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lunedì 18 maggio 2020

FRANCO CAMPEGIANI LEGGE: "I DINTORNI DELL'AMORE..." DI NAZARIO PARDINI




Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade
"I dintorni dell'amore", di Nazario Pardini

Dopo avere paragonato la corsa del fiume che sfocia in mare alla corsa di ogni singola vita (Bios) che si versa nell'oceano della grande Vita (Zoe indistinta ed indelebile, immortale) Nazario Pardini, autore de I dintorni dell'amore ricordando Catullo (Miano Editore, 2019), nella sua iniziale Lettera ad un'amica mai conosciuta, amplia la propria riflessione toccando il rapporto fra Universale e Particolare, fra Materia e Spirito, fra Terreno e Divino. E si chiede: "L'avrà (Pneuma) lo Spirito Santo questo potere di infondere tutta la sua forza sulla materia per evolverla in bene?". La risposta è: "Io ci credo. Sono un credente. E non mi pongo tanti interrogativi. Perché questi dilemmi escatologici hanno bisogno solo e soltanto di fede. E non possono essere materia di speculazione scientifica".
Bene, partiamo da qui. Che cosa sia la fede per lui, il poeta lo dichiara fin da subito: "il mistero dei cicli naturali, un tramonto, un'immensa sconfinata distesa di neve, che tanto ci avvicina a quel senso di libertà che è in noi; libertà che inutilmente cerchiamo nel campo umano". E' un passo molto significativo, su cui vale la pena soffermare l'attenzione, giacché se quel senso di libertà è in noi, ciò vuol dire che esso è pienamente e assolutamente umano. E se poi quel senso di libertà viene compresso e ostacolato proprio nel campo umano, ciò vuol dire che i nostri meccanismi psichici si rifiutano di girare secondo ingranaggi naturali e universali. In altri termini - senza voler forzare la mano a Pardini - ciò vuol dire che gli uomini non hanno fede in se stessi ed amano nascondere a se stessi la propria essenza, la propria arcana fonte battesimale, il divino della propria stessa natura umana.
Così l'uomo diviene la prigione di se stesso, di quel suo spirito che nel soma vorrebbe realizzare le proprie più segrete aspettative. La natura dell'uomo è duale: materia e spirito allineati (non fusi) tra di loro. Di tale equilibrio, Pardini è poeticamente consapevole laddove sostiene che i valori dello Spirito rappresentano una "fuga, grande fuga dalla materia verso il Cielo", ma subito sente di aggiungere: "un Cielo che ci avvolga con tutta la sua purezza", e dunque un Cielo che avvolga la Terra, la renda bella ed amabile, giacché Cielo e Terra fanno tutt'uno, sono due in uno. "In me, sottolinea, coincidono l'idea di Leucade e quella di Pneuma": Cesare e Dio. Il male dell'uomo (di sempre) non sta nel cercare Cesare, ovvero i beni materiali, ma sta nel non cercare Dio, fuor di metafora i valori spirituali.
L'uomo contemporaneo (molto più dell'uomo di sempre) non crede in se stesso e si annulla, dice Pardini, "nella realizzazione di fini materiali; agire solo e soltanto in funzione di tale scopo". In tal modo salta l'equilibrio, quell'armonia che è molto cara al poeta pisano. La spiritualità di cui egli parla è sanguigna, è incontro di sensi e d'anima. Non a caso, in età matura, ora che "il fiume sta per fluire nel grande mare", come lui stesso dice, subito aggiunge: "spero che mantenga (quell'acqua) un po' di quell'aria sapida di terra e di pineta che ho sempre respirata". No, non è un mistico, Pardini. Ascoltiamolo con attenzione: "Non si deve accettare tutto passivamente come voluto da Dio. Bisogna lottare, lottare, lottare. Con tutte le forze che la Natura ci ha fornite".
E' l'Umano ciò che veramente sta a cuore al nostro autore: un Umano con la U maiuscola che includa la minuscola dentro la propria grafia. Temporalità ed eternità, carnalità e spiritualità in un solo respiro. Spiritualità che non si tramanda pigramente nei secoli, ma che si trapianta miracolosamente nei secoli, morendo e rinnovandosi in continuazione, come l'araba fenice. Essenza che "si perpetua nel tempo senza bisogno di naftalina". Quando Pardini parla di antico non si riferisce al passato, ma agli inizi perenni, a quel non/tempo che torna prepotentemente e sempre nel tempo, informandolo, modellandolo, permeandolo e indirizzandolo secondo i propri valori. Antico, dice Pardini, è un "cuore che pulsa e che torna a vivere; o meglio che non ha mai cessato di vivere", seppure posto fra parentesi nella prassi quotidiana.
Antico è ciò che non muore, ma che eternamente accetta di morire per darsi la possibilità di rinascere a vita nuova. Antico è ciò che sta nel tempo stando fuori dal tempo, e viceversa. Sarebbe davvero riduttivo, parlando di questa poetica, confonderne in senso antiquario il vitale concetto di antico. Antica è l'humanitas di sempre, eternamente attuale, è l'essenza immortale dell'ente, misteriosamente connessa con la vita mortale. Connessione, dunque, relazione, in luogo di quella scissione tra materia e spirito tanto cara ai materialisti e ai mistici di ogni tempo e paese. Ed è qui che nel poeta s'innesta il tenero, fascinoso, intenso ricordo della poesia catulliana. Che cosa sarebbe l'amore se uno dei due poli venisse a mancare? Amore come congiunzione, come attrazione di sangue e pneuma.
Dove il fisico ingabbia (imprigiona), lo spirito scarcera (sprigiona). Libertà nei condizionamenti e non dai condizionamenti, che sarebbe utopistico e fantasioso. E' questo l'amore, che da un lato è lieve, fa volare, e dall'altro cattura con opprimente forza gravitazionale. E se è vero che esso diviene "sempre più puro a mano a mano che le forze calano, e viene meno, sempre meno la voglia del terreno", è pur vero che di sensi terreni si nutre "per mantenersi vitale, attuale, e sapido di bosco, di mare, di terra, di fiume, sapido di luoghi dove consumammo amore". La Natura è al centro della poetica pardiniana: un Paradiso terrestre, una spiritualità incarnata, dove i due piani si allineano, senza essere goffamente trascinati l'uno nell'altro, come accade nel disperato e illusorio amore di Orfeo per Euridice.
