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giovedì 14 novembre 2019

M. GRAZIA FERRARIS: "GIANNI RODARI ED ITALO CALVINO..."

Maria Grazia Ferraris,
collaboratrice di Lèucade


Gianni Rodari ed Italo Calvino - Due autori “leggeri ed esatti”
 
Gianni Rodari

Che Gianni Rodari sia l’arcinoto e insuperabile scrittore per bambini che ha deliziato con tante meravigliose  favole, filastrocche, poesie, racconti e raccontini non c’è più alcun bisogno di ricordarlo.  È risaputo, arcinoto. È storicamente un Maestro.
La sua attività comincia con la firma di “Lino Picco” sulla pagina domenicale de l’Unità milanese nel lontano 1949 con una rubrica di filastrocche e raccontini per i bambini: “Le avventure di Cipollino”. Sono un enorme serbatoio di materiale fantastico che andrà ampliandosi e variamente configurandosi nel tempo. Prosegue a Roma con “Il Novellino del giovedì”, sempre per l’Unità, fino al 1952, per diventare più autonoma indipendente e personale, soprattutto quando i suoi racconti e le sue filastrocche verranno edite, -una ufficiale consacrazione- con l’ampliamento esponenziale del pubblico dei lettori, dalla casa editrice Einaudi, a partire dal 1960.
A quaranta anni dalla morte e a cento dalla nascita la storia gli ha dato ufficialmente il posto meritato e dovuto.
Che sia e sia stato anche un importante Autore per adulti, che deve avere il suo posto nella letteratura del Novecento, invece è ancora da dire, spiegare, studiare, illustrare, documentare.
 Eppure ci sono stati via via nel tempo molti autorevoli critici che l’hanno riconosciuto: penso a Marziano Guglielminetti nel lontano 1984, all’indomani della morte, a Luigi Malerba, sensibile ed acuto scrittore che pure si è cimentato nella favolistica, a Tullio De Mauro, Alberto Asor Rosa, grandi critici letterari ed esperti storici di lingua e letteratura, ad Alfonso Gatto, Andrea Zanzotto, i poeti che gli furono amici, a Lucio Lombardo Radice, Italo Calvino, … e non ultimo Pino Boero, e Carmine De Luca, grande autorevole amico che gli ha dedicato il bel libro, ricco di ripensamenti e spunti di approfondimenti dal titolo emblematico  “La gaia scienza della fantasia,  ancora degno di essere studiato e rimeditato.
 Ma quando si pensa a lui e alla sua opera, prevale la pigrizia, il facile luogo comune, il cliché, il comodo utilizzo scolastico, la sostanziale disattenzione e faciloneria  all’approfondimento della sua musa dal multiforme ingegno e dalla multisonante voce, e ci si limita a parlare o a citare divertiti le sue belle filastrocche, completamente decontestualizzate.
Di questo malvezzo Rodari scrittore era perfettamente al corrente e lo esprime, quasi denuncia, in più occasioni, nonostante il suo proverbiale riserbo. Una di queste denunce- e non l’unica-  è la lettera che scrive a G. Einaudi, lettera malinconica, pur con accenti ironici, in occasione del premio Prato, nel ’61:
 “Benchè famoso agli antipodi, e rinominato tra i kirghisi e kabardini del Caucaso, che cos’ero io nella repubblica delle lettere italiane se non un intruso, un clandestino, uno che l’ultimo mozzo d’equipaggio avrebbe potuto afferrare per un orecchio e gettare nell’oceano, sottovento perché le mie scarpe non gli ricadessero sul naso?”
Scrive Carmine de Luca che, esaminando soprattutto gli scritti giornalistici, ne sottolinea la lettura adulta, il laboratorio creativo che trova nella cronaca la sua materia prima, ponendo l’attenzione sulla attività di giornalista, praticata e percorsa per tutta la vita, e quella di scrittore-narratore :
“ Indagare l’attività giornalistica di Gianni Rodari, porre sotto la lente d’ingrandimento la sua lunga esperienza di cronista, redattore, inviato speciale, direttore significa sì, misurare concretamente la rigorosa formazione di intellettuale progressista e la costante fedeltà alle ragioni dei lettori.
Ma vuol dire anche entrare nell’officina della sua attrezzatura fantastica, scoprirne la <materia prima>, gli strumenti e i meccanismi, e portare alla luce reperti della preistoria della sua narrativa”   con lucidità e consapevolezza; infatti Rodari andava inserendosi nel tempo sempre più radicalmente  nella linea eccentrica della poesia di ascendenza  surreale.
 Una officina la sua molto interessante, una dimensione sperimentale che lo avvicinava ad altri scrittori noti del Novecento italiano. E penso al grande Italo Calvino, alle loro somiglianze e diversità, alla loro amicizia elettiva. 
ITALO Calvino è stato uno scrittore ricco, longevo, molto mutevole, con recuperi ostinati e precisi ed insistiti rifacimenti, ma anche molto fedele a se stesso. E questa è una caratteristica  di lavoro che lo rende simile a Rodari, che come lui ritorna periodicamente sui suoi passi, sulle sue composizioni, applicando loro lo statuto principe della variazione, e “alzando la posta”. Difficile  incasellarlo nelle due variabili che lo caratterizzano- sia in un realismo a carica fiabesca sia nella fiaba a carica realistica. Il suo amore per l’Ariosto ne è una controprova, così come quello per la letteratura favolistica, per il teatro…
Nella sua storia artistica molte sono le affinità col Rodari favolista e molte anche col rispettivo punto di partenza letterario impegnato moralmente e politicamente.
Nei racconti intitolati  La speculazione edilizia, e La giornata di uno scrutatore, ad esempio, senza voler togliere nulla alla legittimità delle interpretazioni realistico-fiabesche o fiabesco-realistiche, Calvino presenta un  elemento irriducibile di “resistenza morale”, riscontrabile nelle altre opere successive, che diventa una chiave interpretativa della sua vasta produzione, ossia la natura morale della sua  ispirazione, il macigno sotterraneo da cui spiccava il volo la sua fantasia o si dipanava il filo sottile del suo ragionamento.  E questa è anche una caratteristica rodariana,  il procedimento tipico del favolista Rodari, che Calvino indica quale apogeo - della scienza tanto  quanto della letteratura - quella della “immaginazione scientifico-poetica”
 Ma è soprattutto con la trilogia dal titolo complessivo I nostri antenati (1960), composta da Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante(1957), Il cavaliere inesistente (1959), che la sua vena fantastica si precisa stilisticamente ed è occasione per trattare in chiave ironica e favolistica, alla maniera illuministica, temi di impegno politico, morale e sociale.
