Si naviga con la fede verso il Porto del
Ristoro nella poetica di Ottorino Pendenza
Una preghiera totale, plurale, proteiforme;
una preghiera diretta senza intercessioni; una preghiera al Cielo, alla Luce,
di fede di speranza: “Or che m’appresso al celestiale Porto”, “è la preghiera
nostra al sommo Dio”, “O mite e benevolo aprile”, “nel Tuo grembo per sempre,
Signore!” “… Fa che sia questa sempre/ la nuova “Terra Promessa”, Signore” (Anni
lunghi d’angoscia). Un percorso, lungo e tortuoso, fatto di angosce e di ricerca,
dove il poeta, con versi di armonica consistenza di endecasillabi e misure
accessorie di minore quantità metrica, reifica passione, amore, fede, e speranza
di Terre promesse. Il tutto in ritmi eufonici di legami verbali, di abbrivi
emotivi esaltati da rime e assonanze di piacevole sonorità. Seguire la poesia
del Nostro significa immischiarsi in un tragitto spirituale di potente fattura
ontologica, dove le varie tappe equivalgono ad una scalata verso la Gloria;
Gloria che deve essere guadagnata attraverso un diacronico travaglio interiore
di epigrammatico climax ascensionale. Credo che sia proprio il caso di
ricorrere ad una affermazione di un nostro valente scrittore per sottolineare
la continuità espositiva, il filo rosso,
il leitmotiv che fa da copyright nella poetica di Ottorino Pendenza: 1)“…
plenitudine che si riverbera in un
canto “splendidamente
monotono”, come sapeva dire, da par suo, Cesare Pavese, della poesia. Perché
iniziare da questa citazione? È presto detto: un lavoro che si sviluppa su una
tematica monocorde che fa del “Poema” un lavoro compatto e armonioso; organico
e lineare, dove oltre a esaltare la grandezza del Cielo, si richiama anche l’uomo
a gioire delle quietudini dello spirito: fede, Natura nella sua complessità
rivelatrice, esodo, non sono altro che ingredienti che inducono a vagliare il
percorso di uno scrittore del Romanticismo francese, che fa di cotali emozioni il
trampolino di lancio verso il Ristoro esistenziale; una scalata alla fede di François-René
De Chateaubriand (Saint-Malo,
4 settembre 1768 – Parigi, 4 luglio 1848). Ricorrere
ad una sua affermazione significa immergersi nella profondità ispirativa volta a indirizzare il di lui pensiero alla grandezza del Cielo;
ad un Dio che ci vede e ci assiste; ad un Dio che consola e perdona; ad un Dio-Natura
che ci chiama al suo nido di bene e di serenità, tramite il Cristianesimo: 2)“Se
gli anni fanno macerie, la natura vi semina fiori; se scoperchiamo una tomba,
la natura vi pone il nido di una colomba: incessantemente occupata a rigenerare,
la natura, circonda la morte delle più dolci illusioni della vita”. (François-René
De Chateaubriand. Genie du Christianisme).
E la natura è Dio che attua il suo immenso potere nei lacerti di Pan: 3)“Atala…
Harmonie de la religion chrétienne avec les scène de la nature et les passions
du coeur humain”. È il richiamo rousseauiano a contaminare il tragitto del
poeta romantico, il quale arriva a condannare il gretto razionalismo
dell’Illuminismo per giungere alla sua nuova levatura spirituale: 4)“L’imagination est riche,
abondante merveilleuse, l’existence pauvre, sèche. On habite avec un coeur plein un monde vide,
et on est lassé de tout sans avoir joui de rien.”. Da un’analisi attenta delle
pièces di Pendenza i punti di convergenza sono soprattutto la spiritualità e il
richiamo ad un mondo di fede. Tirare in ballo il pensiero, e il sofferto approdo
del transalpino significa aprire le porte alla poetica del Nostro: “… Nell’andare,
con gioia, vedrai/ che saldi saranno i tuoi passi,/ e non più, camminando,/subiranno
improvvisi collassi./ Tornerà sul tuo volto il sorriso,/ perché nel tuo cuore/
è riemerso più saldo il vigore.” (Se dentro ti guardi). Non è improprio,
partendo dalla poesia eponima, rievocare un monito di 5)Sant’Agostino
che invita gli uomini a trovare la verità
in “interiore homine” e non “foras”, al di fuori del loro essere. Volendo si potrebbe anche estendere il
discorso al grande lirico del periodo augusteo, Virgilio, che nelle Georgiche,
IV, 226-7, sembra tessere un filo lungo che conduce ad una visione escatologica
dell’aldilà: 6)”Nec morti esse
locum, sed viva volare sideris in numerum atque alta succedere caelo – Per la
morte non c’è spazio, ma le vite volano e si aggiungono alle stelle nell’alto cielo”,
dove l’idea delle vite che si aggiungono alla molteplicità delle stelle,
contrasta nettamente con lo spirito del 7)De rerum natura lucreziano,
in cui la filosofia epicurea concepisce l’anima disseminata in tante molecole
nel corpo, destinata alla fine. Quindi i due poeti credo siano assimilabili per la tensione
spirituale che gioca un ruolo determinante nel loro percorso artistico. E se il
francese asserisce che 8)“La ragione non ha mai asciugato una lacrima
e la filosofia può riempire pagine di parole magnifiche, ma dubitiamo che gli
sfortunati vengano ad appendere i loto vestiti al suo tempio” (Génie du
Christianisme di François-René de Chateaubriand), il Nostro chiude il tracciato
poematico con un sentito anelito: “… Fa, ora, tornare nel cuore/ del popolo afflitto
che spera,/ un domani ricolmo di bene/ ed accogli con viva clemenza/ la loro
incessante preghiera.” (L’Aquila, 6
aprile 2009), che, intrecciato in perfetti novenari, non tradisce la
plurale orchestrazione sinfonica dello spartito.
NOTE
1) Cesare Pavese e La Letteratura americana. Archivum romanicum. 2012
2) Francois-René De Chateaubriand: Genie du Christianisme. Larousse. 1936
3) P. Castex & P. Surer. XIX Siècle. Librairie Achette. 1950
4) Ivi
5) Sant’Agostino. Le confessioni. Biblioteca Universale
Rizzoli. 2006
6) P. V. Marone. Georgiche. Biblioteca Universale Rizzoli. 1983
7) Tito Lucrezio Caro. De rerum natura. Grande Universale Mursia.
1988
8) Francois-René De Chateaubriand: Genie du Christianisme. Larousse. 1936
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