PROMETEO
POEMETTO
DI UMBERTO CERIO DEDICATO AGLI AMICI P. BALESTRIERE E N. PARDINI
Umberto Cerio, collaboratore di Lèucade |
Il
comune di Larino ha voluto rendere
omaggio al cittadino più importante della sua comunità dedicandogli a sorpresa una giornata di poesia, cultura e
affetti. Sì, a Umberto Cerio per i traguardi conseguiti nel campo letterario
che danno luce non solo a lui ma a tutta la storia di Larino. A tal scopo io e
Balestriere siamo stati invitati a inviare due scritti in cui esprimere tutta
la nostra vicinanza all’amico del cuore. Grande sorpresa per Umberto, che,
spaesato e commosso, ha assistito alla manifestazione in suo onore con grande partecipazione.
Ieri, 21 giugno, primo giorno d’estate, lo scrittore ha voluto esprimere la sua
riconoscenza dedicando il seguente poemetto (Prometeo) ai suoi fraterni amici.
Un ringraziamento per le emozioni che Pasquale e Nazario hanno contribuito a
scatenare con le loro parole. Ma perché
Prometeo? Prometeo, è luce, è fuoco, è creatività, è azzardo... tutto ciò che
Cerio augura ai due poeti amici a ché la loro poesia si alimenti sempre della
perpetua fiamma della vita. Qui la terra di Cerio; il suo campo di lavoro e di
sogno; di inventiva personale; di
infinita fusione col la cultura del mito. Sì!, questo è il suo pianeta, quello
dei mitopoieti che inventano, legano,
assemblano, cuciono, rielaborano, compongono, contestualizzando il tutto nel mondo in cui ci siamo e viviamo.
Il suo è il tratto fine ed elegante di un poeta amante della storia e della cultura,
capace di assegnare alle figure mitologiche il compito di significare emozioni
e turbamenti dell’intera umanità. Un vero poeta che attinge, mette dentro,
zuppa, decanta, reifica trasformando in immagini simboliche un vissuto di gioie
e dolori, di illusioni e delusioni, di voli raso terra e, en haut, su nel cielo
fra i richiami degli albatri. Questo poemetto vuole dar vita, con il contributo
del mito più caro a Ovidio, alla realtà
dell’uomo, essere pensante, cosciente dell’esistere e della morte: intriso di fuoco, di anima, di rinascita, e di
epifanica elevazione; intriso di una umanità che vuole crescere, amare,
progredire; che vuole essere presente, attiva e fattiva in una continua ricerca
progressiva a costo di rubare il fuoco agli dèi, simboleggia appieno gli
intenti odisseici di un essere mai pago. E si sa che il fuoco è alla base della
civiltà e della poesia nel nostro relativo esserci, che tende all’alto.
Prometeo il grande, Prometeo l’inventore, Prometeo il creatore, Prometeo che
combatte con il cielo per affrancarsi, in quanto essere pensante, da tutto ciò che lo vorrebbe succube.
Abbiamo
il buio nell’anima
ma
nella mente la rivolta.
Ancora
lungo della clessidra è il corso
e
qui è la tua cetra
che
canta ancora il tuo destino d’uomo
che
si ribella a Zeus
e
all’uomo dona ancora il fuoco sacro.
Sì, amico, abbiamo in noi una lunga storia che
ci permette di dare linfa ai giorni che verranno; giorni che ci vedranno
senz’altro sulle barricate della cultura, disposti a prendere ciò che ci
appartiene, indifferenti all’ultimo giorno che verrà. Non temiamo la fine: per
noi poeti non esiste dacché faremo della morte un trampolino di lancio verso
l’eterno
Nazario
PROMETEO
Ed ora dove sei, mio Prometeo,
rapito
da una morte disperata,
vagante
tra spazi stellari
o
negli inferi di Ade maledetta
-un’altra
aquila a divorarti il cuore-
senza
poterci dare il fuoco
per
riscaldarci il corpo
e
stringere nel pugno
la
nostra vita prima della morte?
Dove
sei, Prometeo,
ora
che l’uomo è piccolo e triste
e
più non vede il seme
che
germoglia lungo il sentiero scabro?
Tra
pietra e pietra, sotto il sole
che
a picco a valle scende,
raccogli
le memorie di una vita.
Ed io non so, non so dov’è l’anima,
quale
viaggio prepara
-quale
roccia comincia a sgretolarsi-
e
quale orribile vuoto si appresta
oltre
la memoria del tempo.
