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venerdì 24 luglio 2020

NAZARIO PARDINI DA "I DINTORNI DELLA SOLITUDINE"




L’ULTIMO AUTUNNO

L’ultimo autunno che vivremo assieme
sarà per impolparci dei colori
della nostra stagione. Verrà il mare
con le sue inquiete onde a raccontarci
storie di antichi approdi; a suonarci
ottobrine romanze. Stai con me.
Sarà bello abbracciarsi; sarà di nuovo bello
confondersi coi lampi di una fine,
come lo era,
coi fremiti nascenti delle fronde.


PICCIONI

Bianchi, bigi, rossi, sopra il tetto
si assiepano, la testa fra le piume,
a tu per tu col vento. Sono liberi.
Appena il sole sbuca da levante
scuotono il manto e volano decisi
sui campi a becchicchiare qualche seme.
Svolano sulle foglie delle viti,
sugli stecchi crocifissi delle piante,
su tutto ciò che è avanzo dell’autunno.      
Hanno solo l’istinto. Il loro volo
rompe i raggi lucenti e stampa in basso
ombre vaganti; e con i suoi schiocchi 
batte dell’ali il tempo della vita.
Se getti le granaglie sul cortile
accorrono in picchiata; e via nell’aria
o sul suolo a tubare calorosi
in cerca dell’amore. Libertà,
spazi aperti, profumo di granturco,
rapina di micragne; anche la pioggia
per loro è acquasanta; li battezza,
scivolando sul dosso come l’aria.
Sono lì, li vedi di pedina,
vivi, trepidanti, nell’attesa
di nuove corse da donare al cielo.

E poi la morte. Dove andranno a morire
quando la sorte tocca?
Non ce n’è traccia. Sarà forse il destino
a riservare loro un angolino?


Il FALCIONE

Nel mezzo ai tanti attrezzi è lì un po’ triste
il falcione che più profuma d’erba;
ha perso la sua foga fra le miste
ferraglie di cantina; anche se acerba

la verzura del campo nelle mani
callose di mio padre si accendeva
dei riflessi del sole, ed i suoi suoni
sembravano dei canti a primavera.

Ora è lì, senza voce: una bestia ferita,
accanto ad una cesta e ad un barile.
Nemmeno ti risponde se lo chiami.

La lama arrugginita pare cinta
da un’aria d’abbandono. Nel cortile
l’ho portato, all’aperto, fra i richiami

di paperi e galline. Riluceva;
mi sembrava felice; era una spera.


NATURALE È LA VALLE

Naturale è la valle e la scogliera
in questo luogo sperso tra i roveti:
segreti riaffiorano dall’anima,
sana è la vista e tanto largo il mare.
Non appare che l’onda e l’orizzonte
da questo monte sopra la città;
la verità è al di là di quei confini,
oltre il getto del faro,
il caro faro che tanto ci dice
dell’umile portata degli umani.
Vani gli azzardi per capirne il senso
condannati alla terra e ai suoi miraggi;
che i raggi siano giusti a completare
la voglia degli spazi oltre quel mare.


LA PIENA DEL SERCHIO

Piove a dirotto stamani, ed il Serchio
gonfia il suo letto; è già nelle golene,
tra gli alberi che invocano l’aiuto
frusciando melanconici richiami
col loro ciuffo sopra la corrente;
niente risparmia l’acqua inferocita,
tutto porta con sé, alla deriva.
Qui dall’argine l’occhio si spaventa
a mirare la potenza che sprigiona:
le barche sradicate dai pontili
corrono in grembo al grosso defluire,
e ciottoli, tronchi, tavole, e ferraglie
si rincorrono in gara verso il mare.
Mi sposto, e vado svelto a miscelarmi
alla furia spaventosa della foce.
Tira Tramontana, se Dio vuole,
fosse Libeccio chissà che inondazione.
Qui le melme del fiume si accavallano
con l’onde spaventate
che sembrano opporsi a tanta furia.
Odori di salmastro e d’acqua smossa,
di erbe trascinate contro voglia,
mi invadono narici. E mi confondo
con tutto quel fracasso naturale:
divento un ramoscello in mezzo al mare.


