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mercoledì 21 ottobre 2020

ANNA VINCITORIO: "NAZIM HIKMET - POESIE D'AMORE"


 

Anna Vincitorio,
collaboratrice di Lèucade







NAZIM HIKMET – Poesie d’amore


“Pioggia d’estate cade dentro di me…

piccioni d’argento volano dai miei tetti

la mia terra corre coi piedi nudi

pioggia d’estate dentro di me

senza rinfrescare la mia tristezza…”

 

 

L’amore in questo poeta è il percorso del suo vivere. Canta non solo amore, ma battaglie, soprusi, lontananza, esilio, rifugio. In lui all’estrema dolcezza orientale si fondono ritmi crudi legati all’occidente. I lunghi anni in carcere a Bursa (Anatolia) e la libertà passata da esule prevalentemente in Russia, creano una visione di assenza e nostalgia forti. Saggiare la dimensione del silenzio; assaporarne il fascino. Un silenzio non delimitato dai muri di una casa o di una cella ma puro e filtrato che rende consapevoli anche se non credenti dell’esistenza di qualcosa o qualcuno sopra di noi: un Dio Ittita, Assiro, Mussulmano o il Dio della Bibbia. Il poeta è un viandante e il suo cammino è lento perché volto alla ricerca di qualcosa d’indefinito. Nel suo esilio, vivo costantemente il ricordo delle acque cangianti del Bosforo, le distese di campi arati nel solo che muore, donne vestite di colori vivaci che lavorano questa terra immensa, la calura estiva e i gelidi inverni. Flauti in lontananza, tempi d’amore e di guerra.

Ci possiamo chiedere quando e perché è sorta in Nazim Hikmet la

necessità di scrivere poesia.

In una lettera del 20 dicembre 1961 da Stoccolma all’amica Joyce Lussu

sua traduttrice: “Mi domandi perché scrivo delle poesie? Sarebbe più giusta la domanda in altro modo. Perché e come ho cominciato a scrivere delle poesie. Cerco di ricordare”.

L’infanzia a Istambul e per lui l’importanza di essere il nipote di un nonno poeta che apparteneva alla setta dei Mevlevé, dervisci vagabondi. Il loro nome derivava dal poeta Mevlana. Sicuramente in lui la poesia era nata come tradizione. Una casa colta, e nelle orecchie la voce della madre che recitava Baudelaire e Lamartine in francese; parole o, meglio, suoni nello scorrere del tempo che si addensavano in lui e che poi avrebbero assunto una forma propria.

L’ascolto è importante perché si assimilano le emozioni costruendo

fantasie che avrebbero poi assunto forma lirica. In casa venivano anche lette le poesie di un grande poeta turco: YaYa Kemal. Le sere si animavano di parole. Questo poeta forse innamorato della madre di Nazim, era anche suo professore all’Accademia navale. Crescere in un clima permeato di versi apriva una strada seducente tra fantasia e realtà. La prima poesia fu pubblicata a 17 anni; corretta da Yaya Kemal. Si presentava così:

“Ho sentito un lamento sotto i cipressi

mi sono chiesto, c’è qualcuno che piange qui?

o è il vento che si ricorda di un amore passato

in questo luogo solitario?”

La musicalità di questi versi porta il pensiero a Lamartine. Le letture della madre nelle lunghe sere invernali, avevano lasciato un’impronta nella sensibilità

poetica di Hikmet.

“Ma perché riandare verso queste scene lontane?

Lasciamo che il vento gema e che l’onda sussurri!

Tornate, tornate, miei tristi pensieri.

Voglio sognare, non voglio piangere![1]

 

 

Lettere dal carcere a Munevvér

 

Lunghi, lunghissimi anni e la parola e l’immaginazione che riempiono i giorni e le fantasie. Il più bello è il non ancora vissuto. Il pensare che anticipa le parole si addensa nel desiderio: “E quello/ che vorrei dirti di più bello/ non te l’ho ancora detto”. Amore che prevarica la fisicità; è avventura, audacia, lontananza: “amo in te l’impossibile ma non la disperazione”. Potrebbe definirsi un amore che dal rinserro di una prigione si libra alto e vede il cielo, l’erba, l’insetto, e le cicogne che volano. Amore, inteso come libertà; quella libertà da lui voluta e per la quale ha lottato. Il biondo poeta dagli occhi di cielo è uomo tra gli uomini. Non vi è alcuna scissione tra la passione per la sua donna e l’essere umano che lotta e la lotta è sembiante d’amore. Si dipanano lenti gli anni dal 1938 al 1950 e lui che immagina la sua donna nell’attesa: luce di speranza per i suoi giorni bui. Donna, la sua donna, ma lo è anche Istambul: “la voluttà della mia città nel tuo sguardo…”; moglie vista come sua sultana, signora; un bacio sulla sua guancia, un suo respiro è come respirare, baciare Istambul. Fisicità e corposità della città agognata come donna. Il poeta vorrebbe addormentarsi e svegliarsi tra cento anni. È triste ma anche bello vivere in un secolo “coraggioso grande ed eroico”. E non importa che “la sua terribile notte” sia “lacerata dai gridi dell’alba” perché il suo secolo, il ‘900 splenderà di sole come gli occhi della sua donna. Donna che gli appare come luna tra nuvole mentre il vento “non agita/ due volte lo stesso ramo”. È tutto lontano ma “il banchetto della miseria finirà”.

