Anna Vincitorio,
collaboratrice di Lèucade
NAZIM HIKMET – Poesie d’amore
“Pioggia d’estate cade dentro di me…
piccioni
d’argento volano dai miei tetti
la mia
terra corre coi piedi nudi
pioggia
d’estate dentro di me
senza
rinfrescare la mia tristezza…”
L’amore
in questo poeta è il percorso del suo vivere. Canta non solo amore, ma
battaglie, soprusi, lontananza, esilio, rifugio. In lui all’estrema dolcezza
orientale si fondono ritmi crudi legati all’occidente. I lunghi anni in carcere
a Bursa (Anatolia) e la libertà passata da esule prevalentemente in Russia,
creano una visione di assenza e nostalgia forti. Saggiare la dimensione del
silenzio; assaporarne il fascino. Un silenzio non delimitato dai muri di una
casa o di una cella ma puro e filtrato che rende consapevoli anche se non
credenti dell’esistenza di qualcosa o qualcuno sopra di noi: un Dio Ittita,
Assiro, Mussulmano o il Dio della Bibbia. Il poeta è un viandante e il suo
cammino è lento perché volto alla ricerca di qualcosa d’indefinito. Nel suo
esilio, vivo costantemente il ricordo delle acque cangianti del Bosforo, le
distese di campi arati nel solo che muore, donne vestite di colori vivaci che
lavorano questa terra immensa, la calura estiva e i gelidi inverni. Flauti in
lontananza, tempi d’amore e di guerra.
Ci
possiamo chiedere quando e perché è sorta in Nazim Hikmet la
necessità
di scrivere poesia.
In
una lettera del 20 dicembre 1961 da Stoccolma all’amica Joyce Lussu
sua
traduttrice: “Mi domandi perché scrivo delle poesie? Sarebbe più giusta la
domanda in altro modo. Perché e come ho cominciato a scrivere delle poesie.
Cerco di ricordare”.
L’infanzia
a Istambul e per lui l’importanza di essere il nipote di un nonno poeta che
apparteneva alla setta dei Mevlevé, dervisci vagabondi. Il loro nome derivava
dal poeta Mevlana. Sicuramente in lui la poesia era nata come tradizione. Una
casa colta, e nelle orecchie la voce della madre che recitava Baudelaire e
Lamartine in francese; parole o, meglio, suoni nello scorrere del tempo che si
addensavano in lui e che poi avrebbero assunto una forma propria.
L’ascolto
è importante perché si assimilano le emozioni costruendo
fantasie
che avrebbero poi assunto forma lirica. In casa venivano anche lette le poesie
di un grande poeta turco: YaYa Kemal. Le sere si animavano di parole. Questo
poeta forse innamorato della madre di Nazim, era anche suo professore
all’Accademia navale. Crescere in un clima permeato di versi apriva una strada
seducente tra fantasia e realtà. La prima poesia fu pubblicata a 17 anni;
corretta da Yaya Kemal. Si presentava così:
“Ho sentito
un lamento sotto i cipressi
mi
sono chiesto, c’è qualcuno che piange qui?
o è il
vento che si ricorda di un amore passato
in
questo luogo solitario?”
La
musicalità di questi versi porta il pensiero a Lamartine. Le letture della madre
nelle lunghe sere invernali, avevano lasciato un’impronta nella sensibilità
poetica
di Hikmet.
“Ma
perché riandare verso queste scene lontane?
Lasciamo
che il vento gema e che l’onda sussurri!
Tornate,
tornate, miei tristi pensieri.
Voglio
sognare, non voglio piangere![1]”
Lettere
dal carcere a Munevvér
Lunghi,
lunghissimi anni e la parola e l’immaginazione che riempiono i giorni e le
fantasie. Il più bello è il non ancora vissuto. Il pensare che anticipa le
parole si addensa nel desiderio: “E quello/ che vorrei dirti di più bello/ non
te l’ho ancora detto”. Amore che prevarica la fisicità; è avventura, audacia,
lontananza: “amo in te l’impossibile ma non la disperazione”. Potrebbe
definirsi un amore che dal rinserro di una prigione si libra alto e vede il
cielo, l’erba, l’insetto, e le cicogne che volano. Amore, inteso come libertà;
quella libertà da lui voluta e per la quale ha lottato. Il biondo poeta dagli
occhi di cielo è uomo tra gli uomini. Non vi è alcuna scissione tra la passione
per la sua donna e l’essere umano che lotta e la lotta è sembiante d’amore. Si
dipanano lenti gli anni dal 1938 al 1950 e lui che immagina la sua donna
nell’attesa: luce di speranza per i suoi giorni bui. Donna, la sua donna, ma lo
è anche Istambul: “la voluttà della mia città nel tuo sguardo…”; moglie vista
come sua sultana, signora; un bacio sulla sua guancia, un suo respiro è come
respirare, baciare Istambul. Fisicità e corposità della città agognata come
donna. Il poeta vorrebbe addormentarsi e svegliarsi tra cento anni. È triste ma
anche bello vivere in un secolo “coraggioso grande ed eroico”. E non importa
che “la sua terribile notte” sia “lacerata dai gridi dell’alba” perché il suo
secolo, il ‘900 splenderà di sole come gli occhi della sua donna. Donna che gli
appare come luna tra nuvole mentre il vento “non agita/ due volte lo stesso
ramo”. È tutto lontano ma “il banchetto della miseria finirà”.