LA SOLITUDINE DEL MARE

Sono solo e l’inverno mi percuote
coi suoi venti freddi e burrascosi.
Innalzo le onde fino al sommo cielo
e le porto alla strada per sbirciare
gli addobbi di Natale. Ogni tanto
mi vengono a trovare dei ragazzi
innamorati: seduti sul pattìno,
allungano lo sguardo, incatenati,
tra un bacio e l’altro, fino all’orizzonte.
Mi fanno compagnia. La solitudine
mi fa pensare al mondo, al mio vagare,
mi fa pensare ai giorni dell’estate,
ai tanti corpi immersi dentro me,
alle grazie di giovani fanciulle
che mi lisciavano il corpo. Ora ricordo;     
vivo nel rievocare quei momenti,
mi sento triste se mi torna in mente
il pianto di una madre e il suo inveire
contro la risacca, e la corrente,
che portarono via un figlio in fiore,
sperso nei miei fondali. Ma a pensarci   
sono tanti i mortali sprofondati
nelle mie cavità. Ora son solo;
alzo le braccia al cielo e mi imburrasco
per la forza di un vento che d’inverno
mi assale con frustate. Se m’incontri
di questi tempi ombrosi e nuvolosi,
quando il respiro mio si fa più denso,
mi vedi in piena angoscia. Tiro fuori
tronchi, detriti, ciocchi e tavoloni,
spurgo ogni cosa che mi porta il fiume
e riempio la spiaggia di vestigia;
si fanno le mie acque intorbidite;
trovo la pace solo se la luna
frantuma le sue chiome in tante scaglie.   
Allora mi riposo. Puoi vedermi
quando arancio le guance e tingo il cielo
degli amplessi fecondi che dal dentro
fuoriescono per visualizzare
l’inquieto stare chiuso dagli scogli
senza poter sfuggire oltre le sponde.
Senza poter capire, e mi tormento,
quello che fuori esiste; e che mi è ignoto.











6 commenti:

  1. Ho letto "I dintorni dell'Amore" del nostro meraviglioso Nazario e mi scuso con lui e con gli ospiti di Leucade per la lettura partecipata, ma non degna di un critico. Purtroppo svolgo attività di operatrice culturale, ma ho conosciuto i veri critici e sono in grado di effettuare un distinguo. Ciò non toglie che leggendo questa mini - Silloge di sei liriche, nella quale la Natura domina sovrana e, con le sue creature poetiche, illustra un universo fermo, fantastico, che si srotola impassibile di fronte alla luce dell'eternità, ho avvertito il bisogno di dire la mia gratitudine. La vita è così dannatamente fragile fino a quando si inciampa nell'arte:
    ".... Stai con me.
    Sarà bello abbracciarsi; sarà di nuovo bello
    confondersi coi lampi di una fine,
    come lo era,
    coi fremiti nascenti delle fronde."
    Il titolo "L'ultimo autunno" non mi lascia pensare al nichilismo, il Poeta è in perenne ascolto del mare, dell'elemento che gli è più caro, e promette all'amore della vita di ripetere il Sogno vissuto in gioventù. L'attesa è libertà di correre con l'immaginazione, odora di iodio e di salmastro; profuma di tutto ciò che è specchio di infinito. E i versi delle altre poesie rendono bene l'idea di quanto per questo Poeta "i ricordi sono l'unica strada che porta verso casa" - T.T. Williams.Ma nei versi in oggetto Nazario attua una forma di animismo, in quanto il territorio della memoria s'identifica con 'il falcione', con 'la valle', con 'i piccioni' e naturalmente con 'il mare. Diviene magicamente creatura poetica e 'umana' anche un oggetto usato nei campi. Quale sinfonia! Quale capacità di andare oltre l'ovvio, di divenire altro rispetto al consueto. Mentre lo leggevo per la seconda volta e continuavo a stupirmi, immagazzinavo ogni verso come grano per un futuro inverno. Ho avvertito la sua fanciullezza, che conosco e che ritengo solida come una quercia e la sua Grandezza, che conosco e che attinge dal metro classico nulla concedendo al desueto, brillando di modernità... Ho spesso pensato all'Amore come a un possesso, l'Amico Poeta mi insegna che è la cessione di se stesso agli altri. Non finirò mai di ringraziarlo. Lo abbraccio con tutto il mio ammirato affetto.

