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domenica 31 maggio 2020

ADRIANA PEDICINI: "CATENE"


Adriana Pedicini,
collaboratrice di Lèucade








Catene

Il passo dell’anima lento prosegue
gli occhi stanchi fissano l’Oltre.
L’inganno è scoperto
pelle di serpente a squame sfogliata
cruda realtà rivela non mia non solo
Tutto è in bilico nella crudele apparenza
di piedi a terra ben saldi.
Le parole sono nascoste
le parole non hanno più suoni
Babele è la torre di ogni città.
Confusi i colori, confuse le lingue,
gli odi e gli amori.
Il senso…il senso di tutto dov’è?
La gioia che brilla negli occhi morenti di un bimbo
l’abbraccio che solo nel dolore riscalda
è la misura del nostro soffrire o del nostro gioire?
La Tua Croce forse giustifica il senso
e ogni croce che spalanchi le braccia
dinanzi a un cielo senza catene.


venerdì 29 maggio 2020

GIAN PIERO STEFANONI: "IL DOLORE DELLA CASA"



IL DOLORE DELLA CASA
compianti dal Covid
di Gian Piero Stefanoni

INTRODUZIONE

Raccolgo nella brevità e nel ricordo di questi pochi ritratti, il senso di un comune, partecipato sgomento. L'evento Covid-19 che ci ha risucchiati da una terra ai nostri occhi, nelle nostre vite non più ospitale ci ha scoperti nel nervo teso di una condizione di limite forse dimentico ed ora così tragicamente esposto tra coabitazioni coatte ed economie in azzeramento. Così se non più eludibile la necessità del ripensamento ciò che a me interessa adesso- perché bene adesso- è il raccoglimento in un dolore (e in un pianto) che è anche il nostro per chi (per operatività di servizio e di lavoro ma anche per caso e per destino) lontano dagli affetti, nelle sepolture veloci, in veloci benedizioni ci ha lasciato in solitudine entro una procedura di sottrazione subdola, vorace nella traccia di uomini, donne, ragazzi - anonimi o meno- che ho voluto riportare nella presenza viva di ciò che nell'agire li ha connotati indicando allora nel passaggio la vita stessa come misura dell'amore e del pensiero- e per questo, in questa memoria, restando. Pensiero che allora va anche ai cari nella consapevolezza di una fratellanza che ora ci appella nel sacro.  


Una silloge plurale, polisemica che, nell’attualità dei giorni, offre tutto il suo potere per reificare emozioni, sentimenti, circostanze, sacrifici di ospedaleri che hanno dato tutto il loro lavoro per la salute degli altri; per il bene della società a scapito della propria vita. Il verso corre fluido  nel rievocare figure di medici e infermiei; per concretizzare con epigrammatico apporto emotivo vicende che ci rattristano e ci rendono ancora più precari in questo mondo di casualità e di fatalità. Il poeta con padronanza metrica e in possesso di iuncturae combinanti significati senza troppi perifrastici epigonismi, senza superflui giri di parole, ci mette davanti a figure di semplici lavoratori nella loro missione giornaliera; nel loro travaglio quotidiano incuranti delle possibili aggressioni di un virus che ci costringe all’isolamento. Si succedono nomi di medici e non solo che hanno lasciato la vita sul campo di battaglia:

Chiara Filipponi:

Sei stata la prima,
da te che gestivi il sopore del corpo
la coscienza: il camice
pronto a cedere ha ceduto,
persa la presa nel sonno…


Diego Bianco:

(…)
Nella voce che ha saputo udire
il patire di Bergamo, il professare
per bene di una vita per bene.


Don Paolo Camminati

Allo stato iniziale non si torna-
lo comprendi dall'acqua della roccia
di  nuovo mischiata al sangue…


Hart Island:


Vorremmo dirvi
che siete la nostra lettera per il futuro
con la dignità di parole
che non abbiamo saputo scambiarci


Daniela Trezzi

Infermiera di trentaquattro anni della terapia intensiva del San Gerardo di Monza (uno dei maggiori fronti della pandemia). Si è tolta la vita il 24 marzo: "Viveva in un pesante stress per la paura di aver contagiato altri" (Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche).

