L’ULTIMO AUTUNNO
L’ultimo autunno che vivremo
assieme
sarà per impolparci dei colori
della nostra stagione. Verrà
il mare
con le sue inquiete onde a
raccontarci
storie di antichi approdi; a
suonarci
ottobrine romanze. Stai con
me.
Sarà bello abbracciarsi; sarà
di nuovo bello
confondersi coi lampi di una
fine,
come lo era,
coi fremiti nascenti delle
fronde.
PICCIONI
Bianchi, bigi, rossi, sopra il
tetto
si assiepano, la testa fra le
piume,
a tu per tu col vento. Sono
liberi.
Appena il sole sbuca da
levante
scuotono il manto e volano
decisi
sui campi a becchicchiare
qualche seme.
Svolano sulle foglie delle
viti,
sugli stecchi crocifissi delle
piante,
su tutto ciò che è avanzo
dell’autunno.
Hanno solo l’istinto. Il loro
volo
rompe i raggi lucenti e stampa
in basso
ombre vaganti; e con i suoi
schiocchi
batte dell’ali il tempo della
vita.
Se getti le granaglie sul
cortile
accorrono in picchiata; e via
nell’aria
o sul suolo a tubare calorosi
in cerca dell’amore. Libertà,
spazi aperti, profumo di
granturco,
rapina di micragne; anche la
pioggia
per loro è acquasanta; li
battezza,
scivolando sul dosso come
l’aria.
Sono lì, li vedi di pedina,
vivi, trepidanti, nell’attesa
di nuove corse da donare al
cielo.
E poi la morte. Dove andranno
a morire
quando la sorte tocca?
Non ce n’è traccia. Sarà forse
il destino
a riservare loro un angolino?
Il FALCIONE
Nel mezzo ai tanti attrezzi è
lì un po’ triste
il falcione che più profuma
d’erba;
ha perso la sua foga fra le
miste
ferraglie di cantina; anche se
acerba
la verzura del campo nelle
mani
callose di mio padre si
accendeva
dei riflessi del sole, ed i
suoi suoni
sembravano dei canti a
primavera.
Ora è lì, senza voce: una
bestia ferita,
accanto ad una cesta e ad un
barile.
Nemmeno ti risponde se lo
chiami.
La lama arrugginita pare cinta
da un’aria d’abbandono. Nel
cortile
l’ho portato, all’aperto, fra
i richiami
di paperi e galline. Riluceva;
mi sembrava felice; era una
spera.
NATURALE
È LA VALLE
Naturale
è la valle e la scogliera
in
questo luogo sperso tra i roveti:
segreti
riaffiorano dall’anima,
sana è
la vista e tanto largo il mare.
Non
appare che l’onda e l’orizzonte
da
questo monte sopra la città;
la
verità è al di là di quei confini,
oltre
il getto del faro,
il
caro faro che tanto ci dice
dell’umile
portata degli umani.
Vani
gli azzardi per capirne il senso
condannati
alla terra e ai suoi miraggi;
che i
raggi siano giusti a completare
la
voglia degli spazi oltre quel mare.
LA
PIENA DEL SERCHIO
Piove
a dirotto stamani, ed il Serchio
gonfia
il suo letto; è già nelle golene,
tra
gli alberi che invocano l’aiuto
frusciando
melanconici richiami
col
loro ciuffo sopra la corrente;
niente
risparmia l’acqua inferocita,
tutto
porta con sé, alla deriva.
Qui
dall’argine l’occhio si spaventa
a
mirare la potenza che sprigiona:
le
barche sradicate dai pontili
corrono
in grembo al grosso defluire,
e
ciottoli, tronchi, tavole, e ferraglie
si
rincorrono in gara verso il mare.
Mi
sposto, e vado svelto a miscelarmi
alla
furia spaventosa della foce.
Tira
Tramontana, se Dio vuole,
fosse
Libeccio chissà che inondazione.
