Mario Silvestrini
E D E N P
E R D U T O
Poesia morbida, fluente, generosa, i cui versi, con
urgente resa ontologica, volgono lo sguardo a sinestetiche intrusioni contemplative.
Qui si fa della semplicità un valore aggiunto, della spontaneità un filo rosso
che compatta le composizioni: “Sono la tua mente/sede di luce,/magnete di gioia
e amore./ E tu sei il mio cuore/partigiano del sistema,/il mio
cervello,/materia grigia/vagante nel deserto./Vieni da me,/ti farò vivere e sognare,/io
e te soli/nell'isola sperduta,/finalmente liberi.”. Un viaggio verso la
libertà, verso il sogno, la vita, verso l’isola sperduta in vista di un eden da
conquistare, da ricuperare, di una gioia da possedere con percorsi di tristezza
meditativa: “La gioia di essere tristi”, come afferma Hugo. E tutto scorre con
euritmica andatura, con epigrammatica
intrusione per agguantare gli abbrivi di un’anima volta all’indirizzo di un
mondo perduto; di un mondo nuovo e svincolato, dalla trappola della materialità. Il poeta nella sua ascesa epifanica, nella
sua catartica purificazione si fa visionario, oracolare, auspicante: “…Tornerò
alla mia stella/ nella galassia più lontana,/ ai confini dell'universo/nella
dolce estate eterna”, là dove, ai confini dell’universo, l’estate si fa dolce
ed eterna. Una aspirazione al Bello, alla spiritualità, all’iperuranio; ad un
mondo di nuova struttura edenico-filosofica; di nirvana edenico. In una sentita
e quanto mai aspirata adorazione alla Madre Terra: “…Feconda terra,/da tempi
remoti/cresci come una mamma/ pargoli appena nati,/ giovani baldi,/ uomini
forti e donne sensuali./Vecchi al termine della vita/poi accogli nel tuo
seno/lacrimando senza emozione.”. Un tibulliano (hoc mihi contingat) elogio
alla Madre Antica, sempre pronta a donarci i frutti, per poi accoglierci, alla
fine, fra sue sempre generose braccia; al sole, luce di vita, magnete eterno:
“…Tu, atomo gigante/e magnete sempre eterno/dai filamenti argentati,/nato per
volere divino,/ con amore irradi la terra/onorando il figlio degenere.”. E
tutto si fa attivo, operativo, in questo poema di elevazione e di eros, dove
persino Thanatos si assoggetta alle pretese di un poema volto a consacrare le
virtù della Natura. Un naturismo, quindi, che reifica sentimento, immaginazione, scarti emotivi, forza intellettiva e proposte
oniriche, e dove i figli, luminosi e
fattisi divini, tendono a concretizzare il pathos di un poeta vòlto alle
bellezze di una terra nuova: primavera, il tempus fugit, il paese del sogno,
nel suono armonioso del valzer di Vienna: “C'è un paese lassù,/ai confini delle
nuvole,/fra montagne amazzoni/e gruviere di manieri./…./nel suono armonioso/del
valzer di Vienna…”, tutto gioca su un panteistico afflato di ovidiana memoria,
su un incontro di amore e di luce; dove il tempo fuggevole e ingannevole placa
i granelli della sua clessidra per farsi eterna pace di ristoro e dove in un
eden di biblica sostanza nessuno stende la mano: “Nella patria dei saggi,/
fanciulli immemori,/c'è il biblico Eden./L'amore è l'unico Verbo,/il pane cerca
avide bocche,/il lavoro ha fame di braccia/ e le case son tutte abitate./
Nessuno stende la mano.”. Dedicare l’ultima pièce agli affetti familiari, al
padre, che riempie con la sua presenza rievocativa il cuore del poeta, è come
abbandonarsi alla poesia dell’homme, delle radici; alla poesia che tutto
abbraccia e completa: “Mai potrò dimenticarti./Sei morto ma niente è cambiato./
Vivi dentro me/ e dialoghi col mio pensiero/colmandomi di gioia./Là
nell’eterno, adesso,/sei di nuovo te stesso,/atomo di pura energia./ Se incroci
la terra, padre,/ ora che spazi nell’intero universo,/ti prego
benedicimi/irradiandomi di luce./Guidami verso il mio traguardo,/ padre e
fratello caro.”. Un viaggio che dantescamente si conclude con un inno alla luminosità
dei cieli.
Nazario Pardini
Conosco Mario Silvestrini da sempre e sono profondamente commosso dalle parole con cui il grande Nazario recensisce le sue poesie. Le ho viste nascere, si può dire, una per una, zampillando per via extrasensoriale come da polla d'acqua sorgiva. C'è da sottolineare, infatti, che Silvestrini è un medium, non un poeta: sa di non esserlo e non dichiara di esserlo. Cionondimeno ha dato vita a poesie di sorprendente bellezza per grazia ricevuta. Ed è straordinario che lo abbia fatto nonostante sia stato bersagliato in questi ultimi anni da un'esagerata quantità di invalidanti malattie. Sentite, in proposito, quanto scrive nella poesia intitolata "Fortuna/Sfortuna": Ti sei invaghita di me, / deforme megera, Sfortuna, / ma non sperare che io ceda / e che prenda l'amuleto, / fattucchiera vampira! / Per me sei stupenda valchiria, / sei la mia stella, / la mia vera fortuna. // Il cielo è la mia casa, / le stelle la mia luce, / il sole il mio vestito, / la terra la mia dispensiera. / Sorriderò alla morte / per chiamata naturale".
RispondiEliminaFranco Campegiani