Marco Dei Ferrari, collaboratore di Lèucade |
COMMENTO DI MARCO DEI FERRARI AL SAGGIO SULLA POESIA DI MARISA COSSU PUBBLICATO SU
LEUCADE IL MESE DI MAGGIO COME DA LINK
https://nazariopardini.blogspot.it/2018/05/marisa-cossu-per-un-progetto-di-nuova.html
L'UTOPIA
POETICA NEL “PROGETTO”
di
MARISA
COSSU
Marisa Cossu in un pregevole
prospetto-progetto analitico ha ricercato un “senso” al “fare” poetico
contemporaneo e ci offre spunti di ragionamento molto intensi e stimolanti.
Ad esempio: le ricerche
“neuro” in atto; il rapporto artisti-scienziati in divenire; il
correntismo-frazionismo dilagante; il dominio irreversibile del mercato che
uccide la libertà creativa dei poeti (artisti); il declino dei “temi” fondanti
e del linguaggio (confuso) ancora lontano da un “nuovo” tracciare poetico...
Tali considerazioni sono
rilevanti per il secolo XX come la compatibile assonanza tra principi socio-politico dominanti e risposta poetica
sino alla barbarie e all'orrore del martirio di intere popolazioni.
In effetti dopo il 1945 (così
Adorno sembra esprimersi) si stenta a trovare la via artistica della libertà,
dell'amore, della bellezza, ecc. e si entra in un intimismo manieristico e
micro-letterario ovvero in un rifugio privato e personalizzato che rifiuta
l'oggettività della realtà circostante dei fattori
storici-socio/culturali-economici.
La sequenza successiva e
l'avvento del tecno (intelligenza artificiale,robotica, ciberspazio, ecc.
ecc.)costituisce la negazione finale dell'espressività libera e umanistica da
qualsiasi punto di vista.
Le persone e le cose si
smarriscono nel digitale e il web domina la scena.
Non basta il “travaso” poetico
di Contini, né bastano gli “indicatori” di Domenici (citati dalla Cossu): tutto
il 900 poetico viene travolto dal
dilagante potere della tecnetronica mediatica: né dolore, né amore possono
resistere al tornado, perché l'essere umano trasformandosi progressivamente
perde valore e consistenza e rinnega quindi i valori-fondatori.
Non basta la tradizione, né lo
“sperimentalismo” frenetico denunciato da Nazario Pardini, né il “volo” perduto
del poeta oltre il confine nel tentativo estremo di attirare in versi il
sentire e la condivisione di sentimenti nobili, ma in crisi. Neppure è
sufficiente la capacità dell'attività poetica di cambiare il mondo come
sostiene Octavio Paz. L'empatia tra artista-opera-fruitore si riduce ad
un'espressività pubblicitaria ingoiata dai
mass-media tecno: nulla di più.
Oggi la “poesia” è solo
un'indicazione linguistica, un esercizio schematicamente vuoto che non cambia
nulla, ma subisce la globalità del tutto e Linguaglossa con il suo coraggioso
lodevole obiettivo (il grande progetto) si trasforma in filosofo di
un'ontologia estetica che rimane confinata negli ultimi residuali “umani”
operatori di arte letteraria, in attesa della “rivoluzione” definitiva che
robot e avatar (immagini in rete) umanoidi tradurranno in estinzione nella
“realtà virtuale” di valori e memorie emozionali.
Il futuro è iniziato. Comunque
sia rimane interessante il “progetto” (a mio avviso senza speranza) di
Marisa Cossu che ritengo “difensore” in trincea estrema di stimoli comunicanti
già peraltro condannati dal XXI°secolo irreversibilmente. “Rifare l'uomo” è
l'appello iniziale del “progetto”, ma di quale “uomo” stiamo parlando? Di quale
prospettiva etica o di quale interiorità discutiamo nel mondo dei robot
super-intelligenti, dei post-umani con banchi di memoria caricati nel cervello
e impianti per affinare i sensi eliminando i geni letali?
Si prevede che la nostra
“intelligenza biologica” sia solo un fenomeno transitorio nell'evoluzione
universale e che entro il 2100 sarà predominante la presenza di robot forse non
“separati” da noi, ma connessi. Tutto ciò dimostra che l'interiorità quale oggi
concepiamo, si relega in mini-dimensioni marginali destinate alla scomparsa.
Il futuro è iniziato; la
gestualità interiormente creativa come la “poesia” (così oggi la interpretiamo)
è finita.
Marco dei
Ferrari
Ringrazio sentitamente Marco dei Ferrari per l'esaustivo e approfondito commento al mio breve saggio. La chiara esposizione merita una serie di riflessioni che non tarderò a postare.
