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giovedì 2 maggio 2019

NAZARIO P. "L'ARATRO"


L’ARATRO

Non gli è rimasto che il vomere. I legni,
rosicchiati dai topi e dalle tarme,
sono ormai consumati. È lì che adocchia
lo spiraglio di luce nella stalla
con la speranza che il vecchio padrone
lo tolga da quell’angolo nascosto;
gli rifaccia le membra e lo riporti
alla vita dei campi: “Che profumi
respiravo quando la mia lama
solcava la terra a primavera!
Ho sempre dentro l’anima l’afrore,
accompagnato dal canto dei merli,
e dalle serenate dei fringuelli.
Quando uscivo fuori a riposare,
i miei occhi allungavano lo sguardo
a un orizzonte vasto a dismisura.
Ora son qui che vivo di ricordi,
e mi fa male questa solitudine.
E se qualcuno viene ad annaspare
in questo luogo lasciato all’abbandono,
nemmeno mi rivolge la parola.
Sono un aratro stanco, malandato,
ma più delle ferite corporali
mi dolgono i risvolti della vita:
questa fine fra aggeggi logorati,
fra attrezzi arrugginiti dall’età.
Vorrei che qualcuno ricordasse
l’aratro che un giorno sorrideva
nel preparare il campo per le semine;
nel lucidare il vomere all’attrito
col solco affratellato con il sole.
Sono l’aratro. Anzi fui l’aratro.
Vorrei la mano calda di qualcuno.
Vorrei tanto il ventre di mia madre.”.

DA “I DINTORNI DELLA SOLITUDINE”, GUIDO MIANO EDITORE, 2019



2 commenti:

  1. Dopo mesi di solitudine vissuta in casa, in tre, io, lui, malatissimo, e l'ombra della morte che va e viene nel suo giocare, sempre imbattuta, a nascondino, dai una occhiata a Leucade e ti ritrovi a leggere una lirica bella come questa. Un aratro ti parla: si rimane lì indecisi se si tratti della metafora della lunga intensa vita del poeta con le sue fonde radici in terra di Toscana oppure di un vecchio attrezzo in disuso che traccia un'autobiografia carica di una sorta di animismo che fa pensare alla ricerca della vita delle cose da parte dell' illustre esteta Remo Bodei, o, in terza ipotesi, che si realizzi, nella lirica , la sapiente fusione di entrambe le idee. Ne risulta l'immagine globale di una di quelle corti tosco/emiliane, diffuse peraltro anche in Lombardia, dove ogni cosa, piccola o grande che fosse, aveva una importanza essenziale nella vita di uomini, animali e campagna con i suoi frutti, con un legame necessario ed indissolubile. "E' lì che adocchia/lo spiraglio di luce nella stalla/con la speranza che il vecchio padrone/lo tolga da quell'angolo nascosto;/ gli rifaccia le membra e lo riporti/ alla vita dei campi:...
    Segue un tripudio di immagini scaturite da intense percezioni sensoriali ed espresse da parole così potenti da apparire pennellate di un pittore impressionista piuttosto che vergature del Poeta. Ma tutto cambia e rimane il ricordo, cui si sovrappone la dimenticanza di chi guarda l'aratro e, per abitudine alla sua presenza, neanche lo vede. Però il tempo lungo si fa storia per il vomere sopravvissuto all'usura degli anni: è come l'anima, come una buona idea che sopravanza la corruzione e quindi non è vana la speranza di tracciare altri solchi, di affondarsi ancora e ancora nel caldo grembo di nostra Madre Terra.
    Nazario Pardini dimostra ancora una volta (come se fosse necessario) le doti di un grande Artista a tutto tondo, la capacità di rendere la parola, questo mezzo potente non sempre agevole, duttile e comunicativa ad ogni livello. Sa conservare nella memoria piccoli e grandi eventi con sensazioni e colori propri, restituendoli intatti alla fruizione di coloro che leggono.
    II versi della chiusa mi fanno ricordare un'intervista allo scenografo di Fellini, Tonino Guerra, mentre si trovava nel giardino di casa sua. Lo scenografo mostrò al giornalista un'aiuola brulla, spoglia al centro e circondata da un bassissimo muretto di marmo. "Vede - raccontò - qui sotto sono seppelliti tutti i miei vecchi pennelli, che affondo nella terra dopo l'ultimo uso e ancora intrisi di colore. So che è una stupidaggine, ma ho l'idea fissa che la buona terra sappia conservare i miei strumenti d'arte per l'eternità".
    Sarà così? Sarà affidandoci alla nostra madre Terra che si salverà qualche cosa di noi? Se non il corpo, almeno qualche cosa di buono che abbiamo fatto? O è soltanto un pensiero per preservarci dalla disperazione?
    Maddalena Leali

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