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venerdì 5 luglio 2019

NAZARIO P. LEGGE: "MITO ED EROS..." DI ROSSELLA CERNIGLIA



Rossella Cerniglia. Mito ed Eros. Antenore e Teseo  con altre poesie. Genesi Editrice. Torino. 2017

Rossella Cerniglia,
collaboratrice di Lèucade

Nuova impennata creativa di Rossella Cerniglia in un testo dal titolo MITO ED EROS, ANTENORE E TESEO CON ALTRE POESIE, editato per i caratteri di Genesi Editrice, nel maggio 2017, dove il verso con determinata apertura ad un pulito neoclassicismo concretizza emozioni e vicissitudini di un momento focale di una storia: “… I fulgori della giovinezza sono ormai lontani, gli ardori acquietati, la vita è rimasta fuori di noi come un fiume che dispiega le sue acque tranquille sulla nostra contemplazione…” (dalla Nota dell’Autrice).   Ella ha navigato per mari non sempre tranquilli, dove scogli improvvisi hanno ostacolato un tragitto lungo e pieno di tramagli. Importante era  navigare, andare, continuare imperterriti alla ricerca di un faro luminoso piuttosto che arrivare. L’isola un  traguardo lontano e improbabile. Ma proprio la voglia del viaggio, l’aspirazione ad un porto, hanno giocato un ruolo importante nella sua ricerca ontologica, dacché  proprio l’ardore e la vitalità di un tempo alimentavano l’energia che teneva dritta la barra. Ora l’Autrice si è fatta mitopoieta più che mitologa, tutta volta a rinnovare il mito, a farlo suo, a tradurlo in una storia raffigurante il suo epigrammatico essere. Tutto è nuovo, divenuto occasione per narrare, per dire di sé, delle sue vicende, con simboliche intrusioni evocative. E sembra proprio che la Poetessa abbia raggiunto il porto tanto ambito, tanto agognato dopo una navigazione in cui poteva essere solo un miraggio. Una volta raggiunto,    di fronte ai profumi e al paesaggio della nuova isola, si abbandona ad ammirare i tramonti e le iridescenti sfumature di un mare che tanto l’aveva vista combattere su un vascello, spesso, senza  bussola; su un vascello sperso in acque tanto immense da perdere l’orientamento, anche se tenuto in forte equilibrio da innesti di parole robuste e di forte impatto creativo. Metaforicamente parlando non è azzardato aggiungere che la Nostra ha trovato un ancoraggio che le permette serenità e tranquillità; forza e decisione per ricostruire nella sua mente una storia, oramai, in seno alle memorie. Ed è da lì che pesca rivedendo con l’occhio del poi trabucchi, scogli, chiarori lunari, sirene, soli splendenti incontrati nel viaggio. L’animo si fa tenero, emotivamente scosso, ma vispo di fronte alle vicende affrontate. Il riviverle affidate a reminiscenze mitologiche, a tratti di un Antenore e di un Teseo, ai ricordi di un eros dalle impennate giovanili, ora, in questo luogo di edenico riposo, è come rinnovare la vita; ridarle quella sostanza che si acquisisce solo dopo anni di pensamenti  e di lotta con noi stessi. Sembra che la Poetessa ci dica: “finalmente sono felice; sono paga del mio travaglio, e qui, hic et nunc, posso godermi con animo quieto il ricordo del tempo trascorso tra le onde del mio mare”. Tre le sezioni del libro: Antenore e Teseo, Altre poesie, e Ultimi versi. Nella prima ci troviamo ad accompagnare la Poetessa nell’ esistenziale percorso di   vita e poesia; di bilanci senza rammarichi, né ripensamenti, rivissuti con un animo diverso, più pacato, riposato; adatto a riportare alla luce momenti e fatti rivestiti di nuova spiritualità dopo tanta decantazione; magari accompagnandoli con un pizzico di buona nostalgia, svuotata di splenetica e decadente saudade:

(…)
Per questa nostalgia un poco invidio il mio corpo
di allora, le delizie che donava e riceveva.
Ma troppi, troppi anni son passati, mi sono incanutito
ed intristito, né ci sarà, per me, un  cantore
della mia fulgida bellezza, uno che mi conobbe allora
e potrà testimoniare quanto felice e breve
fu la mia dolce stagione. (Antenore).

La coscienza della brevità della vita, della futilità del tempo che fugge, d’altronde è presente nell’opera e sembra fare da filo conduttore, da leitmotiv, assieme alla presenza di una fede, di un metamorfico panismo:

Come il mio cane, così rabbioso e sconcio
per sterpeti mi aggiro e tra rovine (Il buon pastore),

Così, in vento e in acqua
per cieli e per la terra, passa l’ora
che fugge… (Il declino dell’ora)

Passeggio sulla terra
che ha accolto la pioggia del Buon Dio
la notturna pioggia che benefica l’anima… (Pioggia notturna),

Un raggio sprofondato
nelle ombre dissolve
la rugiada mattutina… (Bosco d’autunno),

Cadono in questo cimitero
di parole, in questa ferrea
prigione del pensiero, ad una
ad una gocce senza una ragione
e appalesano il tempo, il luogo,
l’oscurità eterna della morte (Tutto è detto ormai),

In un brivido lieve
trascorre
l’esile mistica sera (Sera autunnale),

Ma come tutto è vano! (Madre),

Tutto è avvenuto, è stato.
(…)
in questo lungo tramonto (Tutto è avvenuto),

Ora che molti sono gli anni
scivolati sul corpo come pioggia
in un giorno di bufera… (Senza nulla avere),

In un vortice fuggono le gioie (Pallido raggio),

Chi sono? Chi ha chiamato
per me, il mio nome? (Io non so chi sono),

Nessuno pare vivere
qui. Che siano
case di morti? (Case di morti)  

Di tutta la città
non sono che tetre fosse
oscure, da cui un disfacimento
di morte esala… (Tra le  buche scavate di sepolcri), 

Questa morte che gocciola
sul  mondo
greve umore insistente
che tutto invade… (Questa morte che gocciola),

Anche se sembra primeggiare il senso del nulla, della morte che tutto  ingoia in questo mondo scivoloso vòlto al mistero di un dolore cosmico, la Nostra si abbandona spesso  ad un mare di bellezza dove sembra tuffarsi con una mirabile nostalgia di memoria tibulliana: Hoc  mihi contingat:
 
Divitias alius fulvo sibi congerat auro/et teneat culti iugera multa soli,/quem labor adsiduus vicino terreat hoste,/Martia cui somnos classica pulsa fugent:/ me mea paupertas vita traducat inerti,/dum meus adsiduo luceat igne focus.

Respirano stanchi i rami
un’umida salsedine
e fischia  nel canneto
un refolo tenace (Il declino dell’ora)  

 Questo  nella seconda sezione, Altre poesie, o Del disinganno, dove la Cerniglia porta avanti un discorso di répêchage e di riflessione meditativa sul tempo, gli affetti, le memorie, e la condizione umana. Pensamenti  che fanno da trait d’union tra la prima sezione e la terza, sebbene quest’ultima sia motivata da uno spirito di rinnovamento visionario.    
“… Le altre poesie si distaccano invece da questo quadro dedicato a una grecità, per certi versi rasserenante e idillica. Alcune sono l’esito di una disincantata visione del reale, e spesso accensioni  di un dolore dalla valenza cosmica. Ad esse, ho inoltre aggiunto una sezione con versi più recenti che inaugurano, forse, una nuova stagione” (dalla nota introduttiva dell’Autrice).
Una stagione segnata da Il limite delle nostre possibilità umane, del nostro andare oltre, oltre la nostra inquietudine di esistere. Una stagione di Caos e ombra dove:

“La vita è tentare la fuga
dal tenebroso sogno che già sei
da questo storpio ed esecrato oggi.
Ma ormai su uno scenario di rovina
la grande ombra ottenebra
gli spazi remoti ed irreali
dove corre la vita
e un mantello di tenebra dispiega
nelle vuote stanze
con imperiosa mano che ghermisce caos e ombra.

E fuga sia. Non è detto che proprio nella fuga dalle aporie del quotidiano, nel riprendere il viaggio dopo un meritato riposo meditativo, la Nostra non  trovi quella pace con se stessa per affrontare di uovo il mare

Nazario Pardini


    

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