SUL DIBATTITO: “NAZARIO
CRITICA LINGUAGLOSSA”
Giungo tardi in
questo dibattito, perché sono stato un po’ lontano da internet in questi
giorni. Volevo tuttavia dire qualcosa, perché amo la poesia di Nazario Pardini,
la amo con il cuore, al di là di tutte le considerazioni tecniche che si
possono fare. La amo perché ha la capacità, rara oggi, di coinvolgermi
interiormente, evocare emozioni e ricordi, immagini di un contesto che ho in
parte vissuto e fanno parte integrante della mia interiorità più profonda. Chi
scrive non è un poeta ma uno scrittore di narrativa, con tutte le limitazioni
del caso nell’avventurarsi nel dibattito sulla poesia. Comunque non credo di
sbagliare se dico che la poesia di Nazario è a tutti gli effetti poesia
moderna, nel senso stretto della parola, cioè la poesia che a partire da
Baudelaire, ha attraversato nelle varie forme il novecento, esprimendo in
maniera sublime come non mai, i drammi e le malinconie, l’alienazione e il
disagio, le pulsioni e le sofferenze provate dall’umanità in questa fase così
intensa e turbolenta. La poesia di Nazario guarda al nostro tempo con uno
spirito nostalgico e insieme di abbandono, velato di tristezza e allo stesso
tempo di dolcezza. Rappresenta il nostro altrove, quello che sentiamo sfuggire
ma non vorremmo perdere mai, perché, finché esisterà l’uomo, sarà sempre
un’altrove a dare un senso alla nostra esistenza.
Il linguaggio è anch’esso tipico della poesia moderna, sintetico, evocativo, ricco di immagini e di simboli, di ritmo e musicalità, di figure retoriche che straniano la descrizione verso la percezione. Questo è il linguaggio della poesia detta moderna, pur risalente al ‘900, la poesia che amo.
Pongo tuttavia una domanda che ogni tanto mi angustia. Dove va oggi la poesia? È possibile prevedere un’evoluzione? Difficile risposta! La grandezza della poesia del ‘900 rende difficile a pensare qualcosa che possa superarla. Questo credo che sia l’obiettivo alla base del NOA. È indubbio che la nuova poesia debba cogliere in qualche modo le trasformazioni in atto, di una società che è cambiata profondamente. Una evoluzione sul piano del significato, o anche un sovvertimento su quello del significante? Occorre un nuovo linguaggio, un approccio totalmente nuovo come chiede Linguaglossa, occorre superare il lirismo, considerato punto di forza da alcuni e di debolezza da altri della grande poesia italiana, oppure no?
Di fatto si propone una rottura drastica degli schemi attuali, un po’ come successe per i futuristi i quali affermavano la distruzione delle espressioni artistiche correnti, per intercettare la modernità. Ma poi anche in questo caso, per esempio per quanto riguarda la pittura, fu il vecchio divisionismo a fornire lo strumento per evocare sulla tela il senso del cambiamento e della velocità.
Quello che penso è che i grandi cambiamenti non si fanno sovvertendo il passato o sulle sue ceneri, ma attraverso la creazione di idee e strumenti che superino quelli correnti, senza negarli, un po’ come avviene in campo scientifico dove una nuova teoria non nega la precedente, ma la contiene.
Cioè guardare in avanti, senza perdere quello che abbiamo costruito. Un grande amico, che ho perduto troppo presto, Ubaldo De Robertis, poeta di grande sensibilità e cultura, creatore di liriche sublimi, pervase da un alto lirismo, si era addentrato con successo nella nuova poesia, portando con sé gli strumenti che avevano fatto parte integrante della sua esperienza poetica.
Sono argomenti di grande interesse che meriterebbero molte serate di dibattito, che mi piacerebbe ospitare nel salotto letterario che tengo mensilmente nella mia casa a Montecarlo di Lucca.
Il linguaggio è anch’esso tipico della poesia moderna, sintetico, evocativo, ricco di immagini e di simboli, di ritmo e musicalità, di figure retoriche che straniano la descrizione verso la percezione. Questo è il linguaggio della poesia detta moderna, pur risalente al ‘900, la poesia che amo.
Pongo tuttavia una domanda che ogni tanto mi angustia. Dove va oggi la poesia? È possibile prevedere un’evoluzione? Difficile risposta! La grandezza della poesia del ‘900 rende difficile a pensare qualcosa che possa superarla. Questo credo che sia l’obiettivo alla base del NOA. È indubbio che la nuova poesia debba cogliere in qualche modo le trasformazioni in atto, di una società che è cambiata profondamente. Una evoluzione sul piano del significato, o anche un sovvertimento su quello del significante? Occorre un nuovo linguaggio, un approccio totalmente nuovo come chiede Linguaglossa, occorre superare il lirismo, considerato punto di forza da alcuni e di debolezza da altri della grande poesia italiana, oppure no?
Di fatto si propone una rottura drastica degli schemi attuali, un po’ come successe per i futuristi i quali affermavano la distruzione delle espressioni artistiche correnti, per intercettare la modernità. Ma poi anche in questo caso, per esempio per quanto riguarda la pittura, fu il vecchio divisionismo a fornire lo strumento per evocare sulla tela il senso del cambiamento e della velocità.
Quello che penso è che i grandi cambiamenti non si fanno sovvertendo il passato o sulle sue ceneri, ma attraverso la creazione di idee e strumenti che superino quelli correnti, senza negarli, un po’ come avviene in campo scientifico dove una nuova teoria non nega la precedente, ma la contiene.
Cioè guardare in avanti, senza perdere quello che abbiamo costruito. Un grande amico, che ho perduto troppo presto, Ubaldo De Robertis, poeta di grande sensibilità e cultura, creatore di liriche sublimi, pervase da un alto lirismo, si era addentrato con successo nella nuova poesia, portando con sé gli strumenti che avevano fatto parte integrante della sua esperienza poetica.
Sono argomenti di grande interesse che meriterebbero molte serate di dibattito, che mi piacerebbe ospitare nel salotto letterario che tengo mensilmente nella mia casa a Montecarlo di Lucca.
Franco Donatini
Completamente d'accordo: l'Araba Fenice - non dimentichiamolo - rinasce dalle proprie ceneri, costruendo e non distruggendo. Mi associo al ricordo di un grande poeta ed amico quale è stato per me Ubaldo De Robertis.
RispondiEliminaSandro Angelucci
Carissimo Franco,
RispondiEliminase questo dibattito ci sarà, e sarebbe bellissimo, farò di tutto, nonostante la distanza, per esserci.
Sono completamente d'accordo: gli insegnamenti del passato sono l'humus su cui s'impianteranno i nuovi semi. Senza di essi nascerebbero solo spine. Se sarà possibile fare un dibattito, interverrò con molto piacere. Serenella Menichetti
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