IL RETAGGIO DELL’OMBRA
DI ROSSELLA CERNIGLIA
Recensione di Maria Grazia
Ferraris
Il
titolo della raccolta poetica di Rossella Cerniglia è quanto mai inquietante. L’Ombra
-protagonista- è un archetipo potente, (il Nemico, l’Antagonista). Soffriamo
nel venire sopraffatti dall’aspetto negativo di un archetipo (il lato Ombra)
che dobbiamo imparare a riconoscere, e poi a dominare con la nostra capacità di
darle ascolto, di essere contemporanei non solo del nostro secolo e dell’“ora”,
ma anche del passato. Il tema è amplificato dal corollario “retaggio”.
Il
titolo rivela la ricchezza e la consapevolezza culturale dell’Autrice: vale
perciò la pena di scoprirne le matrici anche filosofiche. Il tema dell’ombra
risale alla filosofia platonica e al mito della caverna: la luce del fuoco
proietta le ombre degli oggetti sulla parete di fronte ai prigionieri. Quelle
ombre sono le uniche cose che i prigionieri abbiano mai visto..., essi credono
che le ombre siano oggetti reali. Ogni tanto, davanti all’ingresso della caverna
passano altre persone e animali. Gli uomini incatenati possono solo vedere le
loro ombre e sentire gli echi, che vengono proiettati sulle pareti della
caverna. Percepiscono queste ombre e danno loro dei nomi, credendo di percepire
cose reali.
L’ombra
viene considerata un’entità minore, definita per negazione rispetto all’oggetto
che la proietta… Quando pensiamo, siamo intrisi di ombre. L’opacità risiede
nelle cose... Solo per Dio è sempre mezzogiorno: il suo occhio è l’unica fonte
luminosa che percepisce senza gettare ombra. Ed è questo un primo itinerario di
lettura della silloge della Cerniglia, ma ne esiste un altro, tutto letterario,
cui di certo l’Autrice è debitrice. Sto pensando al saggio di Italo Calvino
“Dell’opaco”, in cui C. indaga lo spazio dell’ombra. La linea che separa il
regno dell’ombra da quello della luce non è così netta, e invalicabile e opaco
ed aprico si confondono e capovolgono continuamente, intersecando in tal modo i
confini fra l’io e mondo. Si rivela allo sguardo dello scrittore anche
attraverso visioni riflesse e la sua situazione, rispetto all’opaco e all’aprico,
resterà controversa: il solo mondo che esiste è l’opaco e l’aprico ne è solo il
rovescio, di un me stesso, di cui si ho bisogno per riconoscermi, che serve
solo perché il mondo riceva continuamente notizie dell’esistenza del mondo, un
congegno di cui il mondo dispone per sapere se c’è: “Sono qui come sempre /
assorta tra le carte / disperata dei miei versi / parole inabitate /
sconosciute /…” (Disperata dei miei versi).
Esiste
poi un terzo mondo di analisi, quello psicologico, che pur è presente nell’opera
in esame, quello psicologico di cui Freud nelle pagine di Lutto e Melanconia
scriveva: “Nella malinconia l’oggetto getta la sua ombra sull’io”: è la
percezione dolorosa di essere al mondo con la propria fragilità, inermità, in
cui poca importanza sembra avere l’individualità del singolo. Il senso di nullità
si salda in modo inesorabile con la perdita di senso della condizione umana. L’Altro
non è stato capace di guardare il soggetto con uno sguardo di accoglimento e di
accettazione. Lo sguardo assente dell’Altro viene fatto proprio e con questo
sguardo medesimo egli guarda se stesso ed il mondo. Tutto perde significato: “E
il mio essere sola/ a se stessa diceva ‘questo sono’ / nel riconoscersi oggetto
/ per sé da guardare / da cui ha la sola compagnia: / strana ebbrezza di una
libertà / in cerca, nel chiuso mare d’ombra / e nell’angoscia, di salvarsi la
vita” (Cos’era?).
L’Autrice
parla di “retaggio” dell’ombra: si esprime con una parola ricercata, usata in
genere in senso figurato, come un patrimonio culturale o spirituale che si
eredita dal passato, via di mezzo fra eredità e tradizione, e la dispiega in un
tragitto poetico che si articola in quattro momenti: Dai margini oscuri,
Ipogeo della notte, Dissonanza dell’ora, Paesaggio andante: un avanzare tra
oscure atmosfere dove pensiero e poesia inseguono ombre incerte che si perdono
sgomente nelle nebbie della storia, nel “folle sogno di Giovanni” e nel “ cuore
impietoso della sua parola” pur aspirando all’ altrove: “Lunghe giornate inerti
/ navigando percorsi obbligati / dentro ad un buio silente: / il vuoto dello
sfondo / di quel peregrinare…” (Non sai) per poi tentare di risalire: “oggi
il cielo / è un ricettacolo di virtù // il sole è speranza / e l’azzurro è l’immenso
/…. Mi beo / in quest’oasi improvvisa…” (Oggi il cielo).
