Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade
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Quasi un colloquio con
I colori dell'iride di Claudio
Fiorentini
I colori
dell'iride (Ensemble edizioni, 2019) è l'ultimo
lavoro poetico di Claudio Fiorentini. Sono poesie dedicate, come recita il
titolo, ai colori dell'iride: per ogni colore un gruzzolo di versi, preceduto
da un esergo di particolare impatto filosofico ed emotivo. Poesie che
riflettono sul principio vitale immarcescibile contrapposto alla fugacità della
vita che scorre: travolta quest'ultima dalle leggi spaziotemporali, mentre la
prima, corrispondente all'anima - ilozoistica
- di una immortalità per così dire calata nel tempo, interna alla physis, da non confondere con quel
principio superiore e ordinatore del mondo che sta al di fuori dello spazio e
del tempo, definito comunemente Dio.
Verso Costui -
apostrofato come "allenatore inutile" che "rimane in panchina
seguendo distrattamente il nostro gioco" - nel preludio all'opera,
l'autore eleva un acuto grido di protesta, rivendicando a sé il diritto di
dirigere la propria danza e di organizzare la propria esistenza, "giocando
fino a sfinimento" ("Giocherò la mia partita così com'è / consumerò
le mie forze, tutte"). Per poi concludere: "Dio? No, non è questo il
punto. / Io". Ed ecco, in sintesi, il perno intorno a cui ruota il nuovo
lavoro poetico di Fiorentini: un rifiuto del giogo imposto da codici morali
calati da chissà dove, affermando per l'uomo il diritto di vivere la vita
com'è, con la sua carica di esperienze positive e negative, senza esclusione
alcuna. Tutto contribuisce all'arricchimento coscienziale, ed è per questo che
ogni colore dell'iride rivendica il proprio insostituibile ruolo.
Così il Nero, ingiustamente fagocitato dalla luce (anche se può sembrare il contrario), dichiara il proprio
misconosciuto bagaglio di palpiti vitali, che occorrono al risveglio
dell'essere proprio mentre sembrano occultarlo. La notte, difatti, prepara
sempre il giorno, e viceversa, per cui ogni esperienza occorre ed ogni attimo
merita di essere vissuto fino in fondo senza estromissioni. Il Rosso è il colore della rabbia per il non vissuto, per il tempo sprecato che
lasciamo ingiustamente marcire: "Noi due, vita, siamo quelli del
nascondino / tu da una parte e io dall'altra / siam fatti per eluderci e
null'altro /... / Sarà così, per me, per sempre: / vivere cercandoti, vita, e
mai trovarti". E tuttavia "canterò un'ode straziante / ma felice /
profondamente, insanamente felice / perché saprò che se anche un solo istante /
mi sono saziato di vita / anche solo per quello / il percorso non è stato
vano".
E per quanto l'Arancione si chieda: "perché la
vita mi ha usato così poco? / Perché la gioia è così deperibile?" (andando
la vita "sempre dove deve andare", per cui "abbiamo solo tempo
che passa / veloce o lento"), comunque la magia esiste e "non vi è
mai ragione / per non cedere alla meraviglia dell'alba / o per non godere di un
volo di rondini a primavera!". Il poeta, certo, amerebbe assolutezza,
pienezza di slanci e totale amore; amerebbe evadere dalla prigione dei limiti,
con una "spinta di disubbidienza all'ordine / all'educazione /
all'orgoglio / al tempo marcio che non torna", ma è costretto ad
arrendersi alla propria pochezza, sentendosi "arido e stanco" e
cedendo "al dolore e all'allegria / di quest'unico momento / che altro non
vuole!".
La vita è comunque
splendida, a prescindere dai rari momenti di grazia che concede. Li si
accolgano pure in festa, ma senza illusioni, ben sapendo che la realtà in ogni
caso non muta né può mutare. Così il Giallo
si rivolge di nuovo a Dio per dirgliene quattro. Lo invita a scendere dal suo
"mondo di perline e brillanti" per prendere contatto con la cruda
realtà, ma Quello se ne infischia e ciò prova che è fatto della nostra stessa
stoffa, non a caso costruiti a Sua immagine e somiglianza. Ne segue che i valori
assoluti non esistono, che sono pura vanità... E qui, caro Arancione, una pausa
è d'obbligo, da parte mia. Consentimi una domanda: perché mai i valori
dovrebbero esistere solo se esiste Dio? cosa c'entra Lui con l'urgenza che io
sento di fare i conti con me stesso e di essere presente a me stesso?
Interviene il Giallo: "in fondo, la vita è solo
vita: / E tutto ne fa parte". Bene, ma come puoi tu vivere se non ti rendi
conto che stai vivendo?... tu, proprio tu che sei Giallo, con quella
particolare visione del mondo che ti appartiene (o cui tu appartieni)? Del
resto, se fosse vero che "la vita è solo vita", non ci sarebbe
neppure bisogno di pensarlo. Solo se esiste il tuo npensiero (e dunque i tuoi
valori), tu puoi pensare che la vita non ha bisogno di essere pensata.
Adeguarsi ai valori, pertanto, non significa piegare il capo all'ipse dixit, rinunciando alle proprie
esperienze e in definitiva a se stessi, ma al contrario significa proprio
seguire se stessi. E quando tu affermi che "il mondo ha un segreto / e noi
lo abbiamo tradito", non fai che alludere - ritengo - all'intelligenza
arcana che tutto accoglie - il positivo come il negativo - purché si sia
realmente autentici e non ci si nasconda a se se stessi.
