Il SERCHIO poetico di N. Pardini.
Maria Grazia Ferraris, collaboratrice di Lèucade |
Il Serchio pur essendo un fiume di
tutto rispetto è certamente un fiume meno famoso del suo fratello Arno, ma non
meno felice quanto a citazioni, poesia, dipinti, emozioni artistiche... Lo
citava Dante, ricordandone la frescura, Ariosto nelle sue Satire, D’Annunzio,
che nell’Alcyone, alla ricerca della
foce scrive:
“Il Serchio è presso? Volgiti all'indizio.
Ecco la sabbia tra i ginepri rari,
vergine d'orme come nei deserti.
Si nasconde la foce intra i canneti?
La scopriremo forse all'improvviso?
Ci parrà bella? No, non t'affrettare!
….Liberi siamo nella selva, ignudi
su i corsieri pieghevoli, in attesa
che il dio ci sveli una bellezza
eterna.
Non t'affrettare, poi che il cuore e '
colmo.”
E il Pascoli in Odi e Inni, che appartengono al «periodo
pisano» del poeta, e costituiscono l'espressione più tipica della sua «poesia
civile», così lo canta :
“Te
vidi, quando sceso, negli umili
tuoi giorni di magra, dal monte,
parevi arrossire del ponte:
del ponte grande, tu sottil rivolo,
roseo per una nuvola rosea,
cui chiesero, il giorno, le polle,
che le ravvenasse, e non volle…
…la sera, o Serchio, mentre sul candido
tuo greto fitte squittian le rondini,
dicevi: «Oh! in quest’afa d’estate
le mie spumeggianti cascate!…
Vo mogio mogio: povero a povere
genti discendo, piccolo a piccoli
poderi che sembrano aiuole,
ma che ora inaspriscono al sole.”
Anche il grande Ungaretti così lo rievoca: “Questo è il Serchio/ Al quale hanno
attinto/ Duemil’anni forse/ Di gente mia campagnola/ E mio padre e mia madre….”
Scriveva Ungaretti rievocando i fiumi che hanno
segnato la sua vita: …” Questa è la mia nostalgia/ Che in ognuno/ Mi traspare/ Ora ch’è notte/ Che la mia vita mi pare/ Una
corolla/Di tenebre”
Perfino il pittore incisore Giuseppe Viviani, di non perduta e riconosciuta fama, che
viveva tra Bocca di Serchio e Boccadarno,
terra di pescatori e di venditori
ambulanti, dove andava a caccia col suo immancabile fucile e i suoi amati cani,
solitario e autodidatta, e negli anni
Cinquanta si definiva Il Principe di Boccadarno senza Corona, con
sudditi ambulanti, e penna facile …. dedicava alla sua terra, oltre gli incantati dipinti e
le incisioni, le acqueforti, le litografie, i disegni e aveva dedicato anche
frammenti lirici, dimostrando di possedere, tra le tante capacità artistiche,
anche quella della parola poetica:
“Là dove placido trascorre il Serchio,
acque remote, brividi e luci,
dell’Universo!
luoghi che ancora restano al mondo,
perché tristezza, almeno un angolo,
abbia giocondo!
…Ventilar di canneti
garosi di star cheti
cheti, come quest’acqua
che al ciel apre le braccia..
Ora una nuvola, ora quell’altra
s’abbassan quasi, a toccar l’acqua,
poi, d’un balzo, pregne d’odori,
portano al sole umidi umori.
Capanne vuote in su la foce, vedo
ombra densa, di placido velluto nero
dalle finestre, che non han vetri,
non vi dimorano dentro i poeti?”
Pure lo scrittore Guglielmo Petroni, vincitore del
premio Strega 1974, dedicava al fiume il suo romanzo La morte del fiume, non alla ricerca di un idillico tempo perduto,
ma recuperando il passato e le sue esperienze, per farle diventare una
conoscenza nuova, consapevole, e coglieva nel fiume e nel suo divenire la
comprensione delle ragioni profonde dell’esistenza.
Il Serchio è il fiume di N. Pardini.
In una breve conversazione Pasquale Balestriere, a commento della sua
ultima poesia “Nausicaa sul Serchio”, (pubblicata
sul blog Alla volta di Lèucade di luglio,
2017), gli contesta benevolmente e
scherzosamente la dislocazione: “Nausicaa
sul Serchio no! A fatica lo concedo alla tua immaginazione (che del resto
chiami in causa già dal primo verso), alla forza della tua fantasia poetica….”;
…dice, rispondendo, Nazario Pardini:
“… non volevo assolutamente defraudare
Nausicaa delle sue ischitane origini, e poi al Serchio, fiume piccolo e di poco
conto per i giochi della bella odisseica fanciulla. Il fatto sta che mi trovavo
giorni fa sulla bocca del mio fiume, e stavo osservando le sue acque che si
spengevano quietamente nel mare, e tutto attorno rovi e pinete. Una natura
selvaggia e primitiva. “Quasi quasi la nobilito con una reminiscenza -anche se
parecchio personalizzata- omerica" ho pensato. Ed in breve ho veduto
Ulisse uscire affaticato dal mare, e la principessa con le ancelle giocare a
palla sulle rive. "Perché non trasferire il tutto in poesia" mi sono
detto. Ed ecco Nausicaa sulle rive del Serchio, fuori da ogni contesto
culturale, che in questi casi ritengo piuttosto dannoso.
