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venerdì 5 luglio 2019

GIAN PIERO STEFANONI LEGGE: "IL VOLO DELL'ALLODOLA" DI LUCIANNA ARGENTINO

          Lucianna Argentino, Il volo dell'allodola          
Edizioni Segno, Tavagnacco (Udine), 2019


Come altre volte avemmo modo di sottolineare, mai banale ma sempre attenta e straordinariamente prossima la scrittura della cara Argentino che continua a interrogarci nella lettura direttamente nelle corde e nei tendini di un'esistenza che non si pronuncia mai sola ma che ha nella dimensione del noi la piena della sacralità di ogni cosa e dell' io. Perché questa, ed è bene sottolinearlo, che fa la differenza e dunque la sua bellezza a fronte degli smarrimenti e delle negazioni di un'epoca in perdita. A questo ora più che mai la riflessione è chiamata in cui ogni parola allora deve saper rispondere di ciò che viene ad aggiungere o togliere al mondo. Infatti è a una questione di custodia, di cura, di responsabilità che la poesia della Argentino invita; una responsabilità ultima che ha nel dolore e nella solitudine di esistenze bloccate il cuore di un percorso di consapevolezza e di guarigione che prende corpo dall'aridità di uomini e donne in secca certo ma pur sempre ancora vive nel dialogo con la propria ombra. La questione, affrontata alla radice, è così nella preziosità e nella unicità cui ognuno, iscritto, è chiamato ad assolvere e lontano dalla quale, dal nostro volto originario, si rischia come detto la perdita nel buio di quei doni di cui ognuno è portatore. La nostra vita, il nostro percorso è all'interno di una educazione all'ascolto (e a cui va dato nutrimento) di quel sé profondo, non egoistico, della persona che vive con il mondo, come Lucianna ricorda da Martin Buber e di cui il mondo stesso, per la sua armonia, ha bisogno. Il libro allora muove nella direzione di una coscienza che nel confronto con la Sacra Scrittura (cui la Argentino nella tensione profondamente cristiana che la contraddistingue non può non rivolgersi) cerca di distendere nel pieno di un'attualità riferita nell'eternità dei suoi passaggi e delle sue chiamate, dei suoi stordimenti e delle sue cancellazioni.  Così nel riferimento alla Genesi il la è dato da due verbi e due domande a fondamento della nostra vita. E cioè, per quanto riguarda le domande, "Dove sei?" rivolta ad Adamo ed Eva dopo aver mangiato del frutto della conoscenza, e "Dov'è tuo fratello?" rivolta a Caino dopo l'uccisione di Abele. Ad essi sono strettamente collegati i due verbi coltivare e custodire (i primi che Dio non a caso affida all'umanità posto l'uomo nel giardino dell'Eden) come forma di edificazione dell'essere su cui poggia e passa l'azione di Bene del mondo (e di cui la stessa poesia non ne è che una continua espressione). La struttura del testo allora si incentra su tre figure bibliche: Abele, la samaritana, l'emorroissa. Un uomo dell'Antico Testamento e due donne del Nuovo. Il primo dopo l'uccisione patita dal fratello in dialogo con la madre, le altre due nel racconto monologico della propria ferita ed in cui,  come bene ci rammenta Gianni Maritati nell'introduzione, il primo "ci riporta al big bang del peccato originale, mentre le due donne ci ricordano l'acqua e il sangue, il battesimo e il martirio". Ognuno nel trauma per cui son senza respiro, senza guida: "l'omicidio, la solitudine, l'esclusione sociale, la disperazione" ed il cui rinnovamento spirituale deve passare per l'incontro personale con l'Altro nella ricomposizione delle proprie fratture.
Venendo più approfonditamente nel dettaglio, partendo allora dal primo omonimo testo, dedicato alla figura di Abele, singolare appare come nella rilettura la vicinanza di questi alla madre,  nel farsi carico del suo dolore anche di fronte alle oscurità del fratello, finisce coll' avvicinare  proprio lui in qualche modo (anche nel morire e Cristicamente rinascere della conclusione in voce di vinti- e mai in odio al persecutore) alla figura della nuova Eva che ascolta, tiene nel cuore, custodisce nella misura di una fragilità fortissima. Ciò ad avverare dunque in sé quell'auspicio materno di essere plasmati di nuovo "così da poterne fare un dono/e non un vincolo o un destino". Apertura di occhi questa- a fronte di ogni chiusura- che non può non avvenire che per un tirocinio oscuro, basso, tra le pieghe anche del Caino che ci appartiene (ovviamente evitando facili manicheismi, Caino e Abele entrambi racchiusi in noi) per determinarsi finalmente a quel luogo imprescindibile dell'io e dell'altro dove Dio ha rimesso così "la possibilità della sua presenza" che sta a noi portare sulla terra, "dargli dimora e farne un pozzo" (rappresentando così la nostra magnificenza nel "mandato" di testimonianza della difficile transitività"). Di più , tra l'altro, intenso e interessante è in lui anche quel sentore insieme di oscurità (di quella "accelerazione di corpi in caduta" che ingoierà poi per sempre il fratello) e di bene immenso perso. Un'oscurità intrecciata alla paura che,  ricorda l'autrice, ci fa piccoli e indifesi e quindi aggressivi e reprobi alla luce e che, nella dinamica di Caino, si  intreccia  nella  scelta  quotidiana  di  un  male  che  può sovrastarci  se  non   nella vigilanza  di un'attenzione e di un interrogarsi sempre: questo balbettio "di chi sa dare un nome alle cose ma non sa fare dialogo" che è in fondo la storia di tutti noi "dentro un silenzio ostruito, colpevoli di disamore" a cui Abele contrappone al pieno della cesta un cuore basso perché nessun fratello a nessun fratello sia di intralcio. Così, nel primo insegnamento, riesce a mantener salva la sua innocenza, preservando e dando direzione alla nostra per chi può intendere, giacchè- come ha avuto modo di rilevare Alessandro Zaccuri in una lettura del testo- accogliendo il colpo di Caino fa sì che il dolore come la speranza non sia vano.
