Un
racconto duro, forte, etico, sociale, umano, triste e melanconico. Un racconto
che ci farà pensare e forse sentire in colpa per ciò che succede mentre noi
siamo vacanzieri spensierati. Leggetelo, leggetelo attentamente e magari piangete per una storia che vi
colpirà nel profondo. Esistono, purtroppo, anche queste vicende in un mondo di
gioia e di sole, di mare e di luce. Il tutto è espresso in un dire paratattico
e scorrevole che non mi sembra improprio definire narrazione poetica. Una scrittura che scivola fluente da un’anima pura, innocente, non ancora viziata
dalle aporie del tempo. Un grande, bel racconto!!! Brava alla giovane scrittrice, una vera promessa della letteratura...
Nazario
DAL BLOG “LA MEMORIA DI ADRIANO” DI CINZIA BALDAZZI:
https://lamemoriadiadriano.blogspot.com/2019/08/enricadonini-il-bracciale-di-perle-di.html
https://lamemoriadiadriano.blogspot.com/2019/08/enricadonini-il-bracciale-di-perle-di.html
Con il racconto di Enrica
Donini prosegue la pubblicazione dei testi vincitori dell’edizione 2018 del
concorso “Incrociamo le penne”. Con un commento di Cinzia Baldazzi.
Il letto sopra di lei
si muove ritmicamente, sbattendo contro il muro di lamiera come un tamburo.
Bum-bum-bum-bum-bum.
La vecchia rete arrugginita
si lamenta ad ogni affondo, cigola, stride, geme. Geme di dolore, come sua
madre. Geme di piacere, come quell'uomo.
Shamoli schiaccia forte le
mani sugli orecchi, tiene gli occhi chiusi. Cerca di appiattirsi il più
possibile sul pavimento e contro il muro, non deve essere notata, non può fare
alcun rumore. Respira a fatica, il suo nascondiglio diventa ogni anno più piccolo
e scomodo.
I due corpi sopra di lei
aumentano il ritmo, quell'uomo geme più forte, grugnisce. Hanno quasi finito,
ancora pochi minuti e lei potrà uscire dal suo rifugio.
È l'imbrunire, Shamoli
corre per le strade sporche di Kandapara. La mamma le ha dato alcune
commissioni da sbrigare, rischia di arrivare tardi. Quando giunge al chiosco
all'angolo c'è la fila, e Shamoli si mette pazientemente in coda.
Ha il fiatone, il fianco le
fa male per la lunga corsa e le gira un poco la testa. Le sue mani stringono
forte i soldi che la mamma le ha affidato, sono contati e non può certo
rischiare di perderli. Ormai ha 10 anni, quella commissione l'avrà fatta un
milione di volte e lei è una brava bambina, educata e responsabile. Sa bene che
è così, perché lo ha sentito dire ieri dalla mamma alle altre donne mentre
erano in coda per il bagno. Lei naturalmente ha fatto finta di non sentire, ma
una punta di orgoglio l'ha fatta sorridere. Sorride anche adesso, mentre ci
ripensa.
Alza lo sguardo e la
bambina in coda davanti a lei le sorride di rimando. Shamoli non l'ha mai
vista, dev'essere nuova. È bellissima, indossa un lungo vestito colorato e
pieno di perline, il suo viso è dipinto come quello di una donna adulta ed è
tutta agghindata. Sembra una principessa. Gioca nervosamente con i bracciali
d'oro che porta al polso, i suoi grandi occhi neri guizzano impauriti di qua e
di là. Sta tremando, e asciugandosi il sudore dalla fronte Shamoli pensa che
forse è malata.
«Ciao, come ti chiami? Io
sono Shamoli!» azzarda allungando una mano.
La bambina sgrana gli occhi
e si fa piccola piccola. Prima di rispondere lancia un'occhiata alla donna che
le sta accanto. È indaffarata a discutere con Faysal il proprietario del
chiosco.
«Io sono Hashi» sorride
timidamente, e le stringe la mano.
Shamoli nota che ha pianto
da poco. Lo sa perché i suoi occhi sono lucidi e arrossati, come quelli della
sua mamma al mattino quando prepara la colazione.
È in compagnia di una donna
anziana, vestita di un bellissimo sari rosso e oro. Di sicuro è uno di quelli
comperati in centro città, lo si capisce dalla buona fattura del tessuto.