Ho
sempre immaginato che alla foce del Serchio
nel
punto in cui il mio fiume sfocia in mare
ci
fossero fanciulle arzille e gaie
a
stendere il bucato sopra i rovi
che
si assiepano attorno. E che nel fosco
delle
pinete zeppe di frescura
ci
fossero, sepolti dalle foglie,
naufraghi
a riposare nell’attesa
di
essere destati dalle grida
delle
stesse fanciulle intente al gioco.
In
ogni luogo delle mie canzoni
ci
sono Nausichee a ricordare
lo
splendore degli anni. Il bello dell’amore,
il
fulgore del bello. …
…
Il fiume si disperde e quieto è il mare,
le
cui onde carezzano le sponde
con
dolce melodia. Da quell’acque
esce
spossato Ulisse, naufragato,
spoglio
di panni e salvo dagli affanni.
Si
addormenta in disparte, ricoprendo
di
foglie sparse il corpo affaticato….
…
Fuggono le ancelle in qua e in là
stupite
dalla insolita presenza
di
un uomo logorato dai marosi.
Ma
Nausicaa resta. A lei si volge,
rapito
dal fulgore dei suoi occhi,
Ulisse
sbigottito, frastornato:
“Sei
donna o dea? Incantevole visione?...”
Per
un nuovo sentir che la percorre
lei
gli si scioglie, sorpresa dalla vista
di
un divino apparire, dalla grazia
di
un fisico scolpito dai salmastri….
Una sperimentazione ardua, interessante, di un “sincretismo
poetico che mescola e fonda l’antico con il moderno in un’operazione mitopoietica di recupero e di ri-creazione”. Il nostro pensiero ha bisogno di questa
pulsazione…
La mitopoiesi ("creazione del
mito") è un genere narrativo nella letteratura moderna dove viene
sintetizzata una mitologia fantastica dall'autore. Queste nuove mitologie,
invece di emergere dopo secoli di tradizione orale sono create in un breve
periodo di tempo da un singolo autore o da un piccolo gruppo di collaboratori. E
puntualizza del resto con grande consapevolezza N. Pardini:
“ L’arte, categoria dello spirito antecedente
alla funzione della ragione, si fa tale, se interviene con forza suasiva tutta
l’esplosione dell’anima, tutto l’afflato del sentire, tutto il potere
immaginifico, e il corale supporto dell’ambiente con le sue lune, le sue
colline, il suo mare, le sue albe e la sua sera, con il vento che accende il
mattino, o coi filari dove l’alba verserà quel suo fresco vino turchese a nutrire una teoria filosofica.”
“Che cosa sia la poesia, poi, è
certamente uno degli interrogativi più annosi della storia dell’uomo. La sola
certezza comunque è che necessita, volenti o nolenti, di realtà individuali, di
singole esperienze, di vicissitudini ed emozioni personali, per aprirsi dal
memoriale all’immaginario, dalla vita al gran senso. Si fanno avanti il sogno,
la fantasia, la realtà che non riescono comunque mai a liberarsi del tutto dal
bagaglio del memoriale che ci portiamo dietro sempre più vago e nostalgico,
vita scampata all’oblio e per questo degna di esistere. E quello che ci
tormenta è proprio il pensiero del suo destino. Chi lo affida ad una fede
religiosa, chi al puro sogno, chi ad una fede poetica, e chi, laicamente, ad
un’isola quale potrebbe essere quella di Leucade, tentativo foscoliano come
terapia al morbo del dubbio.”
Già N. Pardini si era cimentato con
l’immagine poetica di rara bellezza del suo fiume, l’immagine della vita, cui
si mescolano immagini visioni mitiche dal sapore onirico in una prospettiva di
sogno:
Acqua che riflettesti i miei canneti…
ti perderai tra poco nel clangore/
dell’irruente mare…
... Non t’inganni/ il profumo
allettante; presto vane/ saranno quelle immagini di sponde…
... Ed i tuoi panni/ scoloriranno in
cuore al tanto vasto/ vorticare del nulla….
II lato preminentemente fantastico del
poetare pardiniano è scandito con un’intensa sollecitazione della memoria, vi
appare intensa e ricercata l’espressività
lessicale che per sensibilità e stile prefigura
il risultato compiutamente raggiunto, attraverso stilemi e sinergie di varia
natura.
La forma, l’equilibrio, la misura, la
partecipazione alla ragione morale di una poesia contemporanea, sono
esplicitati, nella metafora del fiume
che scorre, anche se indica senza enfasi nella
mancanza di quiete le carenze dell’uomo moderno, la sua incapacità a rendersi
partecipe di quel mito, che resta ormai dimenticato, in disuso.
Maria Grazia Ferraris
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