Nel seguente " È questa l'ora", la storia della samaritana raccontata dalla protagonista in età anziana, l'attenzione si incentra invece sul paradigma di una guarigione che parte dal riconoscimento di una identità e di una dignità negata e per questo ferita, bloccata nella radice di un anima e di un corpo ferme al momento di una violazione che viene da lontano e accresciuta nella ripetizione di errori e copioni che hanno  poi  finito col dare disappartenenza e perdita. L'acqua nuova che viene a togliere la sete per sempre è allora quell'acqua, quella parola che sa riportare e innalzare la donna agli occhi di se stessa, creatura d'amore nata per il canto e per la danza, per la gioia di una vita prossima perché condivisa entro una medesima storia, di luoghi di nuovo anche grazie a lei partoriti (donna sterile, donna di tanti mariti, passata alla storia senza nome) nell'annuncio dell'incontro con l'uomo del pozzo. Uomo la cui guarigione ha la rivelazione di un annuncio e di un effetto di salvezza che parte dagli ultimi, come nel suo caso, e dunque per questo profeta, Messia nella beatitudine di un percorso e di una esclusione riattraversata e ascoltata a partire dalla sua propria offesa. A risalire allora dalla donna dell'ora sesta è lo sguardo risanato di una vita che raccontandosi comprende (rimemorando e avanzando, retrocedendo e nonostante tutto conservando nel canto di nostalgia poi liberato) "quel  luogo intatto" annunciato nella sua risonanza sacra, come da Scrittura, dalla grazia del sogno. Perché è appunto questo il crinale in cui il dialogo tra l'uomo e il divino può sciogliersi o meno, nella custodia di "una nudità necessaria" (il sapere anche oscuramente dove si è e da chi si é) toccati e illuminati entro una innocenza che più non si copre e si nasconde, restituiti al giardino non sopraffatti, non ripudiati, non vinti ma finalmente nuovi nella consapevolezza di un destino di figli eternamente desiderati e amati.
Infine nell'ultimo testo, "Di nuovo io, ancora più me stessa" nella sua vicenda l'emorroissa rimemora la ricomposizione di un anima e di un corpo bloccate da una perdita di sangue, "da una diga rotta", che per dodici anni l'ha resa nella sua condizione di impura, una reietta e una ripudiata prima dal marito e dalla famiglia, dai figli e poi dalla comunità senza  nessun medico capace di darle cura. Anche in questo caso come in quello della samaritana la Argentino ci dà coscienza, tramite tappe interiori scandite poi nelle dinamiche d'azione, del processo di guarigione e consapevolezza di una creatura riportata a se stessa ancora grazie alla capacità di aver saputo mantenere nella solitudine il dialogo colla parte di luce, la parte ancora fremente,  la parte di creazione, il filo non sciolto ma pazientemente, sapientemente sempre annodato al suo Signore. Così è che di nuovo nel canto si risolve uno dei momenti più intensi e significativi del libro, l'intonazione della donna levata a dare al dolore e alla solitudine il suo risvolto di risonanza entro una natura che sa mischiare nelle sue voci il ritorno stesso di Dio nel controcanto di un desiderio di creazione che non cessa mai di alimentarci alimentandosi. Di qui, a rompere l'argine, dal mercante (non giudeo ma greco e forse non a caso in una parola che abbraccia tutti) la conoscenza della predicazione e delle guarigioni di Cristo, la sequela e il coraggio di provare solo a toccarlo per essere guarita. E ancora come nel caso precedente l'incontro col Salvatore riportato per brevi, essenziali, lapidali tratti: il tocco, il senso di combustione e di rinascita immediata dalle ceneri. E poi, come in un'onda, l'ammissione a Cristo del contatto, il suo riconoscerla figlia e di benedizione e trasmissione nel segno dell'amore (il solo tesoro che qui abbiamo e sul quale saremo giudicati). Che è la consegna del Figlio sulla terra riguadagnati come lei nel corpo e nell'anima alla identità sana, e libera  del nostro essere donne ed uomini cui dobbiamo pertanto reciprocità e custodia nell'educazione ad uno sguardo che ci viene dall'interno di un progetto appunto d'amore e di continua e comune rinascita. Con questa consegna chiudiamo qui la nostra lettura aggiungendo soltanto della forza di una scrittura mai doma giacché femmina e dunque sapientemente incardinata alla luce di una fertilità avanzante, circolante e reclamante dal buio delle sue sconnessioni, di una umanità mai del tutto arresa e riportata con maestria nell'eco di una parola da cui tutto ha origine.  

