Laura
Barone
Dalla
poesia ermetica, l’inizio di un nuovo percorso
Laura Barone |
Il vento è tra i rami,
e il salice vola legato alla Terra
accarezzando l'acqua d'un lago
che non riesce a raggiungere i pensieri
Ecco, ciascuno attende così,
il silenzio che chiude gli occhi.(Attesa del silenzio)
Una
poesia particolarmente significativa della raccolta “Germogli di Sole”, della
poetessa Laura Barone, pubblicata da Edizioni Milella nel 2016, una delle
quarantaquattro liriche che sintetizzano in maniera compiuta la sua espressione
poetica. C’è, in esse, il senso profondo del dramma della vita, della fragilità
dell’essere, ma allo stesso tempo la ferma volontà di elaborare il dolore in
senso positivo per arginare, seppur temporaneamente, il pessimismo per
l’inevitabile e imprescindibile destino umano. Una raccolta, di cui suggerisco
la lettura, in cui la poetessa affronta il dramma con un linguaggio complesso,
allo stesso tempo, lieve, quasi sereno, talora intrigante, non cedendo mai alla
debolezza di volerci coinvolgere nella propria individuale sofferenza. Il
dolore si universalizza e insieme si smorza, in un linguaggio ermetico,
musicale, ricco di assonanze e metafore tratte da immagini della natura, che
evocano, con immediatezza i drammi e i turbamenti interiori della condizione
umana.
Nelle
nuove poesie inedite, di seguito presentate, emerge l’inizio di un nuovo
percorso, sia sul piano del significato che del significante, l’apertura a
nuove problematiche che estendono il dramma individuale verso una dimensione
per così dire epocale. Anche il linguaggio si adatta a questa nuova condizione
poetica, diviene meno contratto, più esplicito, si arricchisce di nuovi
elementi, per trasferire in maniera più efficace la complessità che si vuole
affrontare.
Quanto
detto è già evidente nella lirica seguente, premiata al Concorso dell’Accademia
dei Disuniti dello scorso anno.
Acceso
da anime nere un rogo
devasta
la verde terra e il cuore.
Alberi
s'infiammano di rosso
e
scollina l'incandescente bagliore
verso
disperati usci.
E l'
Arno attende pensieroso al buio
lì
dove i poeti lavavano parole
e il
Sommo fiorentino combattè le truppe
ai
piedi del castello.
Sinistro
inferno ormai dilaga
e lava
via speranze e poi fatiche
è un
drago che distrugge
e in
suo potere tiene il respiro di ogni vita.
Quanto
mi appare amara la mia Terra
violata
da un gran Male in ogni dove
piegata
e incenerita nel profondo
come
un ulivo che più non scampa al fuoco (Inferno sul Monte Serra)
Una
lirica che prende le mosse dal vasto e terribile incendio che ha interessato
recentemente il Monte Serra, per divenire alla fine una riflessione amara e
universale sulla malvagità umana nei confronti della natura, violata nella sua
essenza profonda. Dopo la rappresentazione dell’incendio, che assume le forme
apocalittiche di una irreversibile devastazione globale, il tono diviene più
pacato nella personificazione dell’Arno pensante, che, seppur memore delle
glorie passate e dei personaggi che si sono alternati sulle sue rive nel corso
della storia, appare smarrito in un’attesa senza speranza. E mentre il fuoco
dilaga incessante, emerge la sofferenza per la distruzione della terra che ama,
la cui prostrazione profonda è ben stigmatizzata nell’immagine finale
dell’ulivo che, sconfitto, cede alla forza del fuoco.
Una
lirica profonda e di alta intensità, caratterizzata dall’uso dosato e sapiente
di immagini e figure retoriche che accentuano con efficacia la drammaticità
dell’evento.
La
natura diviene sempre più presente come nella poesia che segue. Gli elementi
naturali assumono una funzione simbolica ed evocativa dello stato d’animo e
soprattutto costruiscono lo scenario che si vuole trasferire. La natura
rappresenta così una “foresta di simboli” parafrasando Baudelaire, che in
Correspondance, elabora la sua visione poetica.
Tra
gli arbusti di mirto e di forsizie
nascondeva
volitive radici
e tra
i rami custodiva nidi di Calandra.
Ascoltava
il vento salmastro,
incidere
le pietre del muretto
e la
pioggia levigare i suoi pensieri.
Pregava
il sole di sciogliere
nel
legno un sogno
e fare
del suo tronco un regno.
Intorno
a lui solo silenzio
e
sulla sua corteccia il grido della luna
tra
pelle di cicale senza canto
Ma
quando lui guardava il mare
dalla
scogliera nasceva nuova schiuma
e un
dolce tempo scaldava le sue pene.
Ai
suoi piedi sostava
la mia
penna inquieta
e nel
fuoco del tramonto
nascevano
parole di roccia e burro
che
irrisolte si univano
ad un
fremito perenne.
Placava
il suo patire solo quando
anch'io
guardavo il mare
e le
insicure onde a cui affidavo
le mie
domande al mondo.
mentre
il vento scompigliava i campi,
e
l'anima affondava nelle attese (L’albero che guardava il
mare)
C’è
l’identificazione tra poeta e natura, una comunanza fisica e spirituale, nel
ricercare in essa, seppur vanamente, la risposta alle grandi domande
esistenziali e ai problemi del mondo; una sorta di alleanza di fronte al dolore
e al mistero, in una condizione di attesa che purtroppo non lascia adito a un
barlume di speranza.
E infine una riflessione sul
rapporto tra i poeti e la poesia
Nevica
fuori stagione
sul
pesco e sulla Jacaranda in fiore
e il
rumore avvolge le parole
incastonate
nel silenzio.