Shamoli se lo immagina, il
centro città, come se lo è immaginato tante volte: pieno di luci colorate e
donne bellissime, e uomini ben vestiti che aprono loro le portiere di
automobili luccicanti. Shamoli è una bambina con la testa tra le nuvole, lo sa
bene perché sua madre glielo ripete in continuazione.
Viene riportata alla realtà
da grida di rabbia. La grossa donna davanti a lei sta litigando furiosamente
con Faysal: «Cos'è questa storia dell'aumento dei prezzi? Dimmi un po'
ragazzino vuoi forse fregarmi? Ne ho una nuova, qui, che è magra come uno
stecco! Me lo dici chi la vuole, ridotta così? Se non la metto all'ingrasso
faccio un buco nell'acqua e non me lo posso mica permettere!»
Shamoli approfitta della
distrazione della donna per provare a parlare con la ragazzina nuova, è strana
ma le sembra simpatica. Forse ha solo bisogno di un'amica. Nelle mani stringe
ancora quella di Hashi. «Ehi, stai bene? Il tuo vestito è bellissimo, te lo ha
comperato tua madre? È una donna piuttosto vecchia!»
«Oh no, lei non è mia
madre! Mia madre... mia madre non è più... lei...»
La grossa donna interrompe
bruscamente Hashi, scuotendola con violenza per un braccio: «Ti ho detto di non
parlare con nessuno, o sbaglio?»
Quando volge lo sguardo su
Shamoli, i suoi occhi cattivi la fanno rabbrividire.
«E tu ragazzina, fatti gli
affari tuoi se non vuoi finire nei guai!»
«Madame Asma mi scusi,»
Faysal attira la sua attenzione, tentando di concludere l'affare «le prende o
no queste pillole? Guardi, non sono certo io che decido i prezzi di mercato, il
costo dell'Oradexon è aumentato qui, come in qualsiasi altro bugigattolo del
quartiere. Lo vedrà lei stessa se non crede alle mie parole!» Madame Asma lo
trafigge con lo sguardo. Shamoli osserva il povero ragazzo che fronteggia la
prepotenza della sua cliente con audacia. La donna ritorna alla sua trattativa.
Agita il pugno in aria e minaccia il ragazzetto con un grosso vocione rauco
nella speranza di ottenere uno sconto. Shamoli le fa una smorfia e veloce come
un fulmine infila nel braccio di Hashi uno dei suoi bracciali di perle di vetro
colorato. Il suo preferito. Un segno di amicizia.
Quando la donna si
allontana trascinandosi via la piccola Hashi, Shamoli le fa l'occhiolino. Si
sorridono.
«Di' un po' ragazzina, hai
intenzione di fare una brutta fine? Ma lo sai chi è quella lì? Se metti i
bastoni tra le ruote a Madame Asma finisci in brutti guai, te lo dico io che lo
so! Allora dimmi... cosa vuoi, il solito?» Il sorriso di Faysal scaccia via il
gelo che quella donna aveva instillato nel suo cuore. La bambina annuisce
felice. Shamoli lo conosce bene Faysal, viene spesso a far visita a sua madre.
«Mi dispiace bambina, ma il
prezzo dell'Oradexon è aumentato e con questi soldi posso darti solo una
confezione... e ora smamma! Fuori dai piedi che devo chiudere!»
Nonostante tutto Shamoli è
contenta. È una bambina ottimista e questo è un dono. Lei lo sa perché la sua
mamma non fa che ripeterlo a tutti quanti. Sorride tra sé e sé mentre
trotterella verso la stanza che condivide con la madre.
Shamoli è una bambina
fortunata e lei lo sa bene. La sua mamma è ancora giovane e bella, e riesce a
guadagnare abbastanza per poterla mandare a scuola.
Molte delle bambine con le
quali gioca abitualmente per le strade del suo quartiere stanno scomparendo un
po' alla volta. Lei sa che non vanno da nessuna parte, semplicemente entrano
nel mondo del lavoro. Cominciano a lavorare, proprio come lavorano le loro
madri. E le madri delle loro madri prima di loro. Quasi tutte sono nate a
Kandapara, come lei d'altronde.
Un po' alla volta “entrano
nel giro”, come dice la mamma.
Sa anche che molte
ragazzine della sua età sono costrette a lavorare per quelle vecchie signore,
le Madame, come vengono chiamate da tutti. Ragazzine come la sua
nuova amica Hashi.
Pensa a lei sulla via di
ritorno da scuola, e pensa alla sua vita e a quella della sua mamma. Pensa al
suo destino.