L’importanza
per Nazim Hikmet delle parole impregnate della presenza
della
moglie: madre, amore, amica; parole coraggiose, parole paragonate agli uomini.
Per lui la donna amata ha gli occhi come le spighe di Antalya di maggio; occhi
nudi e immensi “come gli occhi di un bimbo”; occhi del colore d’autunno come i
castagneti di Bursa; ma quello che è più importante: vedere in un futuro gli
uomini guardarsi fraternamente con gli occhi dai lampi verdi di Munnevér: “I
tuoi occhi, i tuoi occhi, i tuoi occhi/ che tu vengo all’ospedale o in
prigione/ nei tuoi occhi porti sempre il sole”.
Nel
1950 Nazim Hikmet viene rimesso in libertà dopo tredici lunghi anni.
Inizia
per lui una dimensione diversa di vita. È libertà ma lontano da Istambul.
In
esilio
“Ed
ecco ce ne andiamo come siamo venuti.
Arrivederci
fratello mare
mi
porto un po’ della tua ghiaia
un po’
del tuo sale azzurro
un po’
della tua infinità
e un
pochino della tua luce
e
della tua infelicità” (Varna 1951)
Per
lui una erranza dove è quasi sempre impossibile dormire: sono troppo
le
stelle in cielo “troppo lucide, troppo vicine…/ per via dei fantasmi/ venuti da
Istambul/ sorti dal Bosforo/ che invadono la stanza…”. “Una barca passa davanti
a Varna/ ohilà, figli d’argento del Mar Nero!/ una barca scivola verso il
Bosforo./ Nazim dolcemente carezza la barca/ e si brucia le mani”.
Le
strade che percorre sono lunghe come il vento, e gli odori, i paesaggi non
alleviano la sua tristezza. Giunge a Sophia, città natale di Munnevér; era un
giorno di primavera e profumo di tigli. Ma lei non è accanto a lui e lui
ricorda a Istambul a Scehsadebasci, la sera e le strade dove sciamanno donne,
vecchi, giovani, bambini a braccetto. Ma sono tempi andati, fughe di anni. Lui,
un giorno di primavera è entrato nella città natale della sua donna ma anche là
non può scordare la sua casa perduta. “È un duro mestiere, l’esilio, un duro
mestiere…”. Sarà Mosca la sua dimora e in lui “il tempo rimane/ come una rosa
rossa odorosa/ che oggi sia venerdì domani sabato/ che il più di me sia passato
che resti il meno/ non importa”. La tristezza grava sulle sue spalle: “è una
camicia di tela da vela/ lavata dall’acqua di mare…”. Le notti sono diventate
lunghe e senza stelle; non vede fine alla infinita separazione da un tempo che
fu. “Nell’aria una melodia orientale come le acque del Bosforo./ Sono sulla
collina/ e il mio cuore come una zattera/ si allontana…/ va oltre i ricordi/ fino
al mare pesante senza stelle/ nelle tenebre fitte”. Alla speranza si alternano
speranza, malinconia, nostalgia. Il suo cuore è sempre più debole per i passati
infarti ma ricolmo di amore per la sua donna – Istambul. Niente più della
lontananza accresce l’amore che diventa arsura incontrollabile. Lui è solo. Con
lui la carta e la macchina da scrivere; nei suoi occhi, il sangue sui
marciapiedi delle città dove lui è passato e le sue mani lasciano tracce di
sangue sui muri… Invoca ormai la morte. La nostalgia è sua compagna, ombra a
lui accanto nel buio. Sia che lui viaggi o che si fermi, nulla gli resta se non
il rimpianto di bianche di neve. A Mosca sotto la pioggia ha veduto camminare
la primavera “con i suoi piedi esili e lunghi…”. Il suo elettrocardiogramma
pessimo. Il 3 giugno del 1963 verso le nove del mattino Nazim Hikmet muore
solo. Lo trovano accasciato accanto alla porta che era socchiusa…
“Il
mio funerale partirà dal nostro cortile?…
Il
cortile sarà forse pieno di sole, di piccioni…
i
bambini giocheranno strillando
forse
sull’asfalto bagnato cadrà la pioggia…”
(Il
mio funerale – maggio 1963)
La
tua poesia Hikmet è solo amore, sublimata nella bruma di Istambul.
Mi
rivedo, in un tempo lontano, al crepuscolo su un battello che scivolava sul Bosforo.
Dietro di me le isole dei Principi luccicavano in penombra. L’umanità tua e del
tuo polo è viva e calda come il grano. – Allah Korusun (proteggici) forse, ti
porterà lontano agli scalini del cielo.
Ho i
visto i poveri comprare il mangime per nutrire i colombi. Sono stata
ringraziata per un sorriso.
Anna Vincitorio
Firenze, 22 settembre 2020
BREVE
NOTA BIOBIBLIOGRAFICA DI NAZIM HIKMET
Nasce
a Salonicco nel 1902. Negli anni ‘20 visse in Russia aderendo alle avanguardie
e in particolare a Majakovskij. Nel 1938 viene condannato a una lunga
detenzione perché si opponeva ad Ataturk. Ottiene la libertà nel 1950. Si
stabilisce a Mosca dove muore il 3 giugno del 1983 al n°6 della via Pesciànaya.
Nome
del figlio: Mehmet; della moglie Munevvér. Personalità poliedrica:
poeta,
autore di teatro, romanziere, saggista, giornalista.
Il suo
testo da me esaminato:
Poesie
d’Amore – Mondadori Editore gennaio 1999.
Parti
del testo: Rubaì – Istambul 1933
Lettere
dal carcere a Munevvér
Fuori
dal carcere
In
esilio
Uno
strano viaggio
Autobiografia
1962
Poemetti
Rubayat
Don
Chisciotte
Alla
vita
Poesie
sulla morte
grazie ad Anna Vincitorio che ha pubblicato e commentato questo autore che amo molto. Nello specifico ho rivissuto i mei viaggi a Istanbul, attraversare il Bosforo è un'esperienza illuminante, per gli occhi, l'anima e la mente. Si ha nostalgia anche se ci passi pochi giorni all'anno, figuriamoci il dolore del poeta costretto all'esilio. In Turchia tuttora leggono più Kemal che Hikmet, comunque ci sono molti poeti validi contemporanei e tanti lettori di poesia.
RispondiEliminaLa studiosa percorre con agilità ma anche con tanto pathos la vita e la poesia del poeta turco evidenziandone gli aspetti salienti tra vita privata e impegno letterario, tra dolore e speranza , tra realtà e sogno nonché evidenziando la grande capacità di concepire la dolcezza e l'umile paziente accettazione della vita che sola gli ha permesso di assaporare l'amore per la sua donna e per la sua città, entrambe nutrici dell'anima e ispiratrici di Poesia. Complimenti ad Anna Vincitorio
RispondiEliminaMi scuso di non aver aggiunto il mio nome al brevissimo commento di sopra. Saluti Adriana Pedicini
RispondiEliminaLa vicenda letteraria ed umana di Nazim Hikmet è tratteggiata con grande maestria e partecipazione emotiva da Anna Vincitorio in questa superba nota critica. Amore e Guerra, Eros e Thanatos, i principi che muovono il mondo e che sono il motore della poetica di questo rivoluzionario autore, vengono analizzati e rivissuti poeticamente dalla nota studiosa, facendone intravvedere l'indissolubile legame. E' il fascinoso abbraccio del Bene e del Male: l'amore come avventura e audacia; la lotta come "sembiante d'amore", per usare le parole illuminate della Vincitorio. Complimenti vivissimi.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Il concetto del dolore, dell’innamoramento, senza pause fuorvianti nell’opera di Nâzım Hikmet Ran, trapela con lucidità e inquietudine nell’articolato iter storico ed ermeneutico offerto da Anna Vincitorio. Il contrasto tra una natura solidale e il proprio affanno, il finito delle cose a fronte dell’input perenne del sentimento, straziante nei versi originari oggetto del commento, diviene particolarmente struggente tra le righe dell’analisi della nostra Anna, la cui esegesi, tra l’altro, mette in rilievo la peculiarità tecnico-stilistica dell’illustre poeta turco rispetto alla precedente tradizione neo-persiana.
