Anna
Santarelli: La città e l’anima. Carta&Penna
Editore. Torino. 2018
Silloge
complessa e articolata dove il verso con le sue varianti metriche cerca di
farsi carico di un pathos penetrante e polisemico. La città e l’anima, il titolo della plaquette, che, attraverso
uno spartito di euritmica andatura, spiattella su un vassoio d’argento i
palpiti emotivi scatenati da una realtà che la poetessa vive in prima persona e
fa sua per tradurla in oggettivazione. Sembra proprio che l’animo della
Santarelli venga sbrigliato e che questo, libero e girovago, scorazzi per le
vie; capti visioni e orizzonti per macerarli dentro caricandoli di sfumature
estemporanee, e di impressioni soggettive; questi patemi una volta rincasati
restano a maturare per tramutarsi in
versi di plurale connotazione; in effetti è proprio il dipanarsi di
iuncturae significanti a dare energia e
sonorità ad un mondo di personale fattura; tanti profili che non mollano e
restano aggrappati alla sacca del memoriale in attesa di tornare alla luce; al
sole verniciati di un sentire morbido e ricco di saudade: ecco Lisbona, che fa
di una realtà l’immagine della poesia:
Poi
Alfama, i suoi vicoli le scale
il
limite dello spazio che si chiude
la
malinconia struggente annidata
nell’ombra
e nelle note del fado
Ecco Il sapore della piazza:
Al
tavolo di un bar del centro
davanti
a un drink ghiacciato
una
turista giapponese assapora
la
piazza, ogni tanto immancabile
l’occhiata
complice allo smartphone
Ed
ecco La mia città
Si
distende sulla riva del fiume
la
mia città, ha strade strette
e
case abbracciate nei vicoli
Conserva
segreti d’ombra
imbevuti
di silenzio, talora
carpiti
sulla linea dei passi
dove i
sinestetici profili e i docili stilemi si danno alla creatività della
Santarelli per aiutarla nella sua operazione di lettura; di invenzione
rielaborativa dove il tutto assume sembianze di segreti d’ombra imbevuti di
silenzio.
Le
immagini corrono snelle e feconde, attive e produttive in questa metamorfica
trasfusione. L’animo opera, interviene, prende e lascia in favore di un
poematico allungo costruttivo.
Tre le
sezioni in cui si divide la silloge: Profili,
Paesaggi d’anima, Periferie. Un climax ascendente, in cui le parti sono
tenute ben legate tra loro da un
energico e sottile fil rouge. Al di sotto di esse sembra di percepire un
sottofondo musicale, un tema unitario come può avvenire in un grande melodramma tipo Tosca o Bohéme di
memoria pucciniana. In effetti il passato il presente e il futuro si embricano
in un compatto gioco di richiami a dar voce al canto. Ed ecco ad affacciarsi ai
paesaggi dell’anima Il mare dentro
con tutta la sua acquorea portata odeporica; la fuga, gli orizzonti, la
lontananza, l’ambire ad alcove di edenico ristoro, il mare dentro a contenere
il mondo / ogni ipotesi ogni passo del viaggio:
A
tutti noi appartiene l’acqua
vibriamo
nello sciabordio dell’onda
nel
moto ineludibile della risacca
E’sempre
una rinascita il mattino
il
mare dentro a contenere il mondo
ogni
ipotesi ogni passo del viaggio
Ed il
ritorno; il riappropriarsi delle proprie radici, dacché è proprio dopo il
viaggio che ne scopriamo il valore e la verità; nell’abbraccio Alla
mia terra:
Cerco
un segno all’ombra dei pioppi
lungo
la via che conduce agli orti
una
voce inseguo sul marciapiede
baciato
dalle fronde di un salice
I
pioppi, gli orti, il marciapiede, la via, il salice, tutte realtà che hanno
messo le barbe e non mollano; sono loro che tornano a richiamarci ad una storia,