Ma senza neppure essere separati l'uno dall'altro, come avviene nell'amore boccaccesco, che tira verso il basso, totalmente disincantato, o nell'amor platonico teso verso l'alto, con la visione della donna angelicata. Un amore del distacco, quest'ultimo, miseramente destinato a fallire, a rivelarsi impossibile, come quello di Petrarca per Laura, o quello di Leopardi per Silvia. O quello dei Simbolisti, nato nel segno della svalutazione dei sensi e della Natura in generale. Mi sovviene in proposito la collera di Baudelaire contro Catullo e la congrega di "poètes brutaux et puremente épidermiques", i quali "n'ont connu que le pȏle sensualité". Collera certamente non condivisa da Pardini, che mostra di amare la donna autentica, nello splendore angelico della sua presenza carnale: "Ma io ti amavo, / ti rivolevo a terra, / no Madonna fra i Santi in mezzo ai canti" ("Secretum").
La Donna, la Terra Madre: figura tutt'altro che morbosa o demoniaca, come è stata ingiustamente raffigurata da tutti coloro che nella Natura vedono una potenza malefica, anziché una fonte di lezioni morali. Lo sappiamo bene: un malinteso senso della libertà induce a rifiutare i limiti che la Natura pone e che fanno indubbiamente soffrire, ma  è proprio attraverso quelle forche caudine che è chiamata a passare la libertà dello spirito per potersi potenziare. Le cosiddette passioni - che tra l'altro derivano dalla malsana mente dell'uomo e non dagli istinti naturali, sempre purissimi - procurano sofferenze che occorrono alla stessa mente come un vaccino per potersene immunizzare. Curare il male con il male. Altro che nirvana! altro che fuga dai morbosi desideri che procurano dolore! La vita va vissuta con forza d'animo e non vilmente rifiutata.
C'è una enorme differenza tra Catullo e Saffo, la poetessa di Lesbo, cui il poeta latino è stato paragonato. Nessuna disperazione in Catullo che vive con Lesbia un amore, si torbido, ma nobile e vigoroso come raramente accade di incontrare. Possiamo trovarne conferma nel carme 8 (Miser Catulle, eccetera), da Pardini giustamente citato. Carme di una limpidezza formale, ma soprattutto morale, straordinaria, dove il poeta parla con se stesso da un'altezza di spirito duramente conquistata: "Cessa di vaneggiare, e quel che, o misero / Catullo, ormai svanì, lascialo perdere. / Fulgidi soli a te un tempo risero, / quando a un cenno di lei correvi subito, / che tanto amasti quant'altra non può essere" (nella versione originale è detto amata "nobis quantum amabitur nulla", dove il tu iniziale si trasforma in noi, nel segno di un'amicizia spirituale con se stesso e di un orgoglio ritrovati).
Ma ciò che più è ammirevole lo troviamo sul finale del carme: "Ormai lei non vuole più: anche tu, non padrone di te, non volere / e non inseguire colei che fugge, e non vivere infelice, / ma con animo risoluto resisti, tieni duro. / Addio ragazza, ormai Catullo tiene duro". E questo sarebbe il debosciato poeta latino di cui parla un'insulsa tradizione perbenista e bigotta che si vergogna di vivere e di essere come natura vuole! Nella prima sezione del libro, l'autore, con accattivante eleganza formale, rivive e ripercorre nel proprio spirito, autonomamente, gli stati d'animo catulliani, dedicando a Delia, anziché a Lesbia, versi d'amore che fanno a gara con quelli del celeberrimo poeta di Roma. Non sono traduzioni, ma rifacimenti a volte, e il più delle volte geniali varianti liriche nei confronti di una donna amata e odiata nello stesso tempo.
Nella seconda sezione ("Di vita, di mare e di amore") prende corpo un canto di dolorosa consapevolezza delle offese arrecate dal genere umano alla Madre  che generosamente gli ha dato i natali ("E noi ti demmo morte / con lame affilate nei fianchi / ... / dopo avere frantumato le campagne / ... / senza nemmeno piangere, immemori / dei riti tramandati dai pagani / pietosi per i cicli della vita"). La sacralità del Creato, i misteri del sacro primordiale, la divinità della Natura (che uno sconsiderato spiritualismo confonde con il Panteismo, secondo cui la Natura è Dio): tutto questo risuona nell'animo di Nazario Pardini, con nostalgico vitalismo. Al Paganesimo, infatti, è dedicata infine la terza sezione, "Canzoniere pagano", da pagus (borgo rurale), con una serie struggente di richiami alla natura che il mondo, non da oggi purtroppo, ha voluto dissacrare.
Da dove nasca questo civile e spirituale terrore per gli istinti non è dato sapere. Essi, se puri, non hanno, né possono avere colpe di alcun genere, perché sono sempre alleati dello spirito. Se così non è, la responsabilità non ricade su di loro, ma sulla mente che interrompe e devia l'allineamento tra i due poli. Soltanto la mente, infatti, può mentire, e mentire in primis a se stessa, come testimonia la radice (mens) che i due termini hanno in comune. Pensiamo alla ricchezza di un mondo dove tutto è ritenuto divino (l'acqua, la roccia, i vegetali, gli animali, il sole, gli astri, la luna, le stelle) e poniamo a confronto questa ricchezza con il povero e desolato pianeta che ci hanno lasciato le sconsiderate filosofie successive, nate e cresciute all'insegna della separazione tra materia e spirito. Da qui il corpo maltrattato, quello femminile principalmente (stante la relazione della materia con la mater. Per non parlare della terra inquinata, dei mari e dei cieli, verso cui i Pagani - si proprio loro - avevano una devozione sacrale.   