Qui le
melme del fiume si accavallano
con
l’onde spaventate
che
sembrano opporsi a tanta furia.
Odori
di salmastro e d’acqua smossa,
di
erbe trascinate contro voglia,
mi
invadono narici. E mi confondo
con
tutto quel fracasso naturale:
divento
un ramoscello in mezzo al mare.
LA
SOLITUDINE DEL MARE
Sono
solo e l’inverno mi percuote
coi
suoi venti freddi e burrascosi.
Innalzo
le onde fino al sommo cielo
e le
porto alla strada per sbirciare
gli
addobbi di Natale. Ogni tanto
mi
vengono a trovare dei ragazzi
innamorati:
seduti sul pattìno,
allungano
lo sguardo, incatenati,
tra un
bacio e l’altro, fino all’orizzonte.
Mi
fanno compagnia. La solitudine
mi fa
pensare al mondo, al mio vagare,
mi fa
pensare ai giorni dell’estate,
ai
tanti corpi immersi dentro me,
alle
grazie di giovani fanciulle
che mi
lisciavano il corpo. Ora ricordo;
vivo
nel rievocare quei momenti,
mi
sento triste se mi torna in mente
il
pianto di una madre e il suo inveire
contro
la risacca, e la corrente,
che portarono via un figlio in fiore,
sperso
nei miei fondali. Ma a pensarci
sono
tanti i mortali sprofondati
nelle
mie cavità. Ora son solo;
alzo
le braccia al cielo e mi imburrasco
per la
forza di un vento che d’inverno
mi
assale con frustate. Se m’incontri
di
questi tempi ombrosi e nuvolosi,
quando
il respiro mio si fa più denso,
mi
vedi in piena angoscia. Tiro fuori
tronchi,
detriti, ciocchi e tavoloni,
spurgo
ogni cosa che mi porta il fiume
e
riempio la spiaggia di vestigia;
si
fanno le mie acque intorbidite;
trovo
la pace solo se la luna
frantuma
le sue chiome in tante scaglie.
Allora
mi riposo. Puoi vedermi
quando
arancio le guance e tingo il cielo
degli
amplessi fecondi che dal dentro
fuoriescono
per visualizzare
l’inquieto
stare chiuso dagli scogli
senza
poter sfuggire oltre le sponde.
Senza
poter capire, e mi tormento,
quello
che fuori esiste; e che mi è ignoto.
Ho letto "I dintorni dell'Amore" del nostro meraviglioso Nazario e mi scuso con lui e con gli ospiti di Leucade per la lettura partecipata, ma non degna di un critico. Purtroppo svolgo attività di operatrice culturale, ma ho conosciuto i veri critici e sono in grado di effettuare un distinguo. Ciò non toglie che leggendo questa mini - Silloge di sei liriche, nella quale la Natura domina sovrana e, con le sue creature poetiche, illustra un universo fermo, fantastico, che si srotola impassibile di fronte alla luce dell'eternità, ho avvertito il bisogno di dire la mia gratitudine. La vita è così dannatamente fragile fino a quando si inciampa nell'arte:
RispondiElimina".... Stai con me.
Sarà bello abbracciarsi; sarà di nuovo bello
confondersi coi lampi di una fine,
come lo era,
coi fremiti nascenti delle fronde."
Il titolo "L'ultimo autunno" non mi lascia pensare al nichilismo, il Poeta è in perenne ascolto del mare, dell'elemento che gli è più caro, e promette all'amore della vita di ripetere il Sogno vissuto in gioventù. L'attesa è libertà di correre con l'immaginazione, odora di iodio e di salmastro; profuma di tutto ciò che è specchio di infinito. E i versi delle altre poesie rendono bene l'idea di quanto per questo Poeta "i ricordi sono l'unica strada che porta verso casa" - T.T. Williams.Ma nei versi in oggetto Nazario attua una forma di animismo, in quanto il territorio della memoria s'identifica con 'il falcione', con 'la valle', con 'i piccioni' e naturalmente con 'il mare. Diviene magicamente creatura poetica e 'umana' anche un oggetto usato nei campi. Quale sinfonia! Quale capacità di andare oltre l'ovvio, di divenire altro rispetto al consueto. Mentre lo leggevo per la seconda volta e continuavo a stupirmi, immagazzinavo ogni verso come grano per un futuro inverno. Ho avvertito la sua fanciullezza, che conosco e che ritengo solida come una quercia e la sua Grandezza, che conosco e che attinge dal metro classico nulla concedendo al desueto, brillando di modernità... Ho spesso pensato all'Amore come a un possesso, l'Amico Poeta mi insegna che è la cessione di se stesso agli altri. Non finirò mai di ringraziarlo. Lo abbraccio con tutto il mio ammirato affetto.
Errata corrige: "I dintorni della solitudine". Nazario scrive di tanti 'dintorni' e io sono un pò stonata dal caldo.... Chiedo venia
RispondiEliminaCome dice Maria, domina in questi versi la natura che amplifica l'eco dei ricordi: Tiro fuori
RispondiEliminatronchi, detriti, ciocchi e tavoloni,
spurgo ogni cosa che mi porta il fiume
e riempio la spiaggia di vestigia;....Grande è la lezione del Poeta che trova Pace riflettendo su ciò che è stato, perchè la Poesia come la Storia, è memoria e testimonianza
RICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaE mio Nazario caro, l'onda
dei tuoi ricordi viaggia insieme all'acqua
o del Serchio o del mare.
Detriti tu battezzi le memorie
che affiorano così quando si smuove
un poco della sabbia del fondale,
minuscoli brandelli di una vita
che il tempo ha incapsulato dentro un'alga
o nelle iridescenze di conchiglie.
Diversi però furono quei giorni
che tu tanto rimpiangi, nella sera
acquistano l'odore del trifoglio
tagliato appena adesso dal falcione
e vengon colorati dalle nuvole
che il rosso del tramonto ora perfora.
Diversi, ma ci fanno nostalgia
per quello che del tempo ormai passato
noi non sapemmo cogliere lasciando
a quel futuro incerto la missione
di farne un fascio per il dopo, il dopo
che ci trovò impreparati e mutili
a svolgere quel compito d'esame.
Però t'ammiro, sai trarre le tue note
da un vecchio carillon arrugginito
sepolto nella sabbia o nelle gore
di un'acqua che infida scorre al mare
per trascinarci alfine in quel fondale
che ci sotterrerà a poco a poco
senza che gli altri ne abbiano ricordo.
Carla Baroni
Ach'io ho letto "I dintorni della solitudine" del prof. Pardini ove mi sono ritrovato in quel senso di rivisitazione dei ricorsi e in essi mi sono poeticamente perso (in senso positivo) per la caratura poetica, per la freschezza del linguaggio volutamente impregnato di quella semplicità giovanile disarmante che pone il lettore a chiedersi come mai tanta umiltà spontanea di linguaggio, specie se è consapevole della cultura oceanica dell'autore? Darsi una risposta è un azzardo che può portare a sentieri opposti alla meta di un perchè vero. Una cosa però è certa: che la Sua è vera poesia ove ogniuno/tutti possono entrare, (quella freschezza di linguaggio diviene una porta aperta a tutti)per rivisitarsi nei propri ricordi. Il bello della poesia è certamente anche: dare a tutti il proprio sentire poetico per ampliare a dismisura la platea di lettori al fine di gradificarli nella lettura poicè a eco gradifica anche l'autore. Resto sempre dell'avviso che l'emblema dell'essenza poetica,e che la racchiude nella sua globalità, nei suoi ultimi lavori, è quel capolavoro: La piena del secchio. Pasqualino Cinnirella
RispondiEliminaScusate l'errore di battuta: La piena del Serchio nell'ultimo rigo. Pasqualino C.
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