RispondiEliminaHa detto Adorno che dopo Auschwitz non ci si può più immaginare un'arte serena, ma il fatto è che gli infiniti Auschwitz di cui è disseminata la storia umana non sono mai riusciti a dissolverne la creatività, né si vede come potranno riuscirci un domani. La serenità non è la cartina di tornasole dell'arte, anche se è uno dei tanti stati d'animo da cui può generare. In ogni caso è sempre il frutto di dolorose conquiste interiori, giacché l'arte è sofferenza, è esperienza del nulla, è smarrimento nei labirinti esistenziali. E' anche rinascita, tuttavia: rinascita e morte in un'altalena infinita. L'arte è tutto e nulla, un'esperienza totalizzante (quindi anche nullificante), una conoscenza a trecentosessanta gradi dell'animo umano. Per questo io stimo profondamente le ricerche di quanti, come Linguaglossa, reagiscono in malo modo al mellifluo canto degli arcadi privi di spina dorsale, aridamente ignari delle amarezze esistenziali. Tuttavia, l'amaro non esiste senza il dolce, come è vero anche il contrario. Non è mai giustificabile il comodo tentativo di semplificare e ridurre la complessità problematica dell'animo umano ad un unico stato. La storia non è unidirezionale, si muove in ogni direzione. Se non contemporaneamente, quanto meno in modo oscillante, con flussi e riflussi traumatici che s'incaricano di contenere l'evoluzione entro i mobilissimi e dinamici equilibri originari. E' anche possibile, intendiamoci, che il genere umano un giorno possa estinguersi e che la sua storia abbia fine. Non la storia dell'intelligenza, tuttavia. Almeno fin quando sarà possibile la vita, visto che vita e intelligenza sono la stessa cosa. Ovviamente non sto parlando di "intelligenza artificiale" (sic), se è vero che "intelligenza" deriva da "inter ligere" ("leggere dentro") e non si vede in che modo un robot possa farlo. Un animale si, probabilmente, ma un robot...
RispondiEliminaFranco Campegiani
Mi trovo d'accordo con quanto scrive Campegiani, per chiarezza equilibrio semplicità.Già nelle prime battute esprime una grande verità che sento di condividere. Non ci sarà mai niente a distruggere la creatività, propria dell'essere vivente-uomo in particolare-. E anche faccio mia l'osservazione che arte non è necessariamente serenità, proprio perché è espressione del vivere e del guardarsi dentro. Lodevole e certamente utile è qualsiasi ricerca sul poiein, anche se in certi casi il pensiero filosofico e una ricerca esasperata di nuove metodologie possono arrivare a confondere l'artista,particolarmente il poeta(il vero), che è forse l'animale più sensibile e complesso tra gli esseri viventi..
RispondiEliminaEdda Conte
Un ulteriore approfondimento intorno al tema affascinante della Poesia. Grazie per la chiara lettura. Ben vengano le stimolazioni del prof. Nazario Pardini affinché poeti e studiosi si esprimano in questo campo attualmente povero di vitalità e pervaso da una mille banalità.per uscirne,superando atteggiamenti ideologici e i troppi pregiudizi che affollano la nuova ontologia estetica. La ricerca mi affascina, ma alcune cosiddette innovazioni non rendono un buon servizio al "fare" poesia.
RispondiEliminaMi scuso se intervengo ancora sull'argomento poesia. Su questo blog si sono fatte eruditissime speculazioni filosofiche su questo tema ma non si è sfiorata la cosa più importante: emerge non chi segue le mode o innova ma chi ha talento e coloro che posseggono questo meraviglioso “dono divino” sono molto pochi. In tutte le arti è così se si escludono certi orripilanti prodotti commerciali esaltati soltanto per fare soldi e questo in particolar modo nel campo della pittura. Poi ci siamo noi “poeti della domenica” che scriviamo per sfuggire ai propri mali e che per vincere un chilo di formaggio spesso siamo costretti a parlare di migranti, bambini morti e altre storie dolorose, ma quel piccolo premio ci gratifica, ci fa sentire importanti, ci fa sentire poeti. A volte questi concorsi hanno giurati sensibilissimi, altre volte invece hanno nelle loro fila persone che ignorano assolutamente come è costruito un sonetto o chi sia Mario Luzi. Mi è capitato recentemente di trovare in un testo di uno di questi critici di premi un “po'” scritto con l'accento e l'errore non è stato corretto neppure dopo essere stato segnalato. E quindi ho visto premiate parafrasi di tutti i generi quando non si copiano interi versi: c'è chi ha perfino rifatto la “Divina Commedia” ricevendo sperticati consensi. E allora non ci affanniamo a cercare dove va la poesia. La vera Poesia quella cioè con la P maiuscola si farà strada da sola anche se purtroppo la storia insegna che molti poeti celebri una “spintarella” l'hanno avuta per emergere.
RispondiEliminaCarla Baroni
Mi congratulo con Carla Baroni per le sue acute opinioni sulla natura e finalità della vera Poesia e sulla opinabile "verità" dei premi letterari. Necessario più che mai meditare su tali espressioni, anche se alla vigilia dell'apocalisse robotica che cancellerà, aimé, la gestualità poetica dal contesto umanitario come noi intendiamo.
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