DALLA
METRICA QUANTITATIVA ALLA PROSA POETICA DI LUCIANO DOMENIGHINI
Satira,
satura, satur, pieno, sazio. Dice Quintiliano “Satura quidem tota nostra est”.
La satira è completamente nostra, in mano ad attori Historiones, che si esibiscono
in un genere di musica danza e recitazione.
Luciano
Domenighini, non nuovo in queste imprese
(basterebbe affacciarsi al suo Poemi
didascalici latini), ci offre un quadro rappresentativo di un genere letterario,
come afferma Quintiliano, prettamente latino; un genere che
a differenza di altri, non ha risentito di contaminazioni. Quello che ci
appare è una traduzione personale, non proprio alla lettera, dei versi di
Autori Satirici. Tutto è reso in una prosa fluente, armonicamente suasiva, dove
la sapienza verbale si prende a carico tanta emotività; tante sfaccettature di
pagine scritturali scelte a “pallino”, dacché rispecchiano coi loro contenuti
le latebre di una società (la nostra)
tanto simile a quella di una romanità in crisi; soggetta ad essere bersaglio di
una attenzione mordace alla Giovenale. Qui la novità del testo; tutta nel
rendere una metrica classicamente quantitativa in una prosa attuale, per
spirito e contenuto. Cosa non facile
modernizzare il dire dei latini, renderlo attuale, e consonante ad una
narrazione che è viva nelle corde dello scrittore. E tradurre significa
interpretare, far nostro, rielaborare e partorire. Significa studiare, gettarsi
a capofitto nell’ambito culturale dei singoli Autori che lo connotano, far
nostro un dizionario, una maniera di intendere e di vivere. Domenighini ha
fatto sua questa cultura, ne ha studiato gli input, le caratteristiche, e con
grande fattività energetica, con generosa intuizione verbale, con vasta
competenza classica, e creativa, ci offre una Antologia di rara fattura
filologica. Leggerne le traduzioni significa scoprire le malizie tecniche e
soprattutto la sua passione per i classici latini. D’altronde già altre volte
l’Autore si era misurato con imprese del genere. E già aveva rivelato tutta la sua perizia
epigrammatica. Sì, dacché è strettamente personale una scelta; significa
preferenza, equazione fra l’oggetto da tradurre e il soggetto che anima di
sé una pagina; che ricorre a tocchi
personali, a strategie che lo distinguono. Il libro riporta in esergo i versi
33-39 di LA SERA DEL DI’ DI FESTA di
G. Leopardi, in cui il recanatese si lamenta che tutto il mondo sia in silenzio
e non ragioni più delle opere dei classici: “... Tutto è pace e silenzio, e
tutto posa/ il mondo, e più di lor non si ragiona”. Si procede con la premessa
dell’autore: “Alla satira di ogni tempo attiene il compito di narrare le vicende
del consorzio umano come scontro perpetuo tra istinto e ragione e, in
definitiva, come infinita contesa, nell’animo e nei comportamenti umani, fra i
sette peccati capitali.... e le sette virtù....”. Segue la Prefazione attenta e
esaustiva di Chiara Filippini, che ci introduce nella focus della satira
romana: “... La satira, genere letterario eminentemente latino, accompagna lo
scorrere della storia romana da Lucilio, vissuto nel III secolo a. C., a
Giovenale, poeta del II secolo d.C., e si distingue per alcune caratteristiche
proprie...”. Cinque gli autori esaminati: Gaio Lucilio, Quinto Orazio Flacco,
Aulo Persio Flacco, Decimo Giunio Giovenale, Marco Valerio Marziale. Seguono:
Appendice: Ars poetica, Postfazione a cura di Niccolò Dell’Erba, Nota critica a cura di Ilaria Celestini,... e
nota biografica.
Si
inizia, quindi, con Quinto Orazio Flacco (65-8 a.C.), con le sue satire Contro l’ingordigia dell’accumulare, la solitudine dell’avaro, L’avaro si rende
odioso e resta solo, La giusta misura...,
La satira origina dallo spirito della
commedia, Cronaca di un viaggio
fino a Poesie... Emerge soprattutto
dalle satire (bonaria quella di Orazio, sferzante quella di Giovenale) quanto
sia vario il mondo del quale il poeta finemente si burla, ma anche che la sua satira è prevalentemente
letterario-filosofica. L’altro sentimento spesso cantato è l’amicizia; ma c’è
differenza tra l’amicizia intesa da Catullo, gelosa e violenta, e l’amicizia
oraziana, fatta tutta di calma, di un effetto tranquillo. Si passa a Aulo
Persio Flacco (34-62 d.C.): V, 151-153, Prologo
(Ci si guardi dai poeti prezzolati!),
Satira IV, V (Dixeris haec inter
varicosos centurioines/ continuo crassum ridet Pulfenius ingens/ et centum
Graecos curto centusse licetur- Se dirai
queste cose in mezzo a centurioni varicosi, / immediatamente un nerboruto
Pulfenio riderà di gusto/ e per cento Greci offrirà neppure cento assi).
Linguaggio difficile, non troppo comprensibile, e privo di legami logici fra le
diverse serie per la loro frammentarietà. Il poeta trova modo di burlarsi nello
stesso tempo dei tanti pseudo poeti che allora infestavano le sale di
recitazione. Molto attuale se si pensa alla babilonica confusione di poeti e
poetucoli di oggigiorno. Seguono le pagine deicate a Decimo Giunio Giovenale: Satura I (Sono stufo di ascoltare poesie, belle o brutte che siano, ma lontane dalla
realtà, attualissima (I, 87-95, 147-150: Oggi a Roma si è toccato il fondo: “... Niente di peggiore la
posterità potrà aggiungere ai nostri
costumi...”. L’osservazione del poeta portata all’estremo scopre il suo vero
temperamento, di un osservatore crucciato agli occhi del quale la vita in tutte
le sue manifestazioni non è che vizio: l’indignazione lo spinge a far versi
(facit indignatio versum – I 79). Nella sua satira c’è un malcelato rancore
contro un mondo che se la gode, lasciando la virtù ai poveri e agli ultimi
(probitas laudatur et alget – I 74). A lungo il suo periodo diventa complesso,
perché a lui non sempre basta la parola d’effetto, dal momento che non vuole né divertire né
meravigliare, ma sferzare a sangue. Si prendono in considerazione le satire
fino alla XI (Interea Megalesiacae spectacula mappae/ Idaeum solemne colunt,
similisque triunpho/ praeda caballorum praetor sedet ac, mihi pace/ inmensae
nimiaeque licet si dicere plebis,/ totam hodie Romam circus capit, et fragor
aurem/ perculit, eventum viridis quo colligo panni... Frattanto, mentre noi
ceniamo, gli spettatori delle corse equestri Megalesi celebrano la festa della
Dea Madre Cibele e il pretore siede sul carro trionfale in balia dei suoi
cavalli: in ragione della folla immensa e smisurata, se mi è concesso dirlo,
oggi il Circo contiene tutta Roma, e un’ovazione fragorosa mi colpisce le
orecchie, da cui deduco che la vittoria è andata ai verdi...). Marco Valerio
Marziale (40-104 d.C.) è l’ultimo poeta preso
in esame. Così lo presenta Domenighini nella sua nota introduttiva. “Marziale,
dei satirici latini, è il più moderno. Non ostenta grandi principi morali e il
suo cinismo, residuale e, quasi suo malgrado, talora si affianca alla gretta
meschinità del “cliens” di professione che fa i conti precisi di quanto debba
essere corrisposto al proprio servilismo e che protesta e ironizza quando il
corrispettivo non è adeguato... Saltuariamente, in certe aperture descrittive o
in qualche ripiegamento elegiaco (per la piccola Erotion, V- 34, 37) si rinviene una vena lirica intensa sostenuta
da un’invenzione metaforica di qualità superiore. Di seguito tre versi
inziali di I poti contemporanei: ignoranti, vanesi e ridicoli: Nunc satis est dixisse: “Ego mira poemata
pango;/ occupet extremum scabies; mihi
turpe relinqui est/ et, quod non didici, asane nescire fateri – Oggigiorno
basta dire: “io faccio poesie meravigliose: prenda la rogna chi arriva ultimo!
Non sopporto di essere lasciato indietro e di ammettere di non sapere affatto
quello che non ho imparato”.
Il
libro, di ben 320 pagine, evidenzia una particolare versatilità dell’autore,
che spazia da brano a brano con una sagacia interpretativa di acuta valenza. E
quello che più colpisce è l’attualità degli scrittori scelti che in gran parte
delle loro composizioni rivelano contenuti di moderna sagacia critica. Un libro
che potrebbe essere di grande utilità didattica se impiegato in licei o anche
in indirizzi classici universitari.
Nazario
Pardini
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