L’importanza per Nazim Hikmet delle parole impregnate della presenza

della moglie: madre, amore, amica; parole coraggiose, parole paragonate agli uomini. Per lui la donna amata ha gli occhi come le spighe di Antalya di maggio; occhi nudi e immensi “come gli occhi di un bimbo”; occhi del colore d’autunno come i castagneti di Bursa; ma quello che è più importante: vedere in un futuro gli uomini guardarsi fraternamente con gli occhi dai lampi verdi di Munnevér: “I tuoi occhi, i tuoi occhi, i tuoi occhi/ che tu vengo all’ospedale o in prigione/ nei tuoi occhi porti sempre il sole”.

Nel 1950 Nazim Hikmet viene rimesso in libertà dopo tredici lunghi anni.

Inizia per lui una dimensione diversa di vita. È libertà ma lontano da Istambul.

  

In esilio

  

“Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti.

Arrivederci fratello mare

mi porto un po’ della tua ghiaia

un po’ del tuo sale azzurro

un po’ della tua infinità

e un pochino della tua luce

e della tua infelicità” (Varna 1951)

 

Per lui una erranza dove è quasi sempre impossibile dormire: sono troppo

le stelle in cielo “troppo lucide, troppo vicine…/ per via dei fantasmi/ venuti da Istambul/ sorti dal Bosforo/ che invadono la stanza…”. “Una barca passa davanti a Varna/ ohilà, figli d’argento del Mar Nero!/ una barca scivola verso il Bosforo./ Nazim dolcemente carezza la barca/ e si brucia le mani”.

Le strade che percorre sono lunghe come il vento, e gli odori, i paesaggi non alleviano la sua tristezza. Giunge a Sophia, città natale di Munnevér; era un giorno di primavera e profumo di tigli. Ma lei non è accanto a lui e lui ricorda a Istambul a Scehsadebasci, la sera e le strade dove sciamanno donne, vecchi, giovani, bambini a braccetto. Ma sono tempi andati, fughe di anni. Lui, un giorno di primavera è entrato nella città natale della sua donna ma anche là non può scordare la sua casa perduta. “È un duro mestiere, l’esilio, un duro mestiere…”. Sarà Mosca la sua dimora e in lui “il tempo rimane/ come una rosa rossa odorosa/ che oggi sia venerdì domani sabato/ che il più di me sia passato che resti il meno/ non importa”. La tristezza grava sulle sue spalle: “è una camicia di tela da vela/ lavata dall’acqua di mare…”. Le notti sono diventate lunghe e senza stelle; non vede fine alla infinita separazione da un tempo che fu. “Nell’aria una melodia orientale come le acque del Bosforo./ Sono sulla collina/ e il mio cuore come una zattera/ si allontana…/ va oltre i ricordi/ fino al mare pesante senza stelle/ nelle tenebre fitte”. Alla speranza si alternano speranza, malinconia, nostalgia. Il suo cuore è sempre più debole per i passati infarti ma ricolmo di amore per la sua donna – Istambul. Niente più della lontananza accresce l’amore che diventa arsura incontrollabile. Lui è solo. Con lui la carta e la macchina da scrivere; nei suoi occhi, il sangue sui marciapiedi delle città dove lui è passato e le sue mani lasciano tracce di sangue sui muri… Invoca ormai la morte. La nostalgia è sua compagna, ombra a lui accanto nel buio. Sia che lui viaggi o che si fermi, nulla gli resta se non il rimpianto di bianche di neve. A Mosca sotto la pioggia ha veduto camminare la primavera “con i suoi piedi esili e lunghi…”. Il suo elettrocardiogramma pessimo. Il 3 giugno del 1963 verso le nove del mattino Nazim Hikmet muore solo. Lo trovano accasciato accanto alla porta che era socchiusa…

“Il mio funerale partirà dal nostro cortile?…

Il cortile sarà forse pieno di sole, di piccioni…

i bambini giocheranno strillando

forse sull’asfalto bagnato cadrà la pioggia…”

(Il mio funerale – maggio 1963)

 

La tua poesia Hikmet è solo amore, sublimata nella bruma di Istambul.