“...e se domani dovessi
lasciare la scuola? Se la mia mamma non potesse più tenermi con sé, se
decidesse di affidarmi ad una di quelle Madame?
...e se domani tutto quanto
cadesse in pezzi?” La paura le stringe il cuore.
A Shamoli piace andare a
scuola, le piace il futuro che le viene proposto tra quelle mura. Un futuro
diverso dallo squallore del suo presente vuoto e senza luce.
Lei non lo sa quello che
succede alle ragazze, quando arriva il momento di incominciare a lavorare.
Quando la sua mamma riceve i clienti e lei si trova nella loro stanza, è costretta
a nascondersi sotto al letto. Ai clienti non piace l'idea di avere dei mocciosi
tra i piedi quando sbrigano i loro affari. Se la scoprissero se ne andrebbero
via, scegliendo un'altra ragazza in un'altra stanza.
Shamoli non vuole certo che
questo capiti a causa sua, e allora se ne sta buona buona, rintanata sotto al
letto. E quando si ritrova lì, con la testa nascosta tra le braccia, si rifugia
nei suoi sogni e scappa in quel futuro che ha imparato a immaginare tra i muri
della sua amata scuola.
Sta camminando per le
strade di Kandapara, i pensieri nel vento e gli occhi fatti di sole. Sta
fantasticando sul suo domani quando accade l'inevitabile, quando la realtà le
si presenta davanti con un bel pugno in pieno viso.
All'inizio nota solo un
gran mucchio di persone ammassate attorno a un carro. Sembrano tutti
profondamente turbati, qualche donna si copre il viso con il velo per non
guardare. Si avvicina curiosa e nessuno tenta di fermarla, nessuno la nota,
tutti parlottano: «...era una chukri, si è tolta la vita. Che
sciocca!»
Hanno lo sguardo fisso a
terra, come se provassero una vergogna di qualche tipo. «...no, non ce l'ha
fatta... ma sì, si tratta di suicidio!»
Con gli occhi pieni di
ingenuità Shamoli continua a camminare. Supera il muro di corpi che la separa
dalla verità, dalla crudezza del suo mondo, dall'evidenza di un domani incerto.
La gente mormora,
bisbiglia: «Era nuova vero? Madama Asma dici? Ne sei sicura...»
«Shhh! Sei matta, chiudi
quella boccaccia!»
Lo spettro del suicidio
aleggia tra la folla, la sua disperazione infonde il terrore negli animi,
risveglia qualche coscienza intorpidita.
Shamoli si ferma, e per un
attimo tutto rimane sospeso nel nulla, il tempo sembra congelarsi. C'è un carro
davanti a lei, uno di quei vecchi carri di legno, coperto da un lenzuolo
macchiato di rosso. Piano piano i suoi occhi mettono a fuoco un braccio, che
sbuca fuori da quel lenzuolo sporco e ricade floscio fuori dal carro. Un
braccio, un bracciale... il suo bracciale di perle di vetro colorato. Un brivido
gelido le attraversa la schiena, il tempo riprende la sua corsa e Shamoli viene
travolta dal suo fluire impietoso.
Cade a terra, le sue gambe
esili non hanno retto ed è caduta sulle ginocchia appuntite. Non ha nemmeno
sentito il colpo, l'aria sembra essersi addensata e Shamoli fatica a respirare.
Un fischio forte riempie le sue orecchie ovattate, gli occhi spalancati
sull'istantanea indelebile del braccio senza vita di Hashi. Con una mano si
stringe forte il cuore. La vista annebbiata da un oceano d'acqua salata, la
bocca spalancata in un grido muto.
Il vento soffia tra i suoi
capelli sporchi, sussurrando paure che le nascono nel cuore e le muoiono in
gola.
«... e se domani... e se
il mio domani non dovesse mai arrivare?».
Enrica Donini è nata a
Trento nel luglio del 1991 e vive a Molveno, un piccolo paese tra le montagne
delle Dolomiti di Brenta.
«Amo i libri, adoro
leggere», spiega la Donini, «e da qualche tempo mi sono avvicinata al
mondo della scrittura».
Nel 2017, per gioco,
partecipa al primo concorso letterario organizzato nel suo paese,
"Molveno, il lago delle meraviglie... e se non fosse solo il solito
lago?", vincendo il 1° posto nella sezione Narrativa.
