Guglielmo Aprile
Primavera, indomabile danza
Una
romanza, un’ode, un panteistico afflato al mondo naturale che tutto significa,
imponendo la sua potenza alla miseria di noi esseri mortali. Qui si respira
aria di primavera ma non idealizzata, non traslata, ma vissuta nella sua
interezza, nella sua costante e testarda
rigenerazione: è nel tenere sul palmo un filo d’erba che si scopre la
regalità del volere; l’imperiosità inerme della sua crescita; del suo valore;
per il poeta i semplici nidi tra i rami suscitano la stessa reverenza che si
prova “per le più orgogliose cattedrali.” Una vicinanza olistica alla madre
terra che fa da contraltare al pensiero
filosofico, etico, religioso, umano dell’autore. Proprio partendo da questi
versi si può penetrare da subito a fondo nella poetica di Guglielmo Aprile, nei
suoi pensamenti raccolti e meditati, suscitati dalla visione di un filo d’erba,
di un nido, dall’odore della terra dopo la pioggia, o dal vento che come un
bambino
fa festa e canta sul prato più magro
o in dorso galoppa alle valli...
Una
vera festa di colori e di emozioni, di energica ed ontologica riverenza verso
un naturismo spesso trascurato per interessi economici. Ma qui non si vuole
criticare, non è questa una poesia-contro, quanto piuttosto un poema di
epigrammatico slancio emotivo. Sembra che il poeta liberi la sua anima
sguinzagliandola per prati e valli, per fiumi e colli, in braccio a primavere di
epifanica rinascita, polpose di verzicanti profumi in albe schiarite da soli
novelli. Poi rientra questo spirito vagabondo portandosi dietro il patrimonio
che natura gli ha donato. È così che preme; è così che, con tale carica, invita il poeta a trasferire sul foglio tutto
il suo bagaglio di contaminazioni: melodia, romanza di note wagneriane; sottile eleganza di stagione, palpito
floreale, vitale, voglia di ri-fiorire che
invita Vivaldi a intervenire con suonate di violini, con ritornelli in accordi di effetto visivo; melologo,
ecfrasi fra dire e vedere, fra vedere e sentire, fra sentire e pensare.
Questa la religione del poeta: aggrapparsi alle cose
umili, semplici, vere, pulite per innalzarsi alla maestosità del Creato, ma
sempre tramite l’alito che fa aprire i fiori. Eccola la sua scoperta, la
sorprendente vicinanza alla terra, eccolo il panteismo viscerale di Gugliemo
Aprile. Si possono leggere i frammenti
del suo essere ricorrendo ai dati
della narrazione, dacché la crepa, l’erba, l’alito, i fiori, le onde, il
polline, il vento non sono altro che concretizzazioni di uno spirito tutto
vòlto a dire di sé; a narrare la sua
vicenda terrena, la sua fede:
La mia è la fede nell’erba che
spunta
nei campi e in ogni crepa dell’asfalto,
non ho altro dio che l’alito che fa
aprire i fiori e cavalcare le onde,
credo solo in quest’umile, non scritta
religione del polline e del vento.
Il
simbolismo antropico, l’umano farsi e disfarsi, la legge di eros e thanatos,
sono còlti in una natura audace e sottile, tenera e forte, varia e articolata:
Il mandorlo in fiore somiglia
a una ragazza al primo appuntamento...
in un
raffronto epigrammatico col fatto di essere umani, con l’azzardo all’oltre
delle possibilità del vivere:
Svetta dai cornicioni,
dalle crepe dei muri, a fiotti, erompe
straripa l’erba, sanguina...
Voglia
di amare, di esserci anche contro le ostilità di un vento che strappa o di un
mare che a primavera si rompe fragoroso sulle
ferule prolungate nel cielo.
Una
flessuosa danza di versi ora ipertrofici ora ipotrofici; di settenari a diluirsi
in misure endecasillabe di piacevole euritmia; di varietà tonale in
corrispondenza al diacronico fluire degli stati d’animo:
E più di tutti i saggi
sa parlarmi di Dio
l’odore della terra quando piove...
Qui la
voce del divino, qui l’impatto emotivo-intellettivo, qui la filosofia
tibulliana hoc mihi contingat; qui il poeta con tutta la carica umana volta ad un travaso nel segreto del misterioso regista:
Chi la prima rugiada
raccoglie sulle guance
dell’anemone, chi le lance
del sole in mezzo al fogliame
forgia? Chi insegnò al mare
le sue canzoni, e la strada
all’ape verso i fiori? Chi veglia
che ogni anno il gabbiano
ritorni al suo nido?
Ed è
una continua sorpresa intricante andare assieme al poeta a scoprire la perfetta
organizzazione dell’alleluia dei passeri; l’enigmatico e imperscrutabile
intreccio delle nuvole issate:
Più dolce, più solenne
l’alleluia dei passeri
di quello di tutte le chiese,
le nuvole issate
sotto la cupola del cielo
i soli altari a cui mi inchini,...
il
corso dei fiumi verso il mare; il loro morire e rinascere:
Cercano con impazienza il mare,
e mai paghi, con entusiasmo immutato,
si gettano nuovamente dalle cime,
pronti a salpare ancora...
il
carillon degli uccelli:
Cercano con impazienza il mare,
e mai paghi, con entusiasmo immutato,
si gettano nuovamente dalle cime,
pronti a salpare ancora...
la
ricerca degli ipocastani:
In cerca di cosa protendono
al cielo gli ippocastani
strenuamente le braccia;
quale prodigio attendono
dalle profondità del cielo
quei boccioli, che implorano
la mai bastante carità del sole;...
Uno
spartito sorretto da metafore, sinestesie, enjambement, iperboli:
invenzioni di rara potenza creativa che
danno substantia al dettato poetico; vigore e visività ad emozioni che, covate nell’animo
di Guglielmo Aprile, si sono concretizzate nella danza dei soli simile
all’umano “poiché ha in sé l’uomo qualcosa/ che oltre se stesso lo innalza/ e
lo fa già divino”:
Unica e innumerevole,
è la danza dei soli, e quella
dei pollini tra l’erba bionda:
è oltre l’uomo, e a lui
simile,
poiché ha in sé l’uomo
qualcosa
che oltre se stesso lo innalza
e lo fa già divino.
Nazario Pardini
02/09/2018
DAL TESTO
Religione
Tengo
sul palmo della mano questo
filo
d’erba, tanto
in
apparenza inerme
quanto
imperioso, possente è il volere
che
dalla terra gli ordinò
di
alzarsi, che mi sembra
di
stare al cospetto di un re;
e
guardo ai semplici nidi tra i rami
con la
reverenza che avrei
per le
più orgogliose cattedrali.
E
più di tutti i saggi
sa
parlarmi di Dio
l’odore
della terra quando piove,
il
vento che come un bambino
fa
festa e canta sul prato più magro
o in
dorso galoppa alle valli,
il
docile ronzio
di un
insetto che agita
appena
le sue ali:
lo
sfioro e un riso vago
di
sole tra le ombre di un pino
già lo
ha rapito, non saprò mai dove.
***************
Gli
imperi degli uomini non durano
che un
giorno, a confronto
col
mandorlo che si riveste
di
gemme ogni marzo sui rami,
e
prima di bibbie e piramidi
nel
bosco già il tordo
regnava,
e la fiamma pura
dell’alba
indorava le creste.
Cadranno
altari e mura
eretti
sulla terra, non si estingue
invece
la fiamma che genera
le
maree, brucia nelle vene
del
vento e nelle tue, e un solo poema
compongono
l’onda che scrive
con
miriadi di lingue
rune
sopra le rive,
la
scia della cometa,
la
goccia di pioggia che trema
sull’orlo
di un petalo.
*************
Più
dolce, più solenne
l’alleluia
dei passeri
di
quello di tutte le chiese,
le
nuvole issate
sotto
la cupola del cielo
i soli
altari a cui mi inchini,
la
pioggia che bacia il mio volto
mi
scrive sulla pelle
un
salmo che nessun libro ha mai alzato,
e la
traversata che compie
su un
tronco la coccinella
ripete
il viaggio
che
scrive ogni stella.
La
mia è la fede nell’erba che spunta
nei
campi e in ogni crepa dell’asfalto,
non ho
altro dio che l’alito che fa
aprire
i fiori e cavalcare le onde,
credo
solo in quest’umile, non scritta
religione
del polline e del vento.
Le sono sinceramente riconoscente! Il suo entusiasmo mi grafica: vuol dire che qualcosa, di quella irripetibile stagione passata, in cui provavo a rivivere un'eco della libertà primordiale, camminando intere giornate e dormendo all'aperto, sulla scia di Holderline e di Lawrence, non è andato perduto, visto che l'ho resa partecipe di un sentire di cui ero totalmente imbevuto, prima che tutto in me si fosse guastato... Un caro abbraccio, guglielmo
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