Mi rivedo, in un tempo lontano, al crepuscolo su un battello che scivolava sul Bosforo. Dietro di me le isole dei Principi luccicavano in penombra. L’umanità tua e del tuo polo è viva e calda come il grano. – Allah Korusun (proteggici) forse, ti porterà lontano agli scalini del cielo.

Ho i visto i poveri comprare il mangime per nutrire i colombi. Sono stata ringraziata per un sorriso.

      

Anna Vincitorio

Firenze, 22 settembre 2020

BREVE NOTA BIOBIBLIOGRAFICA DI NAZIM HIKMET

 

 

Nasce a Salonicco nel 1902. Negli anni ‘20 visse in Russia aderendo alle avanguardie e in particolare a Majakovskij. Nel 1938 viene condannato a una lunga detenzione perché si opponeva ad Ataturk. Ottiene la libertà nel 1950. Si stabilisce a Mosca dove muore il 3 giugno del 1983 al n°6 della via Pesciànaya.

Nome del figlio: Mehmet; della moglie Munevvér. Personalità poliedrica:

poeta, autore di teatro, romanziere, saggista, giornalista.

 

Il suo testo da me esaminato:

 

Poesie d’Amore – Mondadori Editore gennaio 1999.

Parti del testo: Rubaì – Istambul 1933

Lettere dal carcere a Munevvér

Fuori dal carcere

In esilio

Uno strano viaggio

Autobiografia 1962

Poemetti

Rubayat

Don Chisciotte

Alla vita

Poesie sulla morte



[1]     Da Graziella di Lamartine[1]     Da Graziella di Lamartine

11 commenti:

  1. grazie ad Anna Vincitorio che ha pubblicato e commentato questo autore che amo molto. Nello specifico ho rivissuto i mei viaggi a Istanbul, attraversare il Bosforo è un'esperienza illuminante, per gli occhi, l'anima e la mente. Si ha nostalgia anche se ci passi pochi giorni all'anno, figuriamoci il dolore del poeta costretto all'esilio. In Turchia tuttora leggono più Kemal che Hikmet, comunque ci sono molti poeti validi contemporanei e tanti lettori di poesia.

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  2. La studiosa percorre con agilità ma anche con tanto pathos la vita e la poesia del poeta turco evidenziandone gli aspetti salienti tra vita privata e impegno letterario, tra dolore e speranza , tra realtà e sogno nonché evidenziando la grande capacità di concepire la dolcezza e l'umile paziente accettazione della vita che sola gli ha permesso di assaporare l'amore per la sua donna e per la sua città, entrambe nutrici dell'anima e ispiratrici di Poesia. Complimenti ad Anna Vincitorio

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  3. Mi scuso di non aver aggiunto il mio nome al brevissimo commento di sopra. Saluti Adriana Pedicini

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  4. La vicenda letteraria ed umana di Nazim Hikmet è tratteggiata con grande maestria e partecipazione emotiva da Anna Vincitorio in questa superba nota critica. Amore e Guerra, Eros e Thanatos, i principi che muovono il mondo e che sono il motore della poetica di questo rivoluzionario autore, vengono analizzati e rivissuti poeticamente dalla nota studiosa, facendone intravvedere l'indissolubile legame. E' il fascinoso abbraccio del Bene e del Male: l'amore come avventura e audacia; la lotta come "sembiante d'amore", per usare le parole illuminate della Vincitorio. Complimenti vivissimi.
    Franco Campegiani