«Considero questa data come
una sorta di 'inizio'», prosegue la Donini, «da allora la scrittura si è
trasformata in qualche cosa di più di un semplice interesse».
Il bracciale di perle di
vetro colorato ha ottenuto il 2°
posto nell’edizione 2018 del concorso “Incrociamo le penne”.
commento di
Cinzia Baldazzi
Il racconto di
Enrica Donini, apprezzabile ed efficace nella sua coesione tecnico-semantica,
ricopre perfettamente il ruolo nel ciclo narrativo letterario illustrato da
Claude Bremond in La logica dei possibili narrativi: infatti,
consiste in un discorso all’altezza di integrare «una successione di eventi di
interesse umano nell’unità di una stessa azione». Sempre a parere del grande
semiologo francese, esperto di narratologia, dove non esiste successione non
scaturisce un racconto: piuttosto, prende vita uno spazio descrittivo,
deduttivo, un’effusione lirica e, soprattutto, è necessario esista tra le
pagine un’unità d’azione ove siano implicati interessi umani o, meglio, un
progetto che dona agli eventi raccontati un senso allargato oltre l’hic et
nunc, campo illustrativo della storia.
Ciò accade
ne Il bracciale di perle di vetro colorato, dove la voce narrante
onnisciente procede sicura sin dalle prime parole, al suono ritmico di quel
“bum-bum-bum-bum-bum” che, alle orecchie della bambina nascosta sotto il letto,
sembra un gemito di dolore della madre, di piacere dell’uomo-cliente. Poi,
appena finito il tutto, all’imbrunire la piccola Shamoli corre sulle strade
sporche di Kandapara per adempiere a una commissione. Sì, proprio Kandapara,
“la casa-quartiere di tolleranza” più antica del Bangladesh (è lì da due
secoli), la seconda del paese per grandezza; venne distrutta nel 2014, in
seguito ricostruita con l’aiuto di ONG locali, perché le donne lì nate e
cresciute non disponevano di ulteriori rifugi o residenze. Oggi, avendo
legalizzato nel 2000 la prostituzione, la zona a luci rosse nella città di
Tangala, a nord di Dakha (capitale del Bangladesh), è circondata da un muro:
bancarelle di alimentari, negozi di tè, venditori ambulanti, e le donne - o le
ragazze - vivono là, nelle stanze, con i servizi igienici condivisi.
Però,
l’acquisto affidato dalla mamma alla figliola di dieci anni, dopo essersi messa
in fila, non riguarda cibo, né bevande o abbigliamento: la piccola deve
comprare una dose di Oradexon, ovvero il Desametasone, un potente steroide
usato dagli allevatori per ingrassare i bovini e utilizzato dai protettori allo
scopo di gonfiare il corpo delle giovani così da apparire più in carne e
attraenti. La bimba, ancora affannata per la corsa, stringe fra le mani il
denaro con enorme senso di consapevolezza, in quanto - lo ha sentito affermare
dalla mamma alle altre prostitute in coda per il bagno - «è brava, educata e
responsabile». Ecco, alzato lo sguardo, scorge «bellissima […] con un lungo
vestito dorato e pieno di perline […] il viso dipinto come quello di una donna
adulta», un’altra giovanissima davanti a lei. «Sembra una principessa», eppure
trema, si asciuga il sudore sulla fronte, «forse è malata».
Il lessico del
racconto possiede una competenza discorsiva: tuttavia, il rapporto
tra le parole-significato, fuori dalla consuetudine appunto “conversazionale” -
direbbe Umberto Eco -, instaura con noi lettori una tecnica letteraria
interpretativa, immediata, seria, drammatica: in termini specifici, la Donini
riesce a far rivivere un’intelaiatura di presupposti non detti (essendo, in una
“logica di senso comune”, inammissibili), piuttosto evocati quando, attraverso
i segni scelti per la comunicazione della trama-intreccio del brano, il
riquadro aberrante di quei meccanismi lascia purtroppo presumere come essi si
concretizzino e si perpetuino.
Shamoli,
quindi, incontra la coetanea Hashi, con «il viso dipinto come quello di una
donna adulta, tutta agghindata», mentre accompagna la protettrice Madame Asma,
pure lei in procinto di acquisire un improprio filtro magico (per rendere
accattivante, appetibile la sua “merce”: «Ne ho una nuova, qui, che è magra
come uno stecco!»). Asma è una Madame, potrebbe essere un “babu” (fidanzato,
protettore, amico), con il ruolo di gestire l’infame traffico di scambio
economico.
