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lunedì 5 novembre 2018

ROBERTO DE LUCA SU "STANZE QUOTIDIANE" DI MARIAPIA BRUNELLESO


Roberto De Luca su  Stanze quotidiane di MariaPia Brunelleso 
da D’amore

Folle, la tua stessa presenza,
se in te, racchiusa e assorta,
l’alterità si ricompone nei silenzi,
sovrapposti all’assenza.
Folle, l’idea inconsapevole di noi,
trattenuta fra le dita,
a confine fra un prima e un dopo,
nel farsi lento di carezze,
come se tu, fossi nuovamente tu,
ed io, a cercarti le mani.

Questa poesia mi fa venire in mente qualcosa di sconfinato, dove, anche se non citato espressamente, esiste un paesaggio, forse dell’anima, nebbioso e sfuggente, poetico e complicato nello stesso tempo. Poesia ricercata, priva di rime, ma molto assestata e corretta nella forma come nello sviluppo dei versi, il cui timbro ricorda costantemente la voce dell’interiorità. E nell’interno, in tutto ciò che è dentro, che ricerca e trova  luce e amore questa poesia, che non dicasi poesia intima o intimista, ma piuttosto poesia ‘indagatrice’e scopritrice delle pulsioni interne dell’animo, bellissima sinfonia in osmosi tra realtà vissuta e sentimento.
Nella poesia stessa si riscontra quindi un dialogo intimo che però prende spunto da un  panorama esterno ,  nel senso che le liriche sembrano nate prendendo spunto dal mondo  e da esso riportate verso l’interno, laddove i contorni sfumano e resta integra l’essenza, che risulta priva di materialità e di fisicità.

Poesia n IX

Aggiungo ali al volo
e nuova rotta al mio pensiero …
Sarà quest’aria nuova di Aprile
che muta il timone e noi altrove
ove tutto diventa minimo e vago
nella sua giusta dimensione.
E’, nel tuo abbraccio
la mia sponda sospesa di luce
e bevo con gli occhi, a piccoli sorsi,
la gioia infinita di esistere,
in questo microuniverso di noi
intimi e sparsi, nel tenero ozio
di un giorno distratto.
In questa poesia sembra che i due amanti siano distesi sulla tolda di una barca a vela, a cavallo delle onde , persi in un piccolo universo poco distante dalla terraferma, quindi dalla sicurezza , che in questi contesti poetici sembra essere necessariamente alla base o alle spalle di ogni forma di evasione, ma comunque presente. Ed è proprio qui, a nostro avviso, il nocciolo della questione , il cuore della poesia della Brunelleso, che non ancòra  la propria Arte a una realtà nuda e cruda, ma a ciò che da essa nasce e trascende.
Il flusso, le onde si muovono lungo la diegesi poetica toccando sponde e argini, passando sopra alle parole facendole vedere o immaginare come lungo le trasparenze di un fiume. Esse provengono da una sorgente vicina, ma comunque invisibile, quasi che la poetessa faccia attenzione a non svelare ciò da cui è stata ispirata, lasciandoci comunque intuire la sua grande capacità di osservare, sia il mondo, che gli esseri umani e di dedicare loro , al contempo, intere pagine ricche di sentimento. Nella parte dedicata al figlio, ad esempio, questi appare distante, immerso in una realtà lontana e la poetessa ne tratteggia i lineamenti, le espressioni del viso, ciò che è racchiuso nello splendore dello sguardo, ridisegnando la realtà, anche questa volta, ma non una realtà inventata ovviamente, piuttosto una realtà meno inquinata dalle cose che vengono dal mondo, quella pura quindi, quella che scaturisce dal sentimento e se ne infischia delle brutture del mondo, rendendola evidente al fruitore in maniera coraggiosa.

E’ una realtà comunque ben vissuta, all’interno della quale la poetessa si trova a proprio agio, in sintonia con ciò che è desiderato nell’intimo, come la felicità, che appare citata ad hoc  in questo fantastico brano di prosa che va a chiudere brillantemente questa silloge di poesia:

Eravamo sulle scale, l’altra sera, quelle prossime alla porta d’ingresso, rimasta spalancata, come si usa ancora, senza timore, nei paesi del sud. Dall’interno giungevano suoni di stoviglie e voci dal mondo, attraverso il televisore acceso.
Aveva appena smesso di piovere: un acquazzone violento, improvviso, con tuoni e fulmini, a gettare una luce di giorno pieno, sulle case fattesi improvvisamente silenziose, le strade svuotate, mentre la terra, vorace, aveva ingoiato all’istante l’acqua piovana, per un’arsura di mesi, cedendo all’aria quell’odore tipico di un’astinenza lunga, un desiderio muto, una richiesta taciuta eppur palese, colmata da una furia, come di passione a lungo repressa. A tratti, sembrava udirsi quasi un affanno. I lampi, intanto si andavano concentrando giù a valle. Ancora qualche goccia cadeva, brillando nella luce dei lampioni. Il fresco sulla pelle, mi è parso inebriante, sembrava un invito alla danza, ma io e te, restavamo seduti, vicini, sullo stesso gradino, a parlare di cose leggere, così come l’aria intorno e ridevamo piano, stringendoci forte.
La felicità, sedeva in mezzo a noi ….








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