Franco Campegiani   




4 commenti:

  1. Ritorna, dopo molto tempo, la presenza e l’interpretazione filosofica di F. Campegiani, di cui si sentiva la mancanza. Franco analizza, da par suo, il tema della fede in N. Pardini, riflette sulla natura duale dell’uomo (“materia e spirito allineati (non fusi) tra di loro. Di tale equilibrio, Pardini è poeticamente consapevole…”), e sulla “ spiritualità sanguigna” di incontro di sensi e d'anima, lontana da ogni forma di misticismo (“E' l'Umano ciò che veramente sta a cuore al nostro autore: un Umano con la U maiuscola che includa la minuscola dentro la propria grafia”), per cui la vita va vissuta con forza d'animo e non vilmente rifiutata, la ricerca dell’umanità antica di sempre, eternamente attuale, e l’amore con la sua complessa storia letteraria, per concludere con “La Donna, la Terra Madre”: figura tutt'altro che morbosa o demoniaca per cui può affermare: “ Pensiamo alla ricchezza di un mondo dove tutto è ritenuto divino (l'acqua, la roccia, i vegetali, gli animali, il sole, gli astri, la luna, le stelle) e poniamo a confronto questa ricchezza con il povero e desolato pianeta che ci hanno lasciato le sconsiderate filosofie successive, nate e cresciute all'insegna della separazione tra materia e spirito..” Una lettura originale e consapevole di cui ringraziamo il filosofo.

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  2. Carissima Maria Grazia, ti sono molto grato per queste tue lusinghiere considerazioni. L'attenzione che dedichi ai miei scritti, ma non solo a quelli (che sono povera cosa), mostra la generosa dedizione del tuo animo verso tutto ciò che ha a che fare con il pensiero e con la poesia. Ti abbraccio.
    Franco Campegiani

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  3. L'esegesi dell'Opera di Nazario, che ebbi la fortuna e l'onore di leggere e di provare a recensire, del caro amico Franco, è un capolavoro di originalità, di slancio vitalistico - per adottare una sua frase -, di vibrante sentire. Ha colto gli aspetti della Silloge con acume e con la poderosa fierezza intellettuale, che lo rende un grande Filosofo. Maria Grazia, come sempre, ha saputo scandire l'essenza dei vari passaggi del tributo, io mi limito a complimentarmi con l'amico per il suo pensiero visionario,nell'accezione di utopico e al tempo stesso legato fortemente alla realtà. Vorrei possedere i suoi strumenti di analisi per avvicinarmi anche solo un poco a questa capacità di lettura. Tutti i miei complimenti e un forte grato abbraccio, che estendo alla cara Maria Grazia e al nostro Nazario.

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  4. Grazie a te, Maria, per le amichevoli e sempre incoraggianti parole. Sai quanto sia importante per me il tuo parere e quanto io stimi la tua esplosiva carica vesuviana, da autentica pasionaria della cultura e della poesia. Ricordo di avere ammirato a mia volta la tua recensione di quest'opera di Pardini, anche se non sono riuscito a commentarla (e di questo ti chiedo perdono). Ti saluto con affetto, unitamente al grande nocchiero che ci ospita sul suo veliero.
    Franco Campegiani

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