Ismail Mohamed Abdulwahb:

Io con te penso ai miei nipoti,
piccolo budda delle nostre periferie
se il cuore è il primo organo malato…

Vittorio Grgoretti/Lucia Bosè:

Architetto, urbanista, teorico dell'architettura, scomparso a 94 anni a Milano; attrice, scomparsa per complicanze dovute anche al Covid a 89 anni a Segovia, in Spagna.

 RSA:

Qui l'attentato è alla piccola patria
se saltata la rete da fuori
per chi ha dato la vita è venuta la morte.


Li Wenliang:

Oculista all'ospedale centrale di Wuhan uno dei primi medici a riconoscere la pericolosità della polmonite di Wuhan lanciando l'allarme sul virus il 30.12.2019. Ammonito dalla polizia "per aver fatto commenti falsi su internet" muore dopo aver contratto il Covid-19 sul  lavoro il 7.2.2020.  Il 2 aprile dello stesso anno è stato dichiarato martire ed eroe nazionale.

Donato Sabia:

Determinato e fermo,
così oggi una fotografia ti restituisce
prima di una partenza…

Samar Sinjab:

Lo si legge dai tuoi figli
l'incontro declinato a fondo
di un desiderio che qui ha portato salvezza…

Antonio Nogara:

Imprenditore di 57 anni toltosi la vita a San Giovanni a Teduccio (Napoli) il 6 maggio.


Fabrizio Gelmini:

È vero lo si legge negli occhi,
in te il bene della terra,
il servizio dalla strada alla morte
proprio nella mia terra del padre.


Neonato di cinque mesi del Connectitcut

Con quale piccolo verso
vai a chiudere tu
che non hai portato la fiaccola?...

Gli Altri:

Come gli altri, anche voi
dalle strade, dalle case, dal lavoro
anonimi nell'anonimia della morte


Fino alla poesia Lamentazioni:


Ricomincia da ciò che sai,
da ciò che puoi cuore mio
ora che la sera muta i legami
e la notte non ha corpo
a cui cedere il sangue.

Ricomincia dalle tue morti,
dagli abbandoni precoci,
reimpara l'assenza, la misura
esatta e sola della carne.

Qui freme la sottrazione
la parte mutila del mondo,
accorda in una medesima nota
una vita che non ha terra,
e che non torna.

Siamo nel grande pianto,


e a una nota di chiusura dell’Autore:

"... compianto per gli scomparsi del Covid nei ritratti di figure che più delle altre hanno colto con più forza la mia attenzione e la mia risonanza.. il momento del lutto e del lutto partecipato, è essenziale nel riconoscimento di una identità sociale e collettiva in questo tempo così provata. Necessaria anche per una corretta, compresa interrogazione di se stessa.."

Gian Piero Stefanoni


 Opera emozionante, folta di tocchi poetici che contornano con empatica partecipazione il corso della silloge; di una composizione che, coi ritmi e le scansioni dell’anima, i momenti focali di una  tematica avvolgente e coinvolgente.

Nazario Pardini

      

RODOLFO LETTORE: "LINKS DI POESIE RECITATE"

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giovedì 28 maggio 2020

RITA FULVIA FAZIO LEGGE: "NEL FRATTEMPO VIVIAMO" DI NAZARIO P.