Oltre
il breve fluire del mio fiume.
Dove si è smarrita la tua anima,
o
l’aquila fiera ancor non è morta
per
la freccia di Eracle
e
il martirio continua
oltre
gli oscuri abissi degli inferi?
Oltre
la carne di grassa giovenca
a
Zeus celi l’inganno del fuoco:
la
vendetta di Pandora per l’uomo,
lacci
di acciaio per te
del
Caucaso sulla roccia nemica.
O
è l’anello di acciaio e di roccia
che
ancora ti lega nel cuore
per
il feroce castigo di Zeus.
Non abbiamo serbato
ferola
dove nascondere il fuoco
né
altro dono per l’uomo venale
che
a lusinga fragile cede.
Scorie
e detriti e putridi residui
per
memoria lasciati
che
altro non danno se non ripugnanza.
Ora si è smarrita la tua anima,
il
destino d’uomo fatto immortale
dal
dono di Chirone,
e
l’aria si avvelena,
si
corrompe il seme dell’uomo
nella
terra contaminata
di
sangue marcito sulle sue strade.
Si
è persa l’anima della vita
negli
abissi profondi del dolore.
Non
torna al sole l’armonia del giorno.
Nessuno
più ruba il fuoco agli Dei
e
l’amore si è perso
trasformato
in lamento
nella
cenere di pire ormai spente.
La
morte non è più eterno riposo,
è
un gioco di fuoco e di piombo,
corpi
scomposti sulle strade
o
portati su barelle di corsa
verso
l’ignoto o folli cimiteri.
Nessun
Chirone dona
la
vita e l’immortalità.
Resta la memoria
del
rovo e del nero filo spinato,
di
corpi appesi che oscillano al vento
agli
atroci fili del telegrafo,
e
nessuno ci ridarà quei morti
con
le tenebre alla fine del tempo.
Dove consumi la tua immortalità
e
disperdi i tuoi doni,
la
tua arte di vate
che
ignora il giorno dei mortali,
perché
non torni umano
e
gli uomini non salvi dal diluvio
che
di nuovo ci investe
sulla
riva di questo fiume
che
scorie trascina e scorze di tronchi?
Mi sei precipitato nell’anima,
hai
scavato nelle molli viscere
in
cerca del mio dolore
e
tra le scarne certezze perdute
nell’aspro
cammino della mia infanzia.
Hai
sciolto nevi e remoti ghiacciai,
hai
sconvolto mari sereni in cuore,
le
ombre della sera, i geli delle notti,
hai
violato le mie innocenze
per
il tuo fegato strappato.
Ma
mi hai donato umanità profonda.
Donami una scintilla,
ancora,
ch’io possa scaldare il cuore
e
l’anima, la sete
per
la verità nascosta nel cavo
di
una pietra o nel volo di farfalla
in
lunga primavera;
donami
un respiro fatto immortale
dal
tuo dolore d’uomo,
un
anello forgiato col tuo fuoco,
l’immagine
del mondo
purificato
dal tuo fuoco sacro,
la
sacertà di una parola
che
non confonda più la nostra mente,
il
tuo amore per l’uomo
che
non ha meritato il tuo dolore.
E
donami certezze
mentre
risali in un Olimpo umano.
Ogni scintilla è un raggio di luce.
Un
pugno della tua sacra terra
non
è un pugno della mia terra.
Scagliato
verso il cielo
forse
un pugno della mia terra esplode
al
rombo di uragano
nella
mia anima inquieta
che
al ritmo di una clessidra impazzisce.
Ora il tuo fuoco smuove
flutto
d’aria e di mare
e
ragnatele buie di memorie:
un
lampo per un uomo,
mille
esplosioni per morti innocenti,
un
tuono immenso per un bambino,
una
tempesta per donne violate
con
stupido furore.
Anche
un sorriso azzurro
nel
delirio della luce sul mare,
il
nostro pugno di fragile terra
che
si cela nell’erba della notte
per
cancellare il disgusto del mondo.
Aquila in alto fra nuvole grigie,
-la
tua triste aquila!-
o
azzurro aquilone fuso in azzurro
cielo
col filo nella mano
che
pensieri trasmette
ed
in alto spinge come a futuro
di
inattesa tempesta
ancora
assale il tuo corpo inerme.