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  5. Il concetto del dolore, dell’innamoramento, senza pause fuorvianti nell’opera di Nâzım Hikmet Ran, trapela con lucidità e inquietudine nell’articolato iter storico ed ermeneutico offerto da Anna Vincitorio. Il contrasto tra una natura solidale e il proprio affanno, il finito delle cose a fronte dell’input perenne del sentimento, straziante nei versi originari oggetto del commento, diviene particolarmente struggente tra le righe dell’analisi della nostra Anna, la cui esegesi, tra l’altro, mette in rilievo la peculiarità tecnico-stilistica dell’illustre poeta turco rispetto alla precedente tradizione neo-persiana.
    La Vincitorio esordisce, infatti, affermando come «l’amore in questo poeta è il percorso del suo vivere», allo scopo di rendere palese la rottura del legame con gli intralci della retorica antica in un’epoca in cui il vasto mondo dove agiva l’influenza persiana non aveva ancora smesso di gloriarsi di un nazionalismo denso di sermoni e norme, ottenendo in risposta analogie ripetute, iperboli esagerate, traslate, magari astruse.
    Tutto ciò risulta remoto da Hikmet. Il fascino del dettaglio, del minuscolo e dell’illimitato (suggerirebbe Walter Benjamin), lo sguardo penetrante, affettuoso, in grado di scalfire l’aura significativa evocata, riconduce con il ritmo armonico dei versi - fedele alle letture materne di Alphonse de Lamartine - alla patria distante, dopo il lavoro e il disagio quotidiano, finalmente interrotti dal riposo, dal rifugio serale. All’imbrunire di un giorno tra i tanti, in un alloggio, con una compagna differente: eppure i suoi versi sono capaci di trasmettere costante fiducia, in un’elegante trama d’immagini all’altezza di restare al di fuori della sconfitta estrema che commuove e disorienta, pur varcando con singolare dolcezza il profondo del cuore, dell’anima dei lettori.
    Il dolore comunicato appare ogni volta sincero, infaticabile nell’esprimersi. Anna Vincitorio osserva: «Non vi è alcuna scissione tra la passione per la sua donna e l’essere umano che lotta e la lotta è sembiante d’amore». L’angoscia, le tragiche delusioni di Nâzım Hikmet sono energiche, proficue, acquistano caratteri di estetica e bellezza, conciliando le discordie della coscienza.
    Così il poeta muore all’improvviso, solo, mentre è in procinto di uscire da un appartamento di Mosca, in una lontana, vicina mattina del 1963. Pietra miliare universalmente riconosciuta del Novecento, ha saputo catturare il Kunstwollen (“volere artistico”) del suo pubblico moderno e contemporaneo dinanzi a prove severe dell’esistere, nella sofferenza, nel coraggio, sulla scia di una ricercata, ineffabile tenerezza, ma facendosi anche carne viva e sensibile, attirando il coinvolgimento del destinatario del messaggio nello spazio-tempo delle bellezze presenti e possibili.
    Sono d’accordo con la Vincitorio: per lui e per noi emerge una «dimensione diversa di vita», inoltre di «libertà», all’interno dei sentimenti, dei pensieri, nel tumulto del reale, o meglio, nel desiderio di essa, carico di una forza indomabile insieme a grande tristezza filosofica, a uno stato solitario e contemplativo, memore di popoli passati, vittime di tremende censure e illusioni respinte. Sempre attive, però, e più raffinate nel loro proporsi.
    In un brano del 1962 leggiamo: «Quel che si attende verrà in un’ora inattesa / verrà solo tutto solo / senza condurre con sé / coloro che già partirono».
    Grazie ad Anna Vincitorio per il suo omaggio.

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  6. Una recensione, questa di Anna Vincitorio, che va ben oltre l’analisi critica dei testi, ma entra nella profondità dell’esperienza umana ed esistenziale del grande poeta Nâzım Hikmet, talvolta definito un “comunista romantico”, a cui io preferisco il termine “rivoluzionario romantico”. Al di là dell’adesione politica, il suo sentire interiore, più che al materialismo storico è volto a una visione romantica della vita che lo ha portato ad opporsi a regimi, pagando con il carcere duro in Turchia la sua passione civile e libertaria.
    Fa benissimo Anna a ripercorrere i suoi testi attraverso la sua esperienza di vita. Questo è l’approccio giusto per capire la poesia, che anch’io condivido e applico nelle mie biografie di artisti moderni. Non si può prescindere nelle analisi delle opere, siano esse espressive o figurative, dal fatto che dietro di esse c’è l’uomo con le sue esperienze, le sue passioni, i suoi valori interiori testimoniati dal percorso dell’esistenza, soprattutto quando ci si muove in contesti e fasi storiche, particolarmente turbolente e devastanti.
    E così Ana ci fa comprendere appieno la sostanza delle sue liriche, delle sue lettere dal carcere, dall’esilio, la sua capacità unica e universale di cantare l’amore, in tutte le sue forme e accezioni, fisiche, mentali e soprattutto passionali. Si, perché l’elemento passionale contraddistingue sempre le sue poesie, una passione verso, il figlio Mehmet, la moglie Münevver, la natura, l’intera umanità e in sostanza la vita, che per lui fu breve, ma ricchissima di intensità.

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  7. RICEVO E PUBBLICO
    Invio i miei ringraziamenti a Claudia Piccinno e Adriana Pedicini per l'attenzione dedicata al mio scritto.
    Ho apprezzato il commento dell'amico Franco Campegiani che ha evidenziato i concetti di – Amore e Guerra-, principi che muovono il mondo sotto il profilo filosofico che gli è congeniale.
    Inoltre, sono rimasta colpita e grata dall'analisi accurata di Cinzia Baldazzi che, con profondità ed entusiasmo, ha ampliato in me la conoscenza di Nazