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martedì 2 aprile 2019

NAZARIO P: "NON CIURLAVANO..."


Nazario Pardini. Alla volta di Lèucade.
Baroni. Viareggio. 1999


Non ciurlavano nel manico le madri

I SASSI DI LEUCADE







Non ciurlavano nel manico le madri
stanche e disfatte. Avevano nel seno
una serpe infedele del colore
della terra invernale. Carezzavano
solchi bislunghi al tremito di foglie
verdognole e gelate, per intere giornate,       
senza sole, perdendo tramontana                
se la civetta non falcava le ali                
tra le rame dorate. E non ciurlavano
nel manico la sera alle faccende
tra le pareti smosse dalle lingue
di fascine affocate. L’ora tarda
restavano a pensare: - Per domani
è questo il pranzo. - Ma non attecchivano
il pranzo con la cena. Non avevano
il coraggio persino di dormire
se guardavano languide che il fumido
tepore di lenzuola sul caldano               
sortiva umor di pino. Ripetevano:               
- La scuola al primo posto - poi smettevano
senza finire mai quel bel discorso
paesano; senz’altro lo facevano
per non sottrarre alla terra il valore                     
di pagano rispetto che nutrivano                 
(era mentalità d’altronde in casa
dei paesani che, se non sporcavi                  
le mani con la terra, tu eri quasi 
un da niente). E proprio fino in fondo,              
con gli occhi alla campagna abbandonata
dalle fughe in città, mi ripeteva
mia madre: - Tutto è vuoto! Non si semina
più quel bendiddio. È tutto un abbandono.
Che cosa mangeremo nel futuro.
Più nessuno lavora. - Mi ricordo
che il mio campo si apriva tanto lungo
al maestrale o alla tramontana
che ancora porto il gelo dentro il ventre.
Ma è l’animo che sgela tutto quanto,
se evadono da oggetti i volti aperti
di tutti noi accalcati a un tavolone
cadente giù con orli di tovaglie       
ricamate di trine per le feste.                        

da “Alla volta di Lèucade” , Viareggio, 1999



2 commenti:

  1. Scusatemi se non entro nel merito artistico di questi versi, peraltro meravigliosamente pardiniani....qui altro mi ha profondamente commosso.
    E' un inno cantato con gli accenti e le parole di una Toscana contadina che ai nostri giorni sembra un'invenzione.. I versi hanno il profumo dei camini accesi....del letto riscaldato col "trabiccolo"...l'eco di una povertà ricca di sapienza...
    Vero! Le madri "non ciurlavano nel manico" la sera , quando a fine della giornata di fatica si "lambiccavano il cervello" per l'avvenire dei figli, così come per il" desinare" da mettere in tavola il giorno dopo.
    Eppure, quale indimenticabile tesoro della memoria quel : "....tutti noi accalcati a un tavolone/ cadente giù con orli di tovaglie/ ricamate di trine per le feste."
    Carissimo Poeta, caro amico e Maestro, non solo i tuoi occhi oggi hanno i "lucciconi"!
    Grazie! Edda Conte

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  2. Questa lirica è l'Esempio del tempo che è stato e che nonostante la fame, il gelo, la povertà, era reso sereno dallo stare vicini, dal condividere le situazioni e la speranza. L'immagine del 'tavolone /cadente giù con orli di tovaglie/ ricamate di trine per le feste" è struggente, denso del pathos che molti dei nostri parenti ci hanno trasmesso... e che spesso non siamo stati volenterosi nell'ascoltare... Chissà perchè la lettura di questi versi incide più di manciate preziose di ricordi. Credo sia merito della maturità, della consapevolezza che le mancanze sono quasi sempre quelle interiori, che il tempo può lenire certe sofferenze e accentuarne altre. In questi giorni vicini alla Pasqua calarci nell'affresco di Nazario equivale a riflettere sui valori. Il materialismo e le vicende di ordinaria follia ci stanno rendendo sordi e muti. Lui invita ad ascoltare l'Amore, quello del coraggio, della mesta fiducia nel domani, della casa come topos attorno al quale giravano le vite. Molte cose sono cambiate. Coloro che digiunano restano troppi, ma sono altrettanto numerosi coloro che praticano il culto dell'esagerazione, del 'tutto e subito', del consumare il cibo e, purtroppo, i sentimenti.
    La poesia evoca i classici della letteratura, commuove e invita a riflettere e a non lamentarsi.
    Un grazie immenso al mio Nazario che abbraccio con l'Anima e cari saluti e auguri agli ospiti del suo magico Scoglio.
    Maria Rizzi

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