Franco Campegiani, collaboratore di Lèucade |
Franco
Campegiani. Il letto del fiume.
Vitale Edizioni. 2020
“E’ il
fantasma di una nuova ed inedita civiltà della terra ad animare questa poesia,
il risveglio di una condizione elementare del vivere nel cuore dei mali
megalopolitani. Anche la decadenza ha un ruolo da svolgere: preparare nel suo
notturno grembo le future stagioni aurorali dell’uomo e del mito. Soggiace a
questa poesia la metafora eraclitea del fiume, il cui letto è immutabile e le
cui acque mutano in continuazione.” La decadenza e la rinascita, la fine e il
principio, la notte e l’aurora, tutto costituisce quel quid necessario al
formarsi, al rinnovarsi, al bello, al crescere, alla mitopoiesi. Tutto passa, deriva da una
locuzione greca (“panta rei”), che significa “tutto scorre”: l’eterno
divenire della filosofia di Eraclito, che trae dal fiume che scorre il suo famoso
aforisma. Nella filosofia greca antica, tale concezione si contrappone a
quella dell’assoluta eterna unità e immutabilità
dell’essere, affermata dalla scuola eleatica (Elea e Parmenide). A tale punto,
credo
che sia opportuno prendere spunto dallo scritto incipitario, riportato in
quarta, per ben delineare il pensiero
filosofico di Franco Campegiani, l’anima portante del suo canto, il sottofondo
di ogni sua espressione critico letteraria: Eraclito, il polemos tra gli
opposti: Il bianco il nero, la luce il buio, il caldo il freddo, l’ordine e il disordine.
Niente orfismo, nessuna staticità, tutto in divenire, in fieri, verso l’epistemologico
giuoco uomo-terra. Nessuno di questi elementi può essere autosufficiente,
dacché ognuno necessita della convalida del suo opposto. Senza il caldo non
esiterebbe il freddo e così il contrario. Sta
nella simbiotica fusione di essi il succo della vita e della storia. Tocca
all’uomo inserirsi in questa mitopoietica evoluzione e non il contrario. L’uomo
moderno con tutta la sua tuttologia pensa di sottomettere la natura ai suoi
bisogni, mentre il suo compito sarebbe quello di rendersi ingranaggio di un tutto che ci dà continuamente insegnamenti. Ed è dalla natura, dalla sua pulcritudine,
dalla sua valenza vitale, dalla sua necessità che Campegiani parte:
“Senza
peso, potermi inginocchiare
di
fronte al padre ruvido ulivo.
E il ciliegio fraternamente carezzare,
grato
per il suo bianco sorriso” (In quel lago).
Ciò
che assume valenza emotiva nella sua poetica: le piante subiscono una antropologica
metamorfosi, tanto che il ciliegio si riveste di un bianco sorriso, e l’ulivo
si fa padre ruvido. Questa è la natura di Franco, ed è in essa che trasferisce tutto il suo
sentire. La vorrebbe nuova, ma badate
bene il suo non è un bisogno di passatismo, non è che vorrebbe tornare
indietro arcaicamente, il “bei miei tempi” non fa parte del suo patrimonio
genetico. Tutto deve procedere naturalmente e con giusta evoluzione, come
natura ci insegna, e l’uomo deve rispettare i processi della madre antica che
con le sue varianti ci dà continuamente lezioni di etica e di bellezza: “La
vita è brutta perché è bella,/ questo non capiscono i cittadini./ Né può
capirlo/ un falso contadino come me” (A Sartre…). “Cantava il gallo/ e
scendevamo nell’orto/ rosicchiando il pane dell’alba”. I versi fluiscono snelli
e pudichi come il suono degli ottoni di vecchi spirituals di New Orleans. Tante
sono le emozioni che Franco vorrebbe trasferirci e siccome spesso la parola non
ha il potere di dire tutto, si ricorre a stratagemmi prosodici per allungare il
tiro; per creare quegli élans che ci permettano di toccare la coda
dell’eccelso. Ed eccole le sinestesie, le metafore, le personificazioni che danno
sapore ed elasticità al dettato poetico. Tutto scorre con eleganza e
intuizione; tutto è coerenza e linearità. Ogni brandello del “poema” è oggetto
di identificazione empatica, dacché Franco ama la natura, la fa sua e vorrebbe che fosse di tutti e che
ognuno la rispettasse come essa vuole. Una plaquette generosa, zeppa di
sentimento e ragione, di metodo e concretezza verbale. “Tutto tornerà al suo
posto, vedrai./Non può distruggere l’uomo,/ né costruire, altri che se stesso”
(Nel segreto degli abissi). Si tratta di difendere un processo che salverà
l’uomo: “Il male di oggi è chiuso in un recinto/ di plastificate muraglie,/
ghetto refrattario in una cupola/ agli spiragli di luce…” (Il male di oggi).
Ma non si deve pensare che la narrazione
poetica sia frutto di un ordine razionale, e che la ragione prenda il sopravvento
in vista di un calcolato obiettivo, di un
credo antecedente, dacché è il cuore che detta, è un’ispirazione di
natura empatica a dare sfogo ad una creatività elegante e fertile. E tutto
scivola sotto i nostri palpiti con ardore allusivo di figure retoriche che,
esse stesse, sono frutto di una foga partecipativa. “Vorrei essere il lombrico
che non lascia tracce al suo passaggio…” scrive Franco a chiusura del suo
lavoro: “… Vorrei essere il lombrico/ che non lascia tracce al suo passaggio,/
essere la cagna che allatta i cuccioli/ e poi se ne allontana./ Ombreggiatemi,
ignoratemi,/ fate crescere/ intorno a questo mio scoppiare di luce./ Ch’io
possa spendermi in gesta immemorabili,/ grandi solo per me,/ perché soltanto
mia è la vita.” (Hic et Nunc). Tanto buio, tanta notte, a ché si possa gioire
della bellezza ed il respiro della luce nascente.
Che magnifica sorpresa, Nazario, e che emozione leggere questa tua nota limpida e ammaliante che va dritta al bersaglio e coglie la radice della mia poesia (non "mia" nel senso che io la possiedo, ma nel senso che lei mi domina ed è lei a possedermi)! Sei di una generosità unica e con parole semplici, commoventi, scavi nel profondo. Come laddove lasci intendere che il polemos tra gli opposti necessita del divenire e dell'essere, quindi non soltanto dell'acqua che scorre, ma anche del letto del fiume perennemente uguale a se stesso. "Nessuno di questi elementi può essere autosufficiente, dacché ognuno necessita della convalida del suo opposto". Meglio di così non poteva essere detto. La creatività, e dunque la poesia, sta qui, nel rinnovamento dell'Essere nel Tempo, dell'Immutabile nel Divenire, nel fare continuamente nuovo il mondo. Grazie Nazario, il tuo incoraggiamento prezioso non può che spingermi a continuare sulla strada della poesia.
RispondiEliminaFranco