Rita Fulvia Fazio,
collaboratrice di Lèucade






Nell'accostarsi al testo lirico  Nel frattempo  viviamo di Nazario Pardini edito dalla storica casa editrice Guido Miano - 2020 si resta subito affascinati da alcuni elementi significativi: l'atmosfera immaginativa della raffigurazione in copertina; l'onesta e sentita prefazione di Enzo Concardi e il rimando dello stesso al montaliano "la poesia è vita"; nonché l'amor vitae, nerbo, vigore poetico dell'autore teso ad attualizzare la realtà tutta.
Del fermo immagine della copertina, in cui figure sono volte a prendere il mare, si ha la viva sensazione di essere avvolti dalla luce del tramonto che distende una dolce, calda sensualità, dalle sfumature giallo-rosee sulla battigia al rifrangere dell'onda marina. Il controluce pone in ombra le persone e stimola la fantasia a percepirle come parvenze in secondo piano rispetto alla forte emozione orchestrata dalla natura. Sì, lo scatto fotografico accende lo sguardo profondo dell'osservatore e individua la quintessenza della geometria compositiva il seducente quadro.
Percepisce, sensibilmente, l’espandersi del respiro umano per la resa vitalistica dei simboli naturali dell'universo "... quando il sentire compie / la geometria / perfetta, ritrovata, dell'essenza, / prova segmenti, / anche per brevi tratti / dell'universo intero, / libero ormai da scrimoli." (pag.17). La riflessione suscita lo sguardo morale della storia degli uomini. Si situa, proprio lì, il riflesso del senso ispirativo poetico dell'anima pardiniana; il segno ancestrale, primitivo tesse il piano compositivo. La rappresentazione è fortemente realistica; descrittiva di un mondo ampio, palpabile; e s'inoltra sempre più profondamente nell'animo umano. Nella fruibilità del tempo, il poeta attinge alla forte carica simbolica degli elementi naturali, paesaggisti; ai fatti concreti e tangibili. Rende visibile lo sguardo del vissuto, nell'intensità dell'attimo e dell'impegno, che si conserva intatto. Ma è, anche, lievito d'amore poetico, effuso sulla realtà sociale, nell'attraversamento del sesto senso del respiro artistico. Ne è prova l'acuta e sensibile prefazione del Concardi che, con scorrevolezza espressiva, delinea l'ideologia del poeta e ci consegna finanche, il sorriso accattivante del destino, stemperato dalla carezzevole liberatoria del peso della solitudine esistenziale, grazie all'incontro con la liricità di cui Nazario Pardini ci fa dono. Troviamo nella frase conclusiva: "Nazario Pardini, un poeta infine che sa anche uscire da ambienti e modi accademici per andare incontro agli uomini e condividerne il destino, nel profondo dell'io, nelle relazioni con gli altri, nel mistero "del cammin di nostra vita".
Nella prima parte del testo le liriche, senza titolo, sono  complementari di affermata concreta intensità. Si leggano "la geometria che attorno / si distende..."; " ho pescato con la rete dell'anima...".
Sì, proprio quell'anima, collocata in nessun luogo, eppure presenza effettuale "pucciniana" ( pag.61); è il plusvalore della realtà soprannaturale. Lo stile è di efficace. Il nitore dell'ordito espositivo, ritengo esplori il barlume del sentimento dell'oblio dell'abisso umano; predisposto quale contrappeso, contraltare alla gratitudine del dono della vita. Compensa la conflittualità e il disagio peculiare dell'esistenza per il maturato impegno, il riflessivo stimato "Il colore del mare / ed il tramonto / sono le poche cose terrene / che si contendono il cielo (pag.60); "La musica di Puccini / è uno dei pochi messaggi / che riesce a trasmettermi attimi di certezza / sull'esistenza del soprannaturale." (pag.61). È presa di coscienza che consente il vivere nel frattempo, partendo dagli accadimenti terreni .
"E il vano di un inganno defluire/ meno selvaggio, / meno prigioniero / fa apparire / un soggiorno da straniero." (pag.15).
E, in presenza degli assunti salvifici;  quando il sentire compie la geometria perfetta; "È il primo giorno d'estate / il cui raggio esplode nel fiume / a rifugiare i colori dell'acqua /...";   nel frattempo viviamo.
È limpidezza, giovamento compensativo, che avvalora il contenuto della seconda parte della silloge titolata Dal serio a al faceto. Dal sacro al profano. Architettura, trasferimento del senso al movimento ironico, giocoso; oppositivo, svincolante dal memoriale delle aporie, di impedimento; e oggettivazione delle fasi fragili e precarie, saporose della realtà; intenta a ripulire, dimenticare per la prospettiva di largo respiro: " L'immensità. /
Cessate, occhi, di nutrire la mia anima! / Non ho più parole da consumare / e mi abbrucia / l'immensità imprigionata." (pag.105).
Per rinfrancarsi dalla notte accecante, che tradisce l'amore; e che tanto, tanto spazio respira nelle vicissitudini della vita in ombre, disperazione, inquietudini, sopraffazioni, naufragi, catastrofi, stragi di questa società dolorosamente malata, crudele, violenta. Sì, insaporirle della massima tensione dilatata all'elevazione della bellezza, della purezza laica concretizzando l'amor vitae del canto .
"Palloncini di suoni
Come posso involucrare / 
i miei sentimenti? / 
Con che cosa / 
perché ti raggiungano / 
ove sei? /
Ci ho provato più volte / 
con le parole, / 
ma quella mole che ho dentro / 
non so, / 
così pesa, / 
se riesce a volare / 
in palloncini di suoni: / 
per questo ti ho scritto / 
poesie. (pag. 106).