RispondiEliminaLa Vincitorio esordisce, infatti, affermando come «l’amore in questo poeta è il percorso del suo vivere», allo scopo di rendere palese la rottura del legame con gli intralci della retorica antica in un’epoca in cui il vasto mondo dove agiva l’influenza persiana non aveva ancora smesso di gloriarsi di un nazionalismo denso di sermoni e norme, ottenendo in risposta analogie ripetute, iperboli esagerate, traslate, magari astruse.
Tutto ciò risulta remoto da Hikmet. Il fascino del dettaglio, del minuscolo e dell’illimitato (suggerirebbe Walter Benjamin), lo sguardo penetrante, affettuoso, in grado di scalfire l’aura significativa evocata, riconduce con il ritmo armonico dei versi - fedele alle letture materne di Alphonse de Lamartine - alla patria distante, dopo il lavoro e il disagio quotidiano, finalmente interrotti dal riposo, dal rifugio serale. All’imbrunire di un giorno tra i tanti, in un alloggio, con una compagna differente: eppure i suoi versi sono capaci di trasmettere costante fiducia, in un’elegante trama d’immagini all’altezza di restare al di fuori della sconfitta estrema che commuove e disorienta, pur varcando con singolare dolcezza il profondo del cuore, dell’anima dei lettori.
Il dolore comunicato appare ogni volta sincero, infaticabile nell’esprimersi. Anna Vincitorio osserva: «Non vi è alcuna scissione tra la passione per la sua donna e l’essere umano che lotta e la lotta è sembiante d’amore». L’angoscia, le tragiche delusioni di Nâzım Hikmet sono energiche, proficue, acquistano caratteri di estetica e bellezza, conciliando le discordie della coscienza.
Così il poeta muore all’improvviso, solo, mentre è in procinto di uscire da un appartamento di Mosca, in una lontana, vicina mattina del 1963. Pietra miliare universalmente riconosciuta del Novecento, ha saputo catturare il Kunstwollen (“volere artistico”) del suo pubblico moderno e contemporaneo dinanzi a prove severe dell’esistere, nella sofferenza, nel coraggio, sulla scia di una ricercata, ineffabile tenerezza, ma facendosi anche carne viva e sensibile, attirando il coinvolgimento del destinatario del messaggio nello spazio-tempo delle bellezze presenti e possibili.
Sono d’accordo con la Vincitorio: per lui e per noi emerge una «dimensione diversa di vita», inoltre di «libertà», all’interno dei sentimenti, dei pensieri, nel tumulto del reale, o meglio, nel desiderio di essa, carico di una forza indomabile insieme a grande tristezza filosofica, a uno stato solitario e contemplativo, memore di popoli passati, vittime di tremende censure e illusioni respinte. Sempre attive, però, e più raffinate nel loro proporsi.
In un brano del 1962 leggiamo: «Quel che si attende verrà in un’ora inattesa / verrà solo tutto solo / senza condurre con sé / coloro che già partirono».
Grazie ad Anna Vincitorio per il suo omaggio.
Una recensione, questa di Anna Vincitorio, che va ben oltre l’analisi critica dei testi, ma entra nella profondità dell’esperienza umana ed esistenziale del grande poeta Nâzım Hikmet, talvolta definito un “comunista romantico”, a cui io preferisco il termine “rivoluzionario romantico”. Al di là dell’adesione politica, il suo sentire interiore, più che al materialismo storico è volto a una visione romantica della vita che lo ha portato ad opporsi a regimi, pagando con il carcere duro in Turchia la sua passione civile e libertaria.
RispondiEliminaFa benissimo Anna a ripercorrere i suoi testi attraverso la sua esperienza di vita. Questo è l’approccio giusto per capire la poesia, che anch’io condivido e applico nelle mie biografie di artisti moderni. Non si può prescindere nelle analisi delle opere, siano esse espressive o figurative, dal fatto che dietro di esse c’è l’uomo con le sue esperienze, le sue passioni, i suoi valori interiori testimoniati dal percorso dell’esistenza, soprattutto quando ci si muove in contesti e fasi storiche, particolarmente turbolente e devastanti.
E così Ana ci fa comprendere appieno la sostanza delle sue liriche, delle sue lettere dal carcere, dall’esilio, la sua capacità unica e universale di cantare l’amore, in tutte le sue forme e accezioni, fisiche, mentali e soprattutto passionali. Si, perché l’elemento passionale contraddistingue sempre le sue poesie, una passione verso, il figlio Mehmet, la moglie Münevver, la natura, l’intera umanità e in sostanza la vita, che per lui fu breve, ma ricchissima di intensità.