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  2. Errata corrige: "I dintorni della solitudine". Nazario scrive di tanti 'dintorni' e io sono un pò stonata dal caldo.... Chiedo venia

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  3. Come dice Maria, domina in questi versi la natura che amplifica l'eco dei ricordi: Tiro fuori
    tronchi, detriti, ciocchi e tavoloni,
    spurgo ogni cosa che mi porta il fiume
    e riempio la spiaggia di vestigia;....Grande è la lezione del Poeta che trova Pace riflettendo su ciò che è stato, perchè la Poesia come la Storia, è memoria e testimonianza

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  4. RICEVO E PUBBLICO

    E mio Nazario caro, l'onda
    dei tuoi ricordi viaggia insieme all'acqua
    o del Serchio o del mare.
    Detriti tu battezzi le memorie
    che affiorano così quando si smuove
    un poco della sabbia del fondale,
    minuscoli brandelli di una vita
    che il tempo ha incapsulato dentro un'alga
    o nelle iridescenze di conchiglie.
    Diversi però furono quei giorni
    che tu tanto rimpiangi, nella sera
    acquistano l'odore del trifoglio
    tagliato appena adesso dal falcione
    e vengon colorati dalle nuvole
    che il rosso del tramonto ora perfora.
    Diversi, ma ci fanno nostalgia
    per quello che del tempo ormai passato
    noi non sapemmo cogliere lasciando
    a quel futuro incerto la missione
    di farne un fascio per il dopo, il dopo
    che ci trovò impreparati e mutili
    a svolgere quel compito d'esame.
    Però t'ammiro, sai trarre le tue note
    da un vecchio carillon arrugginito
    sepolto nella sabbia o nelle gore
    di un'acqua che infida scorre al mare
    per trascinarci alfine in quel fondale
    che ci sotterrerà a poco a poco
    senza che gli altri ne abbiano ricordo.

    Carla Baroni

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  5. Ach'io ho letto "I dintorni della solitudine" del prof. Pardini ove mi sono ritrovato in quel senso di rivisitazione dei ricorsi e in essi mi sono poeticamente perso (in senso positivo) per la caratura poetica, per la freschezza del linguaggio volutamente impregnato di quella semplicità giovanile disarmante che pone il lettore a chiedersi come mai tanta umiltà spontanea di linguaggio, specie se è consapevole della cultura oceanica dell'autore? Darsi una risposta è un azzardo che può portare a sentieri opposti alla meta di un perchè vero. Una cosa però è certa: che la Sua è vera poesia ove ogniuno/tutti possono entrare, (quella freschezza di linguaggio diviene una porta aperta a tutti)per rivisitarsi nei propri ricordi. Il bello della poesia è certamente anche: dare a tutti il proprio sentire poetico per ampliare a dismisura la platea di lettori al fine di gradificarli nella lettura poicè a eco gradifica anche l'autore. Resto sempre dell'avviso che l'emblema dell'essenza poetica,e che la racchiude nella sua globalità, nei suoi ultimi lavori, è quel capolavoro: La piena del secchio. Pasqualino Cinnirella

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    1. Scusate l'errore di battuta: La piena del Serchio nell'ultimo rigo. Pasqualino C.

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