Abbiamo quindi, fino alla fine degli anni ’50, due scrittori in uno: il primo che teorizza la necessità di “fare storia contemporanea” attraverso il romanzo e mette in pratica questa teoria per mezzo soprattutto di una lunga serie di racconti; il secondo che elude i suoi stessi precetti e si getta nel campo del fiabesco, anche attraverso l’importante lavoro di recupero e riscrittura delle Fiabe italiane. La controprova: Calvino abbandonava definitivamente II sentiero dei nidi di ragno per una poetica del fantastico muovendosi per mondi possibili, che diventeranno le galassie cosmicomiche, le città invisibili e perfino le traiettorie astrali.
Nel 1954 la casa editrice  Einaudi assegna allo scrittore la curatela della prima collezione di Favole italiane della tradizione popolare, che porta Calvino a confrontarsi con la vasta e ancora poco esplorata tradizione orale e dialettale edita ed inedita del nostro paese. Operazione molto significativa, che piacque certo a Rodari, il quale fin  da ragazzo, quando faceva le sue prime prove sul giornale Luce, di Varese, mostrerà il suo interesse per le leggende:  ne è una prova  la bellissima Leggenda del lago di Varese, o La pita d’oro e che, come dice  C. Zangarini  propose di pubblicare nel 1946,  sul Corriere Prealpino una apposita rubrica intitolata <Poesia di nostra terra>, la quale raccolse ben diciannove leggende tra i laghi  e le colline del Varesotto.
Calvino scrive, dopo lunghi mesi di ricerche intorno al nostro patrimonio favolistico, e il Notiziario Einaudi celebra giustamente, l’avvenimento: “Siamo dunque venuti nella determinazione che il libro delle fiabe italiane fosse ancora da fare, e che dovesse farlo uno scrittore, scegliendo, traducendo dai dialetti, rivivificando quei documenti della narrativa orale che i folkloristi avevano salvato dalla dispersione. E la scelta …cadde su di me, per via di quella definizione di «fiabesco» che i critici mi hanno assegnato e che continuo a portarmi dietro qualunque cosa io scriva.
 Ho lavorato due anni a questo libro: m’è venuto di più di mille pagine, contiene duecento fiabe, e vi sono rappresentate tutte le regioni italiane. È stato un lavoro grosso, ho dovuto leggermi biblioteche intere, imparare tutti i dialetti italiani. […] Ma tutto sommato mi sono molto divertito; spero che ora vi divertiate anche voi.”
Sulla base di queste constatazioni, la coppia di opposti: "favoloso realismo" e "realistica favola" così come  “Rodari scrittore per bambini- Rodari autore per adulti”- appare come  riduzione veramente da superare; sono una cosa sola: la duplice rifrazione di uno stesso sguardo, quando, posandosi su di un universo rigorosamente umano, lo si vede cangiante come un arcobaleno ma anche, al tempo stesso, solido ed incrollabile come una pietra.
“Chi sa quanto è raro… costruire un sogno senza rifugiarsi nell’evasione… apprezzerà questa forza di realtà che interamente esplode in fantasia. Migliore lezione, poetica e morale, le fiabe non potrebbero darci”, scrive con consapevolezza  nella Prefazione alle fiabe italiane
La leggerezza rodariana così come quella calviniana non è  abdicazione all’impegno, ma forma leggera di un contenuto che non si stempera solo  perché mosso in versi ridenti piuttosto che in prosa seriosa, o perché ha assunto la  forma – allusiva – di un racconto o di un gioco per l’infanzia.
 La Fantastica rodariana non coincide col miraggio - poiché il  giocare/  osare/ trasgredire la logica non implica che il mondo ludico di Rodari sia irreale.  Esso, altresì, è simbolico: non già, dunque, evasione dal reale, ma sua metamorfosi e  metaforizzazione.
Il gioco rodariano, dunque, proprio come è di ogni linguaggio simbolico, e come quello calviniano, si  rivela forma della conoscenza, non sua negazione .
Rodari osava interconnessioni cosmiche – ed insieme comiche, come Calvino - e non si spaventava dell’illogicità, soprattutto  perché si era  scelto come interlocutori non i cattedratici come  Grammaticus e Blomberg, ma le menti bambine come Giovannino Perdigiorno ed Alice Cascherina, libere dalle pericolose “patologie dell’epistemologia”
“Le fiabe, diceva Rodari […] sono alleate dell’utopia, non della conservazione.”  .
Il  terreno comune di incontro e confronto dei due scrittori è stata la casa editrice Einaudi, per la quale entrambi hanno lavorato. Ma già nell’agosto del 1952 Gianni Rodari scriveva  a Italo Calvino circa il progetto di pubblicazione di un saggio su Pinocchio.
Dal 1947 Italo Calvino (e fino al ’61, quando decise di diventare un consulente esterno, trasferendosi prima a Roma e poi a Parigi) collabora con l'Einaudi, curandone l'ufficio stampa e svolgendo negli anni molteplici ruoli: redattore, addetto stampa, dirigente, traduttore, compilatore di un’antologia scolastica, infine direttore di collana. Un insieme di esperienze professionali come editor, si direbbe oggi, che si intrecciano con la sua attività più propriamente letteraria di scrittore, artistica e saggistica. Il lavoro molto interessante, proficuo,  gli permette di mettersi in contatto e confrontarsi intellettualmente con i più vari autori.
Il progetto non andò in porto per motivi editoriali, in compenso nacque un’amicizia basata su profonde affinità elettive che proseguirà nel tempo.
Calvino potrà rendersi conto così  anche della scrittura e dello stile epistolare di Rodari che, indirizzando lettere ai funzionari della casa editrice, senza mai stancarsi di intrecciare grammatica e fantasia, li intratteneva ironicamente-giocosamente- come se fossero suoi giovani lettori o come se fossero umoristicamente temibili e sovrumane autorità.
Scrivendo a Giulio Einaudi in persona, (o ai suoi collaboratori ) per esempio, lo chiamava  «sire», «eccellenza», «don», «monsignore», «Sua Eminenza», «cardinale», «comandante», «padrone»….
e si proponeva come fedele seguace e a volte, buffonescamente, come scherano e spia editoriale.
Così anche nell'epistolario,  con cui discuteva titoli, avanzava nuovi progetti e richiedeva un'impossibile puntualità dei pagamenti ….. Era evidente che nelle fantasie di Rodari, il favoloso non era  un altro mondo,  ma è una piega inedita e costante del suo quotidiano.

Maria Grazia Ferraris



3 commenti:

  1. Maria Grazia Ferraris continua a incuriosire con questi suoi documentatissimi studi su Gianni Rodari, tesi a mostrarne la valenza di "scrittore per adulti" e di autore collegato con le avanguardie letterarie del suo tempo (Surrealismo e Futurismo in primis). Una valenza, quella di "scrittore per adulti", purtroppo offuscata dalla sua stessa fama (meritatissima, d'altro canto) di "scrittore per l'infanzia". La presente comparazione, suggestiva e convincente tra la sua poetica e quella del suo coevo Italo Calvino - "due scrittori leggeri ed esatti" - invita ad approfondimenti e suscita davvero grande curiosità.
    Franco Campegiani

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  2. Maria Grazia Ferraris, in questo saggio molto ben documentato, scaturito da una profonda "ricerca" culturale, riesce a vitalizzare con brillante progressione un parallelismo convergente tra Rodari e Calvino in acuta singolarità.
    Enucleando e sviluppando le varie fasi compositive dei due Autori, ne rivela l'affinità e la matrice contestualizzata dalle collaborazioni einaudiane in un'etica favoristica di orizzonti realisticamente e socialmente umanizzati.
    Tutto si esprime poi in un tracciato epistolare, istruttivo e illuminante per procedere nell'accostamento alla personalità degli Autori.
    Che dire d'altro se non complimentarsi con Maria Grazia e con il suo elitistico saggio?

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  3. Ringrazio sia Franco C. che M. Dei Ferrari per il commento postato su Leucade e sono contenta di aver suscitato un po’ di curiosità ed interesse per un argomento che per me è molto significativo e per un personaggio come G. Rodari che studio da anni. Mi pare, quella di Rodari-Calvino, la storia profonda di un’amicizia che va al di là delle superficiali e fortuite conoscenze ed esprime sintonie profonde. Certo, è argomento letterario, visti i personaggi, ma non troppo…, non credo elitistico: solo una maniera per scalfire il “banale” in cui Rodari è immerso, anche quando se ne parla, e dimenticato nella sua autenticità. Grazie per la lettura e il commento.

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