo di Aimée (amata), ha per Matthias un nomignolo,
“occhiostorto”, eppure la loro frequentazione si interrompe per lungo tempo,
prima che ella ricomparisse, mai neppure una lettera, e continuerà ad avere
strappi e interruzioni: è questa la
differenza tra l’uomo e la donna, pensò Matthias, nessun amore, per grande che sia, potrà portare l’uomo a rinnegare il
suo nome e la sua patria.
Eppure, seppur abbigliata in modo sontuoso e sensuale,
incipriata e ingioiellata, la presenza di Angiolina fa ben comprendere
l’importanza strategica di alcune nobildonne, culturalmente elevate, e scaltre;
non è tappezzeria.
Ad Angiolina sono dedicate le più belle
descrizioni, non paragonata ad una donna, né alla natura, ma direttamente a
Venezia: di essa ha le acque, e i suoni e i colori, la sua voce persino.
L’intero romanzo ondeggia come ondeggia
Venezia, che è la grande protagonista: sempre appare e si nasconde dietro le
voci discordanti degli antagonisti.
Vi è come una musica interna, che è data
dall’andamento ben congeniato dei dialoghi, nient’affatto posticci, ma anche da
assonanze interne nelle descrizioni e nei motivi sonori; ci si dimentica quasi
che si tratta di storia, di avvenimenti realmente accaduti. Ci si ritrova
avvolti nella letteratura, ovvero in qualcosa di ugualmente vero ma che prima
non esisteva, in grado di manifestare bellezze non viste, alludere a dinamiche
interne, disvelare verità, punti di contatto e rendere significanti i colori,
gli aggettivi, i tempi atmosferici. Tutto concorre, in letteratura, ha creare
la storia, soprattutto la forma e lo stile. E questo romanzo può definirsi con
quell’aggettivo che non ha bisogno del superlativo: questo romanzo è bello.
Accanto al grido di guerra, accanto alla strada
che porta allo scontro, vi sono tutta una serie aggrovigliata di incontri di
corte, di incontri segreti, di connubi amorosi, di pensamenti e ripensamenti,
di ingressi in stanze appartate, di movenze civettuole (maschili e femminili)
che non significano ciò che appaiono, di frasi in codice, tali da rendere il
romanzo assai scenico, quasi filmico. I personaggi sono costruiti come tali,
con scavo psicologico, studio del carattere e del modo di parlare, di vestire,
di camminare: personaggi reali, – per davvero, certo – ma anche personaggi
letterari, in grado di entrare nella mente del lettore come poterono farlo i
grandi personaggi dei classici. Li sentiamo vicini perché riusciamo a
sospendere la realtà e a venire a patti con la narrazione.
Si possono, infine, trarre numerose massime
atte a descrivere la natura umana d’ogni tempo, nonché il ritratto di
un’Italia, e di un’Europa, non dissimile da quella odierna: spaventata da ciò
che viene da est, e in grado solo con molta lentezza, e con grande dispendio di
energie fisiche e mentali, di proteggere le proprie ricchezze e farle
prosperare.
Senza rivelare oltre di un romanzo che non può
essere sintetizzato, così come non possono sintetizzarsi i grandi romanzi senza
perderne la grandezza, passo ad intervistare l’autrice:
1. Sibyl,
la composizione di questo romanzo ha avuto per te un significato davvero
importante: cosa ti ha permesso di conoscere, oltre a quella storia comune di
Venezia e d’Italia?
2. In
cosa consiste lo stemma dei von der Schulenburg e quali somiglianze condividi
con il feldmaresciallo, o quali diversità? E dunque, chi è Matthias?
3. Quale
è stato il tuo approccio compositivo? Parlaci del ‘dietro le quinte’.
4. Italia
del 1716, Italia del 2018: amare similitudini?
Ringrazio di cuore la nostra talentuosa Aurora per questo gioiello e per l'intervista condotta alla nostra ospite, Sibyl von der Schulenburg e ringrazio, altresì, con con profonda gratitudine il carissimo Nazario, per la sua generosità ineguagliabile.
RispondiEliminaMaria Rizzi