E
mi sento nel buio della notte
da
fragile fantasma attratto
-che
so non esistere-
e
cerco l’armonia di cetra cava
che
non ritrovo ancora
nel
tempo di una fine disperante.
E
che si può sognare
se
il mare in cuore si rovescia
con
detriti di un mondo
che
non riconosciamo come nostro
-la
bussola impazzita-
e
insieme abbiamo il buio nell’anima?
Così, sentiamo frantumate
speranze
di una vita
che
si farà più amara alla vigilia
dell’infinita
vanità
se
la tua ribellione è terminata.
Abbiamo il buio nell’anima
ma
nella mente la rivolta.
Ancora
lungo della clessidra è il corso
e
qui è la tua cetra
che
canta ancora il tuo destino d’uomo
che
si ribella a Zeus
e
all’uomo dona ancora il fuoco sacro.
Brucia di vana attesa
all’ombra
del tuo fuoco
l’ultima
terra del canto infinito.
Ancora
oggi, forse,
l’uomo
non merita il tuo dono
e
l’anima tua soffre
in
giro per lo spazio informe, vuoto,
nella
giostra dei vortici del cielo.
Perché non dirti, oggi, a me fratello,
pure
se secoli ci separano?
Verrò al passaggio di ritorno
dell’ultima
fredda astrale cometa
e
col tuo fuoco fonderò suo ghiaccio
delle
notti oscure
in
un cielo lontano dalla terra.
Umberto Cerio
Inedito,
da “IL POETA NON MUORE”
Un poema di grande espressività poetica, che mescola con sapienza gli elementi del fuoco e della terra, prendendo in prestito dal tempo la forza del mito. Complimenti a Umberto Cerio per l'opera poetica che ci ha consegnato in questi anni, e che ci consegnerà ancora con maggiore creatività.
RispondiEliminaUn caro saluto
Vero, Francesco, il mito rappresenta l'evolversi della storia del'uomo, sulla terra, nel mondo e il senso del progresso e della civiltà. Grazie per queste tue parole che mi ripagano per il mio lavoro.
RispondiEliminaUmberto Cerio
Eh, sì, non c’è che dire. Questa volta la sorpresa ce l’hai fatta tu, caro Umberto. La dedica del poemetto “Prometeo” a Nazario e a me è sicuramente testimonianza di affetto e di amicizia,ma è anche augurio e avvertimento: augurio, affinché abbiamo il coraggio di non accontentarci della normalità e di tentare -per usare un termine caro a Nazario- l’azzardo; di coltivare - e qui uso un’espressione che mi lega a te - il sogno della LUCE; avvertimento, perché l’osare, l’ulissiaco fervore di sapere è sofferenza ( e talvolta anche rischio). E d’altronde, come si afferma nella Bibbia, “Qui auget scientiam, auget et dolorem”; cioè “ colui il quale accresce la conoscenza, accresce, insieme, anche il dolore”.
RispondiEliminaDopo di che, letto e apprezzato il commento critico che Nazario ha stilato da par suo, devo solo ribadire il giudizio critico che sul “Prometeo” espressi circa due anni fa.
“Intinge la penna nel mito di Prometeo l'amico Umberto Cerio. E del titano, generoso amico dell'uomo, rivive la nobile e dolorosa vicenda che entra d'impeto nella grettezza dei nostri giorni e si pone come spietato termine di paragone per l'uomo d'oggi "piccolo e triste", incapace di slanci autenticamente cordiali e altruistici, di tensioni nobilmente ideali. A me pare che il nucleo di questo poemetto, strutturato in metro libero ( con discreta presenza di endecasillabi) e in forma di soliloquio (che, come si sa, presuppone un interlocutore, anche se non presente fisicamente), sia tutto nell’accostamento di luoghi, fatti, persone , nel confronto che tra loro viene a stabilirsi o, forse meglio, in una confliggente giustapposizione che elegge Prometeo a simbolo tutto umano di scoperta e di rivolta, di progresso e d coraggio. Il titano, che stupendamente Cerio percepisce fraterno, (in)segna all’uomo la strada da seguire, invitandolo a trarre fuori (in latino e-ducere), cioè a educare, il prometeo che ha in sé, trasformando in realtà quelle potenzialità che, sole, gli consentono di vivere degnamente la propria esistenza.
Cerio ama il mito che sa elemento fondante ( e dunque necessario) della vita, momento di crescita e di inveramento di quegli ideali ai quali ogni essere pensante non può fare a meno di ispirarsi. “Mi sei precipitato nell’anima” scrive il poeta; e dice, così, la forza sconvolgente della passione, del sogno, della fede nelle idee positive che reggono il mondo.”
