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lunedì 12 novembre 2018

MARISA COSSU LEGGE: "E FU PER ME..." SONETTO DI M. DONTE


Marisa Cossu legge: “E fu per me l’amor un dolce fuoco”
di Maurizio Donte
Petrarca nella poesia contemporanea

Marisa Cossu,
collaboratrice di Lèucade

Nulla di più affascinante per un’aspirante poetessa, della lettura e del commento delle opere, in questo caso un sonetto, di  Maurizio Donte, che mi pregio seguire da alcuni anni sia per affinità ideale alla sua poetica, sia per la passione che entrambi manifestiamo verso la tradizione culturale, in particolare per l’immenso lascito di Dante e Petrarca, presenti nella poesia dell’Ottocento e del Novecento. In tal senso l’opera del Donte va inquadrata: un ponte tra il passato e la contemporaneità, un passaggio cui i poeti non possono sottrarsi, a mio parere, senza elidere zone consistenti del divenire poetico e della critica d’arte.
Riscontriamo dunque, la crepuscolare ironia di un Gozzano, che intesta I colloqui(1911), con un titolo – epigrafe petrarchesco, Il giovenile cuore, e rileviamo  che Saba deriva da Petrarca, più che il linguaggio, l’idea di una struttura lirico-melodica come il suo Canzoniere. A Petrarca guardano soprattutto le poetiche di alcuni movimenti culturali e letterari come la “Ronda” o l’ermetismo, con il recupero di un linguaggio più adatto a dar voce all’interiorità dell’io. Non a caso Lorenzo Montano nel saggio Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono (1929), individua nel Canzoniere il rapporto tra ricerca formale e biografia sentimentale di Petrarca: egli suggerisce  una restaurazione dei valori poetici (linea Petrarca-Leopardi), che il “sorvegliato classicismo” di Vincenzo Cardarelli porterà a verifica sperimentale. Non diverso è il rapporto che il Petrarca stabilisce con la Scuola ermetica: Mario Luzi, instaura un legame tra dimensione esistenziale e dimensione espressiva in sintonia con l’esempio di G. Ungaretti; infatti è in Ungaretti che l’incidenza del petrarchismo è più forte, perché egli riconquista le forme metriche regolari(endecasillabi e settenari ne Il Sentimento del tempo (1933), ma realizza anche una precisa poetica della memoria nello scavo interiore che deriva dai Rerum vulgarium fragmenta.
Questo sonetto del Donte, come tutta la sua opera, si pone in continuità con le migliori esperienze culturali della nostra epoca, si dona onestamente, senza imitazioni e indugi, con generosa passione a tutti noi che, disincantati fruitori di input di ogni genere, o in cerca fuori dall’uomo di nuovi linguaggi, ci chiediamo che cosa è la poesia, chi sono i poeti, a che cosa servono, se è ancora possibile una poesia priva di quei valori etici ed estetici che il Donte ci regala a piene mani.
Questa non è soltanto una poesia dell’amore perduto, non una lamentazione del poeta per la sua rovina: è una grande metafora della vita che prima sorride e infine mostra il suo volto di impossibili speranze, di illusioni tra le tempeste dell’anima e un canto, morto prima di esistere.  È  in questo scavo interiore la bellezza e l’arte del Nostro, che, appropriatosi profondamente delle regole metriche e del linguaggio – ponte tra la tradizione letteraria e i sentimenti che sempre albergano nell’uomo, reinventa un mondo poetico i cui frammenti sono scritti dentro di noi: perciò li riconosciamo e li amiamo.

Marisa Cossu

E fu per me l'amor un dolce fuoco

E fu per me l’amor un dolce fuoco,
 un sole nato, un raggio di mattina,
 un segno dato al cuore, oppure un gioco,
 prima che scenda tenebra e rovina.

Non sono altro ormai che un suono fioco,
 un'onda che alla riva s'avvicina:
 un vecchio che non vive se non poco,
 la luce nella sera che declina.

Un canto nato e morto in un momento,
 un'anima percossa da uragani;
 un vento che non sai da dove viene

è il tempo ch'é passato e che non tiene,
 ma corre attraversando le tue mani,
 senza dire nient'altro che: mi pento.

Maurizio Donte

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