Ma non è così
raro. Ragazze-madri, orfane lontane dal regolare sistema di sostegno, cadono
vittima di un mercimonio di vite umane condotto da bande criminali queste
ultime superano il confine indiano - in genere Jessore o Benapole - tanto che
la polizia ha stimato in quindicimila il numero di donne e bambini introdotti
ogni anno clandestinamente in Bangladesh: insieme al Nepal, il paese con il
maggior numero di minori coinvolti nello sfruttamento, nella tratta di persone,
dell’Asia meridionale. Adolescenti e giovanissime vengono poi anche esportate
nelle “sin cities” dell’India, del Pakistan, della Malaysia, degli Emirati
Arabi Uniti.
Tra la
debolezza e l’abuso dell’autorità, il margine è stretto. Dopo aver protestato
con il povero Faysal nel centro-vendita del chiosco, la maîtresse fulmina
con lo sguardo Shamoli, colpevole di aver abbozzato un breve colloquio
confidenziale con Hashi, sua “proprietà”. Concluso quel rapido contatto, la
tenace paladina rientra a casa. «È una bambina fortunata e lo sa bene. La
mamma, ancora giovane e bella, riesce a guadagnare abbastanza per poterla
mandare a scuola», a differenza di molte amichette del quartiere che, nella
precarietà totale, via via scompaiono. Ma lei, fra i banchi della classe,
intravede un arco reale oltre il muro, costruendo con la coscienza gli
strumenti per scavalcarlo al momento giusto.
La nostra
scrittrice, a questo punto, proprio evocando la bimba mentre sogna un destino
benevolo (nel timore, comunque, di vederne abbattute le ipotetiche basi da un
istante all’altro), se non fosse che coincide con un evento fatale diffuso
nell’ambiente, come ricorrendo a una sorta di deus ex machina,
inserisce nella trama una vicenda tragica. Queste bambine, quasi fossero protagoniste
di una fiaba maligna, anche loro, per sopravvivere, hanno bisogno di eliminare
intralci sull’iter percorso: con ogni elemento possibile, da sole,
o magari con l’aiuto di un alleato in grado di comportarsi da creditore del
beneficiario (la madre di Shamoli). Di frequente, però, l’avversario ha la
meglio, e nessuno riesce a infliggere danni tali da isolarlo e ostacolarlo nel
colpire in modo ulteriore la vittima. Purtroppo la sventurata Hashi,
all’esordio del cammino, senza alcuna negoziazione capace di trasformare
minimamente l’antagonista in complice, si toglie la vita prima di aver saldato
il debito inavvertitamente contratto.
Nella
confusione, per strada, Shamoli si ferma: «c’è un carro davanti a lei […]
coperto dal lenzuolo macchiato di rosso. […] Da quel lenzuolo sporco ricade
floscio fuori un braccio, un bracciale […] il bracciale di pelle di vetro
colorato» che, nel breve incontro con l’infelice bambina le era stato regalato
come mezzo di fortuna, di sollievo, per combattere le avversità più crudeli.
Grazie per la bella attenzione riservata a questa promettente scrittrice. Veruska
RispondiEliminaDavvero un'eccellente prova letteraria, questa di Enrica Donini. La giovane e promettente scrittrice possiede la rara grazia di raccontare vicende le più disumane senza moralismi retorici, ma con fredda ed analitica, convincente e travolgente capacità evocativa. E giustamente, da par suo, Baldazzi commenta: "un'intelaiatura di presupposti non detti (essendo... inammissibili), piuttosto evocati quando... il riquadro aberrante... lascia presumere come essi si concretizzino e si perpetuino". I miei complimenti ad entrambe, Enrica e Cinzia , unitamente al capitano Nazario Pardini per avere accolto e superbamente commentato su Leucade,questo prezioso gioiello letterario.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Ti sono grata, Franco, per le tue parole.
RispondiEliminaCon il brano riportato, hai colto nel cuore del mio approccio critico: in particolare, a quella parte del racconto della Donini dove si elude di rendere esplicite alcune circostanze di base, che rischierebbero di contaminare le due bambine, e l'interpretazione del loro presente-futuro da parte del lettore. "Dicendo" ulteriormente che io ho sottolineato quanto la nostra autrice ha omesso di esplicitare, finalmente hai dato spazio aperto al "non detto", cuore semantico della story.
Grazie per la puntualizzazione.