ad un vissuto; e mandano in avanguardia il respiro di un salice, o il profumo
di una casa, per ammaliarci e renderci nostalgici; d’altronde la Poesia si ciba
di memoriale, di onirici messaggi, di
potenti stati d’animo; e se il tutto viene trasmesso attraverso incastri di
armoniche sonorità il gioco è fatto. Ed è proprio nello stile di questa
plaquette la ricerca di un verbo che si faccia pedina importante nella
euritmica risonanza prosodica. Sì, la musicalità; quella che si ottiene variando
le intensità sonore, ora più brevi, ora più ampie: tanti accessori a
disposizione di cascate endecasillabe che risuonano maestose. Qui la purezza
del canto, di quello della Santarelli, che di sicuro non ha niente a che vedere
con la riforma di prosastica positura, tesa ad annullare la presenza dell’io
poetante con tutto il suo bagaglio empirico; qui è il contrario, la poetessa è presente con
tutto il suo patema esistenziale; è fattiva, attiva; c’è con l’amore, la
memoria, le radici, e con una realtà che incide sul l’epigrammatico gioco delle
simbologie; con uno sguardo attento e partecipe alle sorti del mondo, della
città, di un’anima o delle tante periferie che sembrano sfuggire alla vista
degli umani:
Ai
margini
Lungo
strade di frontiera
attraverso
le insidie del deserto
in
mare aperto e burrascoso
stipati
a bordo di un gommone:
si
ripete il viaggio dei migranti
storie
ai margini del mondo
estremità
dolenti di esistenza
Radici
estirpate da paesi spogli
e
martoriati, legami presto recisi
poco
da portare, un farmaco
una
foto e i documenti personali
Fiamme
di speranza in cuore
a
fendere il buio della notte
e
accendere il sogno d’altri cieli
E c’è, lì a meditare, con tutti i suoi
stati d’animo:
Sono
condizioni dello spirito
sottili
ansie e lievi mancanze
raramente
vere insufficienze
vivono
soprattutto di silenzi
fragilità
permeate d’ombra
noi
fermi sul bordo della via
Nazario Pardini
DAL TESTO
La città e
l’anima
“Conosco
una città
che ogni giorno s’empie di sole
e tutto è rapito in quel momento”
(Giuseppe
Ungaretti)
Profili
Elogio
di un balcone
E’angusto
lo spazio di un balcone
di
luce e d’ombra, di sguardi fugaci
vive,
di voli brevi di passeri si nutre
del
rosso dei gerani s’infiamma
Un
balcone conosce molte verità
sfiora
il calore di una casa e distingue
geometrie
d’anima, collega la gioia
di
un approdo al dolore di una parete
Tutte
le sfumature del giorno coglie
e
l’insondabilità della notte, il balcone
è
una parola e l’azione che accompagna:
essere
e apparire, protendersi e ritrarsi,
bastare
a se stessi e guardare lontano
Opposti
Delicato
come un bianco oleandro
che
timido s’affaccia sulla strada
solido
come il tronco slanciato
di
un pino che apre il verde ombrello
Affollato
come una via a mezzogiorno
nel
groviglio di una realtà metropolitana
deserto
come un parco nel sonno serale
Pieno
al pari di una vita di ipotesi e idee
vuoto
quale il tempio che porta a eliminare
ogni
orpello e diviene guscio di silenzi
Ricordando
Lisbona
Mi
avvinsero il tuo sguardo di luce
il
corpo adagiato sulla riva del Tago
le
strade inerpicate sulle colline
l’energia
e l’aria frizzante del Chiado
Vivono
in me i colori degli azulejos
rivestimento
di pareti d’anima
e
suggestioni manueline intrecciate
al
sogno del viaggio e d’altre terre
Poi
Alfama, i suoi vicoli le scale
il
limite dello spazio che si chiude
la
malinconia struggente annidata
nell’ombra
e nelle note del fado
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