Il
volume si apre infatti con un poemetto -Apocalypse-,
“il libro oscuro, tenebroso, frutto di una mente in delirio” che non dà
risposte, in cui la scrittura biblica giovannea dell’Apocalisse si unisce coi
temi filosofici, mitologici e danteschi dell’Ombra, comunicandoci il dubbio
metafisico che sembra senza uscita. Un atteggiamento intellettuale che
ritroviamo anche nel proseguo delle composizioni articolate nelle quattro
sezioni: “..ombre che non si sfiorano /… e senza sosta / invasate dal daimon
più crudele / vanno senza che un dove sia / una meta o un alveo nel cui senso
incanalare / le brucianti ferite della vita” (Apocalypse). In
particolare nella sezione dell’ipogeo che è il regno del dolore e della morte.
Eppure…il
o percorso va via via alleggerendosi: “È un verde che mi abita…/ vita che tese
un oscuro legame / che ho cura materna d’annaffiare / quando la sento sofferente
/ con voce che mi chiama / col suo muto apparire floscio e spento” (Apocalypse).
Le
stagioni che si susseguono -splendide- “Autunno giallo di foglie / che calpesti
nei viali deserti / vaporosi di pioggia /...e ti vedono estraneo / gli alberi e
il cielo / eternamente grigio…” (Autunno per i viali), “Trema il mio philodendron / con
le sue foglie sventagliate / sul terrazzo gelato dove guardo / e il vegetale
malessere accosto / al gelo multiforme del mio nulla” (Inverno sul terrazzo)
… “Un sentore di ramo fiorito / di biancospino / inebria non so quale etere/ e
vibra nell’ala una rara armonia/ che solo nella mente ritorna / ma di cui non
vissi che un solo giorno” (Che sforzo per sorridere) … “Una vita verde / che
guardavi a distanza / meraviglia di prati / lucide foglie / che barbugliano ai
tuoi occhi” (Ecco)... “il paesaggio / è doppio / nel doppio che è in me”
(Paesaggio).
E’
palese come l’autrice pur attenta a leggere la sua dimensione interiore, la sua
difficile relazione con il mondo e con gli altri, non scivoli mai in un banale
protagonismo o biografismo.
La
sua poesia lirica nasce da un’insoddisfazione di fondo, dall’angoscia che ci
deriva da un senso di mancanza, di incompletezza, di castrazione dell’anima che
sente forte il bisogno di espandersi sino ad essere tutto -indice di quella
mancanza radicale, della lontananza e irraggiungibilità che è la trascendenza
divina-, fine ultimo che la poetessa insegue: “Verrò alla mia Città / con il
pensiero / in braccio a un vento / che agita le cime / e spande odori di
delizie / inopinate. / Sarò altrove / in altro luogo, in altra / terra, rapito
da sensazioni / altre, da paesaggi/ di vento che ha un diverso / respiro tra le
foglie / e mi porta l’amaro / di quel che ho lasciato / lontano, non volendo
partire. / Ma sempre avrò in me / le sementi lontane / di quel che ho piantato /
un giorno, la memoria / di quando anch’io fui” (Verrò). Può quindi concludere,
liberandosi dall’angoscia: “reminiscenza vaga… uno specchio di universi / un turbinio
/ sogno ed essere / insieme / e in conclusa vicenda / che chiamiamo / la vita”
(Il tuo sorriso).
Maria Grazia Ferraris Marzo 2020
Rossella Cerniglia. IL RETAGGIO DELL’OMBRA
Guido Miano Editore, 2020
mianoposta@gmail.com
RICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaRingrazio sentitamente Maria Grazia Ferraris per suo colto e puntuale commento al mio “Il retaggio dell'Ombra”. Quest'Ombra è certamente quell'elemento negativo a cui ci ha condotto una cultura di millenni -quella occidentale- che si oppone a una ricerca di Luce, di autentica Verità. Una tale ricerca è possibile solo all'interno di un centro unitario del proprio sé; non può, in altri termini, che essere una ricerca d'anima, fatta di cuore e intelletto. Ma l'animo umano è ormai diviso e lacerato al suo interno, pieno di contraddizioni, incapace di una percezione unitaria e di una ricomposizione di questa visione. Al suo interno regna il caos, la dispersione e l'assenza di un senso che dia ragione del Tutto. La nostra visione del mondo è andata in frantumi e si rimane ancorati ai frammenti, a orizzonti ristretti. Le scienze si sono specializzate approfondendo i loro contenuti, e settorializzate, ma sono incapaci di collegare questi sparsi frammenti in un Tutto come faceva la filosofia un tempo. Incapaci di una visione sinottica in cui le parti si integrino. Ecco cos'è l'Ombra, eredità di un passato che, goccia dopo goccia, tassello dopo tassello, ha portato alla situazione attuale, ha portato, ad esempio alle dottrine neoliberiste che sono il trionfo del sentimento egoico, sintomo di un animo diviso, dove il cuore, cioè i sentimenti, non hanno più una funzione e si sono prosciugati, essiccati sino alla loro morte. E il pensiero non ha più un centro in se stesso, e non ha più una Visione.
Ancora grazie a Maria Grazia Ferraris per la lettura critica e per le sue originali e profonde riflessioni. Una lettura e un commento che ho ammirato e che mi ha, al contempo, permesso di fare queste precisazioni.
Rossella Cerniglia