Rita Fulvia Fazio


mercoledì 27 maggio 2020

MARIA GRAZIA FERRARIS CI SCRIVE


Carissimo Nazario,

Maria Grazia Ferraris,
collaboratrice di Lèucade

ho ricevuto insieme sia la silloge Nel frattempo viviamo che l’elegantissimo unicum Il sorriso del mare. Di questo secondo autentico regalo personalizzato non intendo scrivere recensioni: lo tengo tutto per me. Mi sono già occupata del tema commentando a suo tempo Canti d'amore, dolcezze, di sogno, gioielli di rara bellezza, rivisitate da una memoria che si fa specchio dell'anima ma che non manca di una sensualità quasi erotica dentro un passato nostalgico e suggestivo. Ho pure commentato I dintorni dell’amore, ricordando Catullo, in cui il tema d’amore che caratterizza la raccolta è declinato in ogni sua sfumatura e variazione, Bellezza, Sentimento, Emozione, Idealità e Poesia, passando   attraverso le situazioni umane più vaste, alla partecipazione vitale al ciclo naturale, sottolineando potentemente l'amore verso la natura, che si rinnova, varia, consolante e magnifica, malinconica ed appassionata, fonte di pensiero ed emozione, sempre presente nella tua poesia. Ho del resto commentato sul blog alcune singole liriche Corri, Delia! sottolineando come si scrive d'amore per cercare amore. Per ritrovarne il fascino abbagliante, lontano, e riviverne il sogno, l'elegia… Per ritrovare emozioni, fremiti, e ritrovarsi: alla ricerca di altre metamorfosi affettive, per offrirgli un futuro. È la vita e il suo senso.“Ma tu ricordi?” La domanda inquietante, il dubbio della corrispondenza davvero vissuta, dell’eternità della parola comunicante…. E da ultimo Amapola, la melodia che avvolge la natura e gli occhi di una donna.. Ti manderò invece un piccolo lavoro su Nel frattempo viviamo. Grazie di tutto carissimo Nazario, sempre così attento e presente. Un abbraccio con tanto affetto.

Maria Grazia

martedì 26 maggio 2020

MARIO SANTORO LEGGE: "NELLA TUA GIUSTIZIA MIO DIO" DI CLAUDIO COMINI




“Nella Tua giustizia mio Dio” di Claudio Comini:
un intenso percorso dell’anima tra natura, bellezza, fede

Recensione di Mario Santoro


Si percepisce, nella breve raccolta di poesie di Claudio Comini, un clima di calma tranquilla e di pensosa serenità ma al tempo stesso di consapevolezza piena dei valori autentici dell’esistenza, con la sensazione della continua ri-scoperta delle cose che contano in una ricorrente propensione allo stupore, al senso della gioia, alla relazione privilegiata con divino, attraverso un linguaggio poetico estremamente immediato, comunicativo, familiare, dialogico, diretto e sorretto da un ‘Tu’ confidenziale eppure sempre estremamente rispettoso e con un giusto velo di timore. Si tratta di un dialogo continuo, appena sospeso ad ogni poesia per consentire la riflessione e il ripensamento, morbido nei riferimenti, e, a tratti, tendente a farsi preghiera e sempre capace di esprimere, a tutto tondo, il senso della gratitudine per il dono della vita e per le promesse-certezze future, sicché anche laddove compare qualche vaga indicazione di disagio, dettata da certe incongruenze che nella vita affiorano e fanno dire all’autore che le “disuguaglianze / non dovrebbero esistere”, quasi subito essa tende al dissolvimento un po’ come l’ombra notturna che cede il passo alla luce del mattino.