E cosa fa il Verde? Accennando ai migranti si
dissocia da quanti vorrebbero respingerli, ma condanna anche quanti vorrebbero
integrarli nella nostra cultura fondata sullo sfruttamento. Nel caso migliore,
offrendo loro "i desideri di un sistema malato / che ride di noi, perché
ci ha sconfitti". Nessuno è senza peccato, per cui lui dice:
"parliamoci chiaro: non c'è salvezza", è inutile ribellarsi a un
sistema che resta comunque padrone del campo. Ebbene, carissimo Verde, hai
ragioni da vendere, ma io so che questa considerazione non riuscirà ad esimerti
dal fare quel poco che puoi, non dico
per migliorare il mondo, ma unicamente per essere fedele a te stesso. Nel tuo
piccolo, s'intende, tu che non sei un drago sputafuoco, né un supereroe...
Troppo poco, tu mi dirai, per eccesso di umiltà, ma meglio poco che niente, non
ti sembra?
Del resto, tu stesso
lo dici: "cercare di essere un uomo giusto / semplice e banale, ma giusto
/ ... / non è già tanto?". Ribellarsi è possibile. Concretamente, nei
comportamenti privati, sputando sudore e sangue, e non certo a chiacchiere,
magari sventolando bandiere. Oppure in silenzio, evadendo in montagna, in un
romitaggio di comodo. Un uomo giusto
vive tra la folla e mangia le ingiustizie del mondo, di cui non può non
sentirsi responsabile. Se si fosse in tanti a fare quel poco, quel poco diverrebbe tanto... Vedo con piacere che il Blu è d'accordo: "altra missione a
te non rimane / che portare a termine questa tua vita. /... / vai avanti per la
tua strada / senza tentennamenti, senza paure / vai". E coltiva i sogni:
"sono lì per te / a indicarti il cammino" e per accompagnarti
"dove risiede il perché / immenso e misterioso / della vita".
E persino l'Indaco
conferma: la vita è dentro, nei sogni sepolti, non nel tumulto del
tempo tiranno che tutto travolge nell'oblio. La storia del mondo è fatta di
"popoli di morti in vita" che "si azzannano per un tozzo di
pane", "tutti intenti a sopravvivere / senz'anima", e a nulla
valgono sia il coraggio che la disperazione. Tuttavia egli dichiara: io
"lotto perché il mio passaggio non sia vano", "pensando a cosa
racconterò alle mie figlie" e "al mio dovere di padre: / amare di più
/ e amare meglio". Ed ecco il Violetto:
"credi nell'amore che ti fa scalare il mondo / credi nella voce che è in
te / è lì, non altrove che sarà vero l'amore profondo / ... / non sei qui per
arrivare primo / ma per dare il meglio di te". A questo punto un sospetto:
è forse in atto un'inversione di rotta, visto che inizialmente si era partiti
dalla rivendicazione del ruolo di tutte le esperienze?
Sospetto infondato,
giacché a ben guardare è sul contrasto che si fonda l'armonia del mondo.
L'Indaco, difatti, non esclude il negativo, ma gli concede una funzione
formidabile affrontandolo temerariamente e sfidando con un ghigno finanche la
morte, certo di essere comunque vivo, "immensamente vivo", al di là
di ogni apparenza. E allora, diciamo le cose come stanno: i due contendenti non
sono che aspetti distinti di una medesima struttura pensante. La lotta tra il
Bene ed il Male è tutta interiore, Caino ed Abele sono una sola persona. Si è
due in uno (o uno in due), a dispetto del rifiuto paradossalmente gridato da
ciascuno al proprio angelo (che è l'altra faccia di se stesso): "Io
voglio... / ... / diluirmi nell'infinito, essere tutto, essere te / ma non
essere insieme a te".
Che cosa fa infatti
il Bianco, che è un semplice
riflesso, nient'altro che un nulla? ha nostalgia degli altri colori "che
sono qualcosa: / birichini, allegri, dispettosi...", seppure corruttibili
e fugaci. Ed ammira profondamente il Nero che lo aiuta a brillare. Armonia di
contrari: "si trova, la luce / in ogni ruga della vita / in ogni attimo
ribelle / in ciascuno di quei momenti / che non si piegano al passo del tempo /
ma che si dilatano / che rimangono sempre fissi nell'anima / che tutti insieme
fanno il perché della vita". La luce non è altro che vita che resta, a dispetto della vita che passa, di cui pure è intessuta. E' l'attimo sacro
dell'inizio perenne, perennemente connesso con la perenne fine. L'attimo che
"non teme la sfida / e s'impone nella sua lucentezza / perché solo lui,
ora e sempre / la fa da padrone". Un padrone che ama e rispetta tutto ciò
che lo serve e lo aiuta.
Franco Campegiani
Sono profondamente grato a Franco a Franco per questa autorevole recensione che, oltre ad avermi trasmesso l'emozione che viene dalla scoperta di una fratellanza d'intenti non altrimenti traducibile, contiene una profondissima riflessione sul senso della vita. A volte la poesia e' questa riflessione, e le tue parole, caro Franco, le ho lette come la traduzione dei miei versi e della composizione del libro, che hai ben interpretato nella sua tormentata sequenzialita'. Insomma, hai fatto centro! Grazie a te per queste parole e grazie a Nazario per consentirci l'approdo sullo scoglio di Leucade.
RispondiEliminaClaudio