Ed ora non mi resta che mandare un affettuoso abbraccio di ringraziamento e di fraterna amicizia al carissimo Umberto, augurandogli giorni sereni e creativi.
Pasquale
Caro Nazario,
RispondiEliminatu mi scrivi:" Si amico, abbiamo in noi una lunga storia che ci permette di dare linfa ai giorni che verranno....non temiamo la fine: per noi poeti non esiste dacché faremo della morte un trampolino di lancio verso l'eterno".
Questo è proprio il concetto da cui sono partito per il mio poemetto Il POETA NON MUORE, che darà il titolo alla mia silloge in preparazione e di prossima pubblicazione. E' questo anche l'augurio che ho voluto fare a te e a Pasquale Balestriere. Non solo, ma anche a tutti i poeti cui è toccato il fuoco sacro simboleggiato dalla figura di Prometeo.
Ovviamente ti ringrazio per essere, anche questa volta, in consonanza di vedute. E ti ringrazio della tua amicizia e per le parole di cui mi fai dono prezioso.
Umberto
Caro Pasquale,
RispondiEliminaho qui davanti la tua nota, che è anche una esegesi, al mio Prometeo, che ho voluto dedicare a Nazario e a te. Ma, come detto anche a Nazario, a tutti i poeti che hanno avuto il dono del fuoco sacro della poesia.
Ma tu, come al solito, sei speciale, perché riesci sempre ad arrivare al cuore di una poesia e a scolpire concetti critici di grande levatura e di ampia visione culturale.
E ciò lo dico non solo perché ci lega amicizia vera e non di mera superficie.
Per questo le tue note le stampo e le conservo nella memoria e tra le carte più care e preziose. Hai compreso, in pieno, fra l'altro, e con perfetta adesione culturale, che cosa sia per me il mito e come e perché ne faccio uso. Tu sai che non è semplice orpello né ostentazione della conoscenza della cultura antica, ma permanenza dei valori e dei comportamenti dell'animo umano, oltre che un nodo fondamentale dello sviluppo della storia dell'uomo. Grazie, Pasquale.
Umberto
Umberto Cerio, poeta da sempre ancorato ad una mitologia di cui scopre e ci dona la perenne attualità, sviluppa qui un accorato appello verso quell'essere eccezionale che rubò il fuoco agli dei per farne dono agli umani, pregandolo di tornare ancora a salvarli, non dall'Olimpo, ma da se stessi, dalla propria perversione e dalla propria malvagità. Ed ecco l'attualità irrompere sulla scena con potenza devastante: "La morte non è più eterno riposo, / è un gioco di fuoco e piombo, / corpi scomposti sulle strade / o portati su barelle di corsa / verso l'ignoto o folli cimiteri". Il poeta sente sgretolarsi l'anima: "Si è persa l'anima della vita", "Nessuno più ruba il fuoco agli Dei / e l'amore si è perso". Prometeo è sparito, "un'altra aquila a divorargli il cuore" e l'umanità sembra avere dimenticato l'esempio di un uomo fatto immortale, capace di tornare al mitico tempo in cui il conflitto non c'era e gli uomini erano addirittura ammessi alla presenza degli dei, in momenti di grande convivialità.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Caro Franco,
RispondiEliminaprofonde sono le tue risposte che dai nel corso dell'intervista di Daniela Di Iorio. Soprattutto nella seconda parte che affronta il discorso sul mito", che poi è l'argomento che direttamente tocca la mia visione del mito e la sua attualizzazione come storia dello sviluppo dell'umano agire, ma anche come presenza dello stesso.
Tu scrivi:"L'illo tempore del mito non è un tempo storico, ma un attimo sacro che sfugge vuoi alla logica del tempo vuoi a quella dell'eternità". Vero. Ma proprio per questo appartiene al presente e agisce nel presente, perché il mito vive in ognuno di noi, anche se pochi lo sentono tale. Per questo hai ragione quando affermi che "i miti appartengono alla storia. Tutta la seconda parte dell'intervista (condotta magistralmente dalla Di Iorio) è frutto dalla tua visione del mito ed è di efficace supporto per meglio cogliere il senso della nota da te scritta per il mio Prometeo, della quale ti ringrazio sinceramente.
Umberto Cerio