L’autore privilegia un poetare breve se non anche sintetico, quasi trattenuto dal timore di abusare della parola. Allo stesso modo, immediati e rapidi. sono i rimandi efficaci agli elementi della natura che, di volta in volta, diventano oggetti di contemplazione e implicito canto al Signore, ma sovente anche ben manifesto, e fanno quasi da corona al lago Maggiore, di per sé straordinaria oasi di pace e di quiete con i tanti agglomerati urbani intorno alle sue rive e i monti in lontananza, le albe e i tramonti a susseguirsi, le notti con tanto di stelle, i profumi nell’aria e le testimonianze di vita umana. Pare quasi che Comini voglia privilegiare la parola schematica, spoglia di aggettivazioni preferendo affidarsi al sottinteso, al non volutamente detto, a certe evocazioni solamente indicate o addirittura alluse e consegnate al lettore insieme con l’idea di un sempre possibile oltre da raggiungere e con l’impegno di mantenere un tono basso, sulla linea dell’umiltà e della semplicità che non scade mai nel semplicismo, anzi! Di qui certi rimandi immediati ad altezze vertiginose da cogliersi nell’attimo e capaci di travalicare il cielo visibile, senza smarrimenti di sorta, e di aprire percorsi su sentieri inesplorati, mantenendo intatta la brillantezza delle notti stellate, quasi “bottoncini” di campaniana memoria.

Si tratta, quindi, di itinerari che perdono il carattere di neutralità e si ammantano di gradevolezza e di vicinanza alla natura e costituiscono un chiaro invito a lasciarsi catturare dalle meraviglie che ci circondano, dalla ripetizione continua del miracolo di bellezze, che incessantemente si rinnovano e permangono sotto i nostri occhi, qualche volta miopi, dal bisogno di recuperare quotidianità semplici o addirittura ordinarie. E tutto questo in un vero e proprio “itinerario di fede” per dirla con Guido Miano.  Appare evidente e radicata una sorta di concezione nuova dell’esistenza tra leggerezza gradevole e vaghezza di sensazioni che sfilano morbidamente e come vellutate, in vista di un’eternità felice e possibile, e in netta contrapposizione con l’idea di vita di tutto il Novecento, dominato dal pessimismo, dal cosiddetto male di vivere, dalla pena esistenziale, dal mestiere come artificio di sopravvivenza, da muraglie montaliane invalicabili e da tanto altro ancora. E alla delicatezza del tono, sempre misurato e controllato, sembra adeguarsi il verso, che non conosce fratture o frantumazioni ma si dispone piano, in una sorta di armoniosa simbiosi, e sovente si fa riposante, quasi un raccontare favoloso, dolce ma non mieloso, con il fascino dell’antico che si coniuga con il nuovo e con sempre l’invito a lasciarsi coinvolgere e magari avvolgere e, soprattutto, a non affannarsi alla ricerca delle futilità che il sistema sociale contemporaneo, sembra saper offrire.

L’autore mostra convinzione nel proporre come realmente possibile il sogno dell’al di là, quasi, quasi favola bella, senza l’illusione d’Annunziana e in sintonia con la chiusa della brevissima poesia pascoliana: “...il bimbo dorme e sogna i rami d’oro / gli alberi d’oro, le foreste d’oro...”. Il rapporto uomo-Dio risulta vero e più che maturo e non conosce dubbi o tentennamenti. Non ci sono i silenzi del Signore, che spesso tormentano i poeti e anche gli uomini di fede, gli attimi di scoraggiamento, i momenti di debolezza ed è sempre presente un senso di serenità e di fiducia nella dichiarata riconoscenza da parte del poeta che accetta di buon grado la legge divina, senza metterla in discussione e tentando di comprenderla fin dove glielo consente la sua limitata natura umana e alludendo sovente all’intervento di forze negative contro la giusta legge di Dio perché “per mano del maligno / c’è sempre chi vuole prevaricare” (La Tua legge mio Dio) sull’essere umano. Il divario tra il bene e il male, lotta pressoché perenne, è presente spesso nelle poesie con la contraddizione evidente tra la “Tua grande giustizia / che è nei cieli più infiniti e si connota sempre come “sorgente che disseta e le anime cadute in rovina, / per mano di quel maligno / che fa incetta di quella gente / che guarda in modo appariscente” (Sempre Tu nei cieli più infiniti).