Nota bio-bibliografica del recensore

Gian Piero Stefanoni è nato a Roma nel 1967,  laureato in Lettere moderne, ha esordito nel 1999 con la raccolta  In suo corpo vivo (Arlem edizioni, Roma) vincendo nello stesso anno, per la sezione poesia in lingua italiana, il premio internazionale di Thionville (Francia)  e nel 2001, per l’opera prima, il “Vincenzo Maria Rippo” del Comune di Spoleto. Nel 2008 ha pubblicato Geografia del mattino e altre poesie (Gazebo , Firenze) a cui  son seguiti nel 2011 Roma delle distanze (Joker, Novi Ligure) e gli ebooks  La stortura della ragione   (Clepsydra, Milano) e Quaderno di Grecia (Larecherche.it, Roma). Nel 2014 ancora per i tipi della Gazebo è uscito Da questo mare (includente l’omonimo poemetto già nel 2013 in ebook per LaRecherche.it ed il canto pasquale L'amore che ti manca edito nella sua prima versione per la cura delle Edizioni d'arte Musidora di Nina Maroccolo- fuori commercio, ed ora presso la biblioteca della Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma). Ancora in ebook è  La tua destra (LaRecherche.it, 2015), come il saggio sulla poesia in dialetto della provincia di Chieti La terra che snida ai perdoni (LaRecherche.it,2017). Nel 2019 per la collana aperilibri della Cofine edizioni (Roma) ha pubblicato Lunamajella e in ebook la raccolta Il calciatore è n fingitore (LaRecherche.it.)
Presente in volumi antologici, tra i quali La poesia dell’esilio (Arlem, Roma 1998), Dai parchi letterari ai poeti contemporanei (Edizioni Arte Scrittura, Roma 2009), S’impalpiti materia-Omaggio a Manzù (Edizioni d’arte Musidora, Roma, 2011- fuori commercio, copia presso la Raccolta Manzù di Ardea), e L’evoluzione delle ultime forme poetiche (Kairòs, Napoli, 2013) suoi testi sono apparsi su diversi periodici specializzati e sono stati pubblicati in Argentina, Spagna, Malta, Grecia e Francia.
Già collaboratore con “Pietraserena” e “Viaggiando in autostrada” è stato redattore della rivista di letteratura multiculturale “Caffè”  e, per la poesia, della rivista teatrale “Tempi moderni”. Dal 2013 sempre per la poesia è recensore di poesia per LaRecherche.it  e dal 2014 giurato del Premio "Il giardino di Babuk- Proust en Italie".
Tra i riconoscimenti ama ricordare i premi per l'inedito “Via di Ripetta” e “Dario Bellezza” entrambi nel 1997.



2 commenti:

  1. Grazie dolce Nazario per la tua affinità e prossimità che ci affratella sempre. È sempre un piacere, una gioia per me condividere qui i nostri percorsi. Ti abbraccio, Gian Piero

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  2. Gian Piero Stefanoni con la sua capacità di penetrare nella scrittura altrui ha arricchito con questa sua puntuale analisi "Il volo dell'allodola" andando a centrare per ognuno dei tre testi il suo precipuo senso. Grazie. E un grazie a Nazario Pardini sempre generoso ospite.

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