RispondiEliminaRICEVO E PUBBLICO
Invio i miei ringraziamenti a Claudia Piccinno e Adriana Pedicini per l'attenzione dedicata al mio scritto.
Ho apprezzato il commento dell'amico Franco Campegiani che ha evidenziato i concetti di – Amore e Guerra-, principi che muovono il mondo sotto il profilo filosofico che gli è congeniale.
Inoltre, sono rimasta colpita e grata dall'analisi accurata di Cinzia Baldazzi che, con profondità ed entusiasmo, ha ampliato in me la conoscenza di Nazim Hikmet.
Anna Vincitorio
RICEVON E PUBBLICO
RispondiEliminaPer Franco Donatini.
Grazie Franco Donatini. Il tuo intervento puntuale e profondo su Nazim Ikmet mi ha colpito.
Mi piace la definizione che tu dai del poeta: “rivoluzionario romantico” che coinvolge ogni essere umano sensibile al richiamo della libertà in un contesto storico “turbolento e devastante”.
Desidero esternare la mia gratitudine al caro amico Nazario che mi ha permesso, come collaboratrice di Leucade, di avvicinare persone culturalmente e umanamente interessanti.
Anna Vincitorio
Mi congratulo con l'autrice, che ha sintetizzato egregiamente la vicenda umana del grande poeta turco e ha colto, pur nei limiti imposti da un saggio breve, l'essenza della sua poesia, proponendone i versi più significativi. Versi lirici, d'amore (i più noti, soprattutto fra i giovani), ma anche quelli derivanti dalle vicissitudini che colpirono Hikmet, l'esilio in primis, che lo accomuna a molti poeti. I suoi ideali, l'amore nella sua accezione più ampia, il sogno di libertà, persino l'accettazione della morte, sono diventati espressioni poetiche di vita vissuta che assumono un valore universale. La poesia, per Hikmet, doveva avere uno scopo, doveva essere utile a un popolo, a un singolo uomo, all'intera umanità. Diffonderla, quindi, come ha fatto la prof.ssa Vincitorio, è opera meritoria.
RispondiEliminaFranca Olivo Fusco
La nota critica della Vincitorio è realmente encomiabile in quanto rende merito attraverso un'analisi attenta e approfondita,ad un poeta che,bisogna dire, in Italia, è stato poco attenzionato dalla critica ma,per fortuna, ha invece avuto molta più attenzione da parte del pubblico che lo ha scoperto, letto ed amato. Se non fosse stato per Gioconda "Joyce" Lussu e Velso Mucci conosceremmo poco e niente della sua opera.
RispondiEliminaLa fluidità del suo verso e la nobiltà d'animo che trasuda in ogni parola, sempre in profondo equilibrio, non lasciano indifferenti.
L'obiettivo della poesia di Hikmet è strettamente legato al suo desiderio di condivisione di pensiero intimo che lui proietta nell' universale, ogni parola è personale ma si trasfigura e diventa parte comune dell' animo di chi legge i suoi versi.
Hikmet è un poeta che personalmente amo molto,
in altri Paesi Europei come Francia, Germania, e Russia Hikmet, con la sua Istanbul nel cuore,ha avuto l'attenzione che meritava, mentre la critica italiana gli ha inspiegabilmente ed ingiustamente dato poca importanza. Benvengano quindi gli scritti come quelli della prof.ssa Vincitorio.
Laura Barone
RICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaLa nota critica della Vincitorio è realmente encomiabile in quanto rende merito attraverso un'analisi attenta e approfondita,ad un poeta che,bisogna dire, in Italia, è stato poco attenzionato dalla critica ma
che, per fortuna, ha avuto molta attenzione e considerazione da parte del pubblico che lo ha scoperto, letto ed amato. Se non fosse stato per Gioconda "Joyce" Lussu e Velso Mucci conosceremmo poco e niente della sua opera.
La fluidità del suo verso e la nobiltà d'animo che trasuda in ogni parola, sempre in profondo equilibrio, non lasciano indifferenti.
L'obiettivo della poesia di Hikmet è strettamente legato al suo desiderio di condivisione di pensiero intimo che lui proietta nell'universale, ogni parola è personale ma si trasfigura e diventa parte comune dell' animo di chi legge i suoi versi.
Hikmet è un poeta che personalmente amo molto,
in altri Paesi Europei come Francia, Germania, e Russia Hikmet, con la sua Istanbul nel cuore, ha avuto l'attenzione che meritava, mentre la critica italiana gli ha inspiegabilmente ed ingiustamente dato poca
importanza. Benvengano quindi gli scritti come quelli della prof.ssa Vincitorio.".
Laura Barone