Si
posano i fiocchi
su
stanchi selciati
e geme
la vita ferita.
È
l'assenzio quel vuoto che giace
e
bevono labbra assetate di vero
per
fare d' un cuore un sentiero.
E
mentre rintocchi di stolide dita
s'affannano
a dare lezioni di nulla;
esiste
poesia che detta la via
che
spinge e tumulta
poi
dolce accarezza.
C'è
lei che ti guida
e tu
non sei nulla
se non
spazio aperto
su cui
nevicare. (I poeti non esistono)
Un
modo poetico di dare una spiegazione di come si estrinseca l’ispirazione
poetica, su cui la critica di tutti i tempi si è cimentata, con opinioni
diverse e talora contrastanti, certo discutibile, forse sconcertante, ma senza
dubbio originale nel contenuto e nel linguaggio. La poesia è un’essenza della
vita, qualcosa di eterno che esiste a priori, prima e oltre l’uomo. Un concetto
in contrasto con il significato letterale di “poiesis” che vuol dire azione,
che attribuisce all’uomo il ruolo del raggiungimento del sublime Kantiano della
creazione artistica. Qui invece il poeta non è altro che colui in grado di
percepirla e comunicarla, come dice, in maniera efficace Laura Barone, “uno spazio aperto su cui nevicare”.
Complimenti, Laura! Bravissimo , Franco Dnatin!
RispondiEliminaGrazie Cecilia!
RispondiEliminaNon posso che complimentarmi con Franco Donatini per l'acuta ed attenta analisi delle poesie di Laura Barone. Giustamente Donatini sottolinea la ricerca raffinata che la poetessa compie sul linguaggio, la selezione delle parole poetiche che usa per un'adesione tra natura e sentimenti, tra immanenza e realtà, che credo sia la cifra essenziale del sentire di Laura Barone e del suo esprimersi poetico. In questo senso, trovo che la notevole "Inferno sul Monte Serra" sia la lirica più emblematica del suo fare poesia.
RispondiEliminaTrovo comunque tutte e quattro le poesie indicate da Donatini e riportate nella sua analisi veramente profonde e ricche di suggestioni. Viene voglia di leggere tutta la silloge "Germogli di sole", tutte e 44 le liriche, di confrontarsi ed apprezzare il lavoro poetico nella sua compiutezza, ed è certamente ciò che presto faremo.
Anche perché una voce poetica importante e originale come quella di Laura Barone merita essere colta ed apprezzata nella sua completezza, nei vari e differenziati momenti in cui la sua sensibilità si confronta e interagisce con se stessa o con la realtà che ci circonda.
Una voce poetica che sa trasmettere leggerezza e profondità, che sa cogliere le intime vibrazioni che la natura fa risuonare nel nostro animo, che sa farci riflettere sulla bellezza e sul dolore, sulla serenità e sul dramma.
Un sincero grazie al Prof. Nazario Pardini per avermi ospitato sul suo sito è grazie di cuore al Prof Franco Donatini per la bellissima e attenta recensione.
RispondiEliminaLaura Barone
Gianni, grazie davvero del tuo commento mi spiace che nonostante il cognome uguale non siamo parenti!
RispondiEliminaScherzi a parte, grazie ancora del tuo apprezzamento. Fare poesia oggi è una grande incognita sapere che i propri versi aprono le porte ad un sentire comune è davvero confortante.
Grazie a te Laura per le emozioni che ci regali con i tuoi versi.
EliminaGianni, grazie davvero del tuo commento mi spiace che nonostante il cognome uguale non siamo parenti!
RispondiEliminaScherzi a parte, grazie ancora del tuo apprezzamento. Fare poesia oggi è una grande incognita sapere che i propri versi aprono le porte ad un sentire comune è davvero confortante.
Nei versi di Laura Barone intravedo la consapevolezza dell’impossibilita della parola di esprimersi compiutamente , ed e’ per questo che e’ forte il richiamo verso la natura nelle sue varie forme ,alberi e arbusti , pioggia ,sole e mare , ma soprattutto il vento , che scompiglia i rami, che incide le pietre, il vento compagno dell’aniMa , che accoglie in se’ il dolore del mondo e aspira al silenzio , come una cicala senza canto .
RispondiEliminaGrazie della tua attenta nota, Nadia, concordo con te.
EliminaLa parola assolve alla sua funzione descrittiva nei suoi limiti linguistici e semantici. Sta a chi scrive attendere l'ispirazione che gli consentirà di rielaborarla e riassociarla evitando la banalità.Il richiamo alla Natura assume un significato fortemente simbolico in cui l'Uomo tenta di entrare in simbiosi e diventare quindi un tutt' uno con essa, un "dare, avere" di energia salvifica tendente a riportare l'equilibrio ormai perso tra anima e umanità.
Quando le parole liberano emozioni incatenate dall'indifferenza quotidiana .... Grazie Laura
RispondiEliminaCome le parole liberano emozioni, assopite dell'indifferenza quotidiana ... Grazie Laura
RispondiEliminaDei "Germogli di sole" colgo una visione zen, mutuata dalla natura, dall'attesa di un silenzio salvifico...
RispondiEliminaUna poetica che mi risuona, quella di Laura Barone, e che tocca l'anima, anche per il sentito omaggio "Inferno sul Monte Serra". Ci si addentra volentieri nella foresta di simboli tra la natura così necessaria e imponderabile che sovrasta i suoi versi; "L'albero che guardava il mare" lo vedo stagliarsi tra il vento salmastro, come muto testimone del dolore e del mistero. Illuminante poi la chiusa de "I poeti non esistono", dove ci si può identificare in quello spazio aperto su cui nevicare.