Rossella
Cerniglia. Ipostasi di buio. Guido
Miano Editore. Mi. 2020
Un
viaggio nella notte guidato da uno spiraglio di luce quello di Rossella
Cerniglia
“Sentivo
dentro/il deserto/prosciugarmi il corpo/e la mia mente era una polla/d’acqua/limpida
e amara/una nera sorgente/che m’imbrigliava/con il suo sgomento//e traversavo
instancabile/i valichi e le pietraie del nero nulla/sgorgato dalla fonte”
(Deserto).
Deserto, acqua amara, sorgente nera, sgomento,
pietraie del nero nulla. Tante configurazioni naturali, tante oggettivazioni
psicologiche che fanno da prodromico avvio alla lettura di una silloge complessa,
articolata, dove il verbo, con le sue
estensioni lessicali, si tramuta in contenitore visivo di un animo in subbuglio
verso una ricerca di arduo travaglio esistenziale. E’ il cammino interiore di
una poetessa che cerca di sottrarre al buio degli inferi la luce di Eros.
Questa è la poesia di Rossella Cerniglia,
un antitetico conflitto, una ontologica diaspora tra l’ombra della vicenda
umana e la luce di un’isola che si sottrae all’ancoraggio di una barca in balia
delle onde.
Iniziare
da questi versi significa intraprendere il viaggio che Rossella Cerniglia affronta
con la speranza di attraccare ad un porto di luce e di orizzonti umanamente
vasti. La poetessa subisce, durante il percorso, contaminazioni di filosofie e letterature di grande valenza
storica: dal Medioevo, al Romanticismo, ai nicciani input di negativo sfondo epigrammatico,
ma il suo pensiero resta ancorato ad una
navigazione difficile e ostile; l’isola che vorrebbe intravedere per dare luce
ad un mondo invischiato nei disvalori, sembra allontanarsi sempre più. L’uomo
non ne è degno. Non è neppure all’altezza di affrontare problemi escatologici
di difficile soluzione. Sì, tante le questioni che si pone; e pensare che una
tale umanità possa in qualche maniera aiutarla
a venirne a capo, è cosa impossibile. Tutto affoga nel buio, nella notte più
nera, in un mondo senza vita, senza speranza, senza quelle dolci illusioni che
in altri tempi hanno salvato spiriti foscoliani affidati alle grandi vicende della
storia. Un’analisi della società moderna
di forte visione negativa, dove l’uomo, attratto da risvolti di natura materialista, non riesce ad affacciarsi alla
società con voce vera, convincente, pura. Riprendendo la metafora del viaggio,
si vede davanti a lui un grande mare, una grande estensione di orizzonti, e in
fondo l’isola della luce a lui negata. Sì, negata dacché c’è qualcosa che lo
tira addietro, che gli impedisce di navigare, di proseguire nonostante l’impeto
dei marosi. Quello che ha caratterizzato l’uomo del passato è stato il
coraggio, lo spirito rinascimentale che l’ha portato alla filosofia dell’homo
faber. Ora nemmeno quello spirito lo distingue, e per gli egoismi che invadono
il suo animo, preferisce stare in disparte, disattivo, per non compromettere le sue magre conquiste.
E di fronte alla tempesta, all’urto della barca con gli scogli, si arrende e preferisce rimanere vilmente su una altura nell’attesa che un qualche diavolo
passi da là a ripescarlo. Non ci pensa nemmeno ad affidarsi ad un asse scampato
per tentare di andare avanti, verso il
porto che riporterebbe la luce di cui il mondo ha estremo bisogno. Tutto viene
avvolto dalla tenebra, dacché l’uomo ha atteso, e dopo il giorno si è fatta avanti
la notte che ha oscurato l’orizzonte.
Persino l’amore non cova più nella intimità; si pensa solo a salvare il proprio
orticello, il proprio egoismo, finché verrà
l’alta marea a coprire coi suoi flutti quell’essere rimasto solo sullo
scoglio attorniato da un mare che lo divide dall’isola lontana. Questo chiede
la poetessa: “Potesse andare libero/nel mondo/con le sue ali d’aria/e bussare
alla porta/del tuo cuore insonne/questo pensiero/del mio corpo notturno/prigioniero
del nero/dei tanti giorni infausti/che a dismisura crescono/di qua dal mio
orizzonte.//Potesse ritrovare un cammino/sicuro, una vela drizzata sul tuo mare/una
sponda per l’abbraccio d’un cielo/sepolto nell’abisso dei tuoi occhi.//E questo
desiderio fosse/il vento maestro che mi guidi” (Potesse andare libero). Vorrebbe
che il suo pensiero potesse ritrovare una sponda per attraccare all’isola della
luce; all’abbraccio dell’amore, dacché è
proprio l’amore che potrebbe salvare l’uomo dalla sua aridità: “…e il respiro
del tempo/una soglia spalanca/nel suo Nulla più nero” (Silenti trombe).
Nazario
Pardini
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