Ed accade anche altrove che il male torni ad insinuarsi, motivo ricorrente di tentazione, con “la mano malvagia / del maligno, ma invano perché “nell’ora che verrà, non importa quando, sarà la luce divina a trionfare e a penetrare anche negli abissi. E così la poesia tende a farsi canto o meglio inno al Signore nella messa in evidenza della natura da Lui creata, con le placide acque del lago che rifulgono di luce al tramonto, con le onde leggere a frangersi dolcemente contro le rocce e l’eco delle voci che si rincorrono “tra le viuzze di un paese rivierasco / ancora vivo nei mesi estivi (Celestiale tramonto). E la lode riguarda anche le cose più semplici come la gioia armoniosa di una festa paesana ad Ascona, con il bel ricordo del poeta con tanto di “rintocchi / delle campane a festa, con il rimando della dolcezza di certi canti capaci di attrarre finanche la gente di passaggio.

E su tutto sembra dominare incontrastata la luce a cui Comini fa insistente riferimento con le placide acque del lago brillanti di luce, nel doppio richiamo alla esterna e, soprattutto a quella interiore, sia quando essa, come accennato, penetra “negli abissi più profondi”, sia quando si fa luminosa sul “profumo dei fiori”, sia, ancora, quando “tutto sul lago brilla della Tua vista / mentre le ultime luci del tramonto / invitano a una gioia senza fine” (Tutto nella Tua luce).
Luce fisica, dunque, ma anche spirituale! E quest’ultima non può che ritrovarsi idealmente alla destra del Signore, origine prima di tutto il Creato offerto come dono all’uomo che non sempre, anzi quasi mai o forse raramente, sa apprezzare la bellezza, sa comprendere la meraviglia del dono; addirittura talvolta sembra non rendersi conto della sua condizione di privilegio. Non a caso il poeta scrive: “Nell’incontaminata Tua dolcezza mio Dio / non tutto su questa terra / vien visto come un’opera buona” (Se Tu la vera luce). Eppure basterebbe poco per acquisire consapevolezza e soprattutto sarebbe più che sufficiente la lettura delle “Sacre Scritture del Tuo Vangelo. E Comini va anche oltre nella denuncia di una linea di evidente amarezza: “...oggi molti non credono / alla Tua celestiale luce divina, / tutto sta lentamente andando in rovina / e l’onda un domani distruggerà tutto / e del tuo grande regno mio Signore / resteranno solo pochi / che credono alle Tue Sacre parole / e al Tuo Vangelo” (Oggi soprattutto). Ma per fortuna la condizione di negatività dura poco perché, quasi nell’immediatezza, al pessimismo testé dichiarato, subentra la speranza della possibilità di salvezza. E così il “volo libero di gabbiani” ma anche “la dolce brezza” che spira sul lago, così come il suono melodioso dell’arpa, l’allegria serena della gente che passeggia, “il fiorito profumo della magnolia” e infine “un coro immenso di angeli / oggi sul lago”, tornano a dominare e a farsi sempre più simboli di bellezza e di splendore.

E allora tanto il lago quanto la località Calde diventano cuori del mondo, luoghi privilegiati che, con la “moltitudine di vele” che si possono ammirare nelle acque tranquille, assumono il ruolo di ulteriori simboli della festa delle feste, quella della “Tua venuta”. E quando ciò accadrà nulla potrà fare “la mano malvagia / del maligno” destinata alla fine a soccombere anche se talvolta essa fa di tutto per portare “la gente / lontana dai Tuoi sacri luoghi / dove ancora regna la pace / che rianima i cuori” (Non tutto brilla come tu vorresti). Trionfa il senso della certezza del bene supremo e si connota come linea di normalità con la gioia semplice e serena, autentica e incontenibile, capace di cancellare le ombre coi canti e con il suono delle campane e l’immagine delle reti dei pescatori al rientro in barca. Ed è con questa carica di tensione emotiva che Comini chiude la prima parte del volume Nella Tua giustizia mio Dio e ci piace segnalarlo con la riproposizione dei versi dell’ultima poesia: “Tutto è nella norma”: “E’ una gioia, rivedere nel risvolto del tempo / la gente applaudire il Tuo passaggio sul Maggiore / come se nulla fosse successo nel tempo / mentre le reti dei pescatori giungono a riva sulla barca / tra canti e campane che suonano a festa, / in una gioiosa Stresa” (Tutto è nella norma). Dal Tiberiade al Maggiore, dunque, nell’annullamento dello spazio e del tempo. Ed è chiaro e lineare il filo conduttore, -filo d’Arianna per la salvezza- difficile da spezzare, sebbene quasi invisibile, che lega tutte le poesie della seconda parte estrapolate da altre raccolte: la stessa carica di spiritualità domina, la medesima tensione pervade i versi ed è sempre vivo il richiamo alla divinità attraverso la natura con particolare riferimento ad elementi specifici come la luce e il lago in atmosfere gradevolissime di attesa, di serena accettazione dell’esistenza terrena, di fiducia nella mano amorevole del Dio misericordioso.

Tutto questo consente all’autore di potersi soffermare, a lungo e volentieri, sulle rive del lago ad ammirare, con animo fanciullesco e disposto allo stupore e con gentilezza di cuore, “la schiuma delle bianche onde” lasciando liberi i pensieri e consentendo ai ricordi di riaffiorare alla mente e, naturalmente, non solamente a quelli belli e consolatori ma anche agli inevitabili tristi giorni vissuti prima che la parola poetica, quasi salvifica, apra spazi a percorsi lieti, a “immagini felici / che riempiono la mia vita / come il sole che risplende sul lago, / regalando giorni sereni” (Nulla verrà dimenticato). E, proprio la condizione di serenità che subentra e permane, consente la dolcezza del ricordo paterno, ripresa più volte, con il rimando al suo percorso di vita, estremamente positivo e permette di immaginare la sua anima in cielo al cospetto di Dio, tra angeli e santi: “La felicità è in me padre / al saperti tra gli angeli e i Santi in cielo / di fronte a Dio che dà luce alla tua anima. / Tutto il tuo percorso in vita / è stato quasi gioia pur sapendo e conoscendo / momenti tristi passati” (La gioia è in Dio).

E la figura paterna viene ancora richiamata nel ricordo, triste e sereno a un tempo, della sua dipartita: “La tua anima è oggi salita al Padre / tra i canti di gioia di una moltitudine di angeli” (Tutto al Padre). Impiacevolisce ma non sorprende tanta sicurezza, figlia di una fede sincera e incrollabile, che ha reso in qualche modo sopportabile la lenta agonia tanto più nella certezza del dopo: “Si apriranno i cieli / e uno stuolo di angeli / canteranno le lodi / del tuo trionfale ingresso” (La tua anima). E nulla, ma proprio nulla, sembra smuovere la fede in Dio dell’autore che chiede umilmente perdono per gli eventuali peccati commessi, magari inconsapevolmente come sembra indicare il ‘Se’ introduttivo che ha poco o nulla di dubitativo e che punta a trovare per l’anima rifugio certo tra le braccia del Signore; rifugio che Claudio Comini estende a tutti gli esseri viventi con la bella Preghiera:

“Nella Tua viva e stupenda
Immensità Celeste,
il mondo un giorno si piegherà
al Tuo vivo e splendido cospetto
per chiederTi perdono per i peccati commessi”.

E magari, nella Sua infinita misericordia, Dio non chiederà conto dei peccati.

Mario Santoro




ANTONIA IZZI RUFO LEGGE: "NEL FRATTEMPO VIVIAMO" DI NAZARIO P.


Nazario Pardini, "Nel frattempo viviamo", Prefazione di Enzo Concardi, Casa Editrice Miano Editore, Milano


Nazario Pardini, noto scrittore, poeta e critico tra i più preparati dell'età contemporanea, ha affrontato, questa volta, nella sua silloge, "Nel frattempo viviamo", un argomento di somma importanza: la vita. Intorno c'è vita in ogni angolo: in noi, nei nostri simili, negli animali (domestici, liberi), nelle piante. La vita si rinnova, periodicamente, non si estingue: si può dire "eterna". Quante volte noi uomini la rinneghiamo! Succede, però, in momenti particolari, quando siamo irritati, quando non sopportiamo il male che ci assilla, quando non possiamo risolvere un problema. Quasi sempre, però, sempre, noi difendiamo la vita: ricorriamo ai medici, se siamo malati, e seguiamo le cure che ci vengono ordinate, prendiamo le medicine che fanno al nostro caso, facciamo tesoro delle esperienze degli anziani. E' perché vogliamo vivere, il più a lungo possibile, anche se affermiamo di "voler morire piuttosto che continuare a soffrire" (Quest'ultima affermazione la pronunciamo con la bocca, non col cuore, per "scaramanzia" ). La silloge di Pardini si compone di due parti: la prima parte ha per titolo "Nel frattempo viviamo", la seconda "Dal serio al faceto. Dal sacro al profano". Il poeta tratta argomenti che riguardano l'uomo, il suo procedere, il suo comportamento e il suo reagire nei momenti di crisi; egli esprime le sue opinioni. E' vero che la vita è una lotta, che non è facile superare gli scogli che affiorano nel suo cammino, ma non bisogna arrendersi, bisogna perseverare per riuscire vincitori, per provare la soddisfazione di non aver lottato invano. Se osserviamo attentamente, con scupolosità, notiamo che in essa sono molte le cose belle, positive, che si fanno prediligere: in primo luogo  la natura nei suoi aspetti stupendi che si evidenziano durante le quattro stagioni, l'affetto e la vicinanza dei nostri cari, gli amici, la soddisfazione delle nostre conquiste... Sono molte anche le cose negative che riscontriamo nella società. Ciò dipende dal fatto che noi uomini non siamo tutti uguali; vi sono, tra noi, anche i disonesti, gli egoisti, coloro che si danno da fare solo per sé a danno degli altri. E sono proprio questi che Pardini mette in luce, che non perdona, che condanna. Gli individui migliori sono coloro che coltivano l'arte: hanno sensibilità spiccata, sono onesti e generosi, amano la gustizia, l'imparzialità. Le liriche hanno tutte un significato. Riporto versi, stralci, solo di qualcuna di esse: <<In seno alla natura / un colore c'è sempre>>: è la natura che guida l'uomo nella scelta armoniosa dei colori. <<Com'è scaltro il tempo! / Mi nasconde il suo passare / ora con il profumo del mare, / ora con il volare dei passeri, / ora con foglie rame... >>. Il tempo, con le sue immagini, favorisce l'ispirazione. <<Sulle pareti della mia casa, / sono rimasti... / i canti di mio padre, / le esortazioni di mia madre... >>. Il poeta ricorda, con nostalgia, la sua casa e i suoi genitori. <<Sarà solitudine / la vecchiaia.. / ma pur sempre / l'unico mezzo / di restare.. / a respirare la vita>>. Chi muore a tarda età, vive più a lungo, conosce più cose della vita (E se la vecchiaia è un tormento? Allora si cambia, su di essa, parere). <<L'amore è come la luna: / questa telecomanda il mare, / quello lo fa con il cuore>>. Scene romantiche, sentimentali. <<La musica di Puccini / è uno dei messaggi / che riesce a trasmettere attimi di certezza / sull'esistenza del soprannaturale>>.  C'è sempre qualcuno che induce alla fede. <<Non esiste poeta / che della bugia / non ne faccia un'arte>>. Il poeta trova ispirazione anche nelle cose negative. E', per caso, quest'ultima affermazine, uno scherzo?>>.

Antonia Izzi Rufo