La poesia mistica
di Bruno Piccinini
Il titolo della prima opera presa in
considerazione (Credere nel corpo, Passigli editore 2016) sembra
contraddire una poesia invece profonda, che assume un ruolo attivo nella
contemporaneità negatrice di sostegni. La parte centrale
svelerà poi il Corpo come illuminante
significazione, come sintesi antitetica alla frammentazione della Storia; il
passato sofferto e il presente ancora doloroso del poeta accompagneranno il
lettore verso la spiritualità di ogni percorso temporale e storico, all’unità
dimenticata, consunta dal male.
Passano, nella purezza musicale e linguistica
di Piccinini, volti, vivi e morti, ricordi e presenze, apparentemente separati da
vetri; passano, in un’allegorica folla, i segnati da un destino incompreso. Ma
trarrebbe in inganno la loro visione segmentata: il poeta non li osserva con
passività, ma , ossimoricamente, nel loro presente immobile e nel loro destino eventuale.
Ecco allora la soluzione poematica, epica,
altissima di Piccinini: la Storia ci ha consegnato una figura congelata dalla
morte perché tornasse Corpo vero, nuovo di carne, vene, sangue, parola, un
corpo di bellezza assoluta/ costruita con
i sali e l’acqua della terra/la trasparenza del cielo: oltre il limine
ialino, attraverso la poesia, ci ha offerto
la certezza del resurrexit,
del Corpo- tempio, della sua verità anatomica.
Dirà il poeta che gli uomini Non lo riconoscevano/ non vedevano
somiglianze e segni...... ma ne percepivano... senza capire il senso
dell’evento,/ esitanti / impauriti,/ l’alba del mondo/ che giaceva ignota/ nel
suo corpo ; ci costringerà a credere, dunque, come in quel Corpo e poi in
ogni corpo sia ravvisabile l’alba del mondo.
Sì, si può piangere quando si incontra la
verità, che supera faticosi
percorsi, giunge a dar senso alla vita: in quest’opera sconvolgente,
folgorante, tutta la microstoria dell’ uomo si trasfigura in un destino più
ampio, che solo tale poesia, mistica e realissima, esprime come rito, corpo,
uomo (Heidegger).
Dalla propria penombra Piccinini indaga sui barlumi del mistero
dell’ uomo, li dichiara luce vivente, che travolge e sconvolge, che
dà senso alla sorte di esistere.
Ma un Dio cercato (e ancora ti parlo), intuito
nella propria interiorità, secondo la legenda storica incarnato nel corpo di un Figlio, che
volle consunto e crocefisso, cui non
aveva risposto, voltando la faccia
all'invocazione estrema,
un Dio
(mai vituperato dal poeta), così lontano dalla condizione del dolore dell'uomo
viandante, è credibile? Dicono che quel
Figlio, giunto dall'aldilà, trasfigurato sul Tabor e che nella sua effigie riapparve ai dodici - i loro occhi poi lo seguirono finché fu
assorbito dal cielo - sia venuto a
spiegare il corpo e il suo dolore.
Dicono. E il poeta lo crede, lo
sente, cerca , grida dalle dune del suo deserto spirituale
Il percorso di Piccinini non può essere
dunque, ancora una volta,che metafisico: non si possono negare il corpo,
la fisicità e neppure la mente, il
sublime e limitato indagare della mente,
che, ab origine, oltrepassa l'orizzonte e si addentra , ascende. Sono
la tenacia del viaggio e la certezza del Dio/ Altrove, che si propongono
di dare scacco al dolore, con la strategia della bilocazione.
E ci
interroghiamo allora sulla
libertà dell'esistere; con pathos greve
ma disperatamente ottativo, magari imitando il poeta, combattendo lotte in vesti, prove diverse, camuffate, per disorientare il male.
E' qui che
si concretizza in noi l'interrogazione sul Tempo perituro e sull' eventuale eternità, su
finito e infinito. In forma dialogica, non monologica, ché la domanda, il
bussare -intuisce il poeta– avrà risposta e, allora, terreno ed eterno
convergeranno.
Da questo carcere si fa strada la creazione
poetica, che non si discosta dalla razionalità serrata, insistente, che assume un ruolo centrale, partendo
appunto dalla corporeità. E la Croce dà senso alla pena, all'apparente
insensatezza dell'esistere.
La
tenacia isaziabile, originaria,
elettiva, definitiva dunque, si fa
tensione inesauribile verso una verità
unificante, pur scontrandosi con la causalità
del vivere. La corporeità, intesa
come comunicazione col sé e l'Altro da sé, obbliga a cercare, bussare,
insistere, per sconfiggere la forza di gravità,
la pesantezza; per giungere a una
significazione .
I nodi
inestricabili, i giorni leggeri e perituri come le foglie, il
percorso fisico e della mente hanno una trama ignota; i giorni sono
fossili e chi è partito, che è vento e aria ormai, non ha più
eco, il tempo sfiorisce . Provare allora a dare
icone diverse alle figure che lo attraversano ? Travestirsi
, insistendo ancora nel bussare
alle porte di Chi esiste e non si manifesta? Ma Egli, l'enigma, non dà risposte. L'uomo sta sulla porta: sa che il silenzio è parola
coperta di nubi, che dovranno pur dar luce al pensiero,
cancellare la pazzia del dolore.Vuole la
traduzione dei giorni persi, il nesso con l'infanzia, il fuoco acceso da
un'estate infinita. Seduto sulla soglia, sa che il silenzio ha la trama
segreta di un racconto; spera che il vento lo porti e spezzi la distanza. Attende: la lamiera del
capanno brilla, in alto i pioppi sussurrano. Il Dio risponderà? Sì, e il poeta
lo sa: anche se la Voce giungerà da un'altra dimensione, quella che nei secoli
ha accompagnato l'uomo, pur distratto;
l'ha resa
visibile nel crocefisso; gli ha proposto la fede nella gloria di un Corpo,
straziato dalla malvagità, perché lo imitasse nell'attesa dell'Apocalisse.
Bruno Piccinini. Nato a Medesano, Parma, vive nella vicina Varano dei
Marchesi, sempre nella provincia di Parma. Dopo un percorso di studi
classico-uumanistici, si è dedicato all'insegnamento.
Ha esordito a settant'anni con la raccolta di poesie Carta d'identità,
pubblicata da Diabasis, un libro che ha subito rivelato una forte personalità
poetica.Quindi, nella Collana fondata da Mario Luzi (Passigli Poesia), Credere
nel corpo (2016) e e ancora ti parlo(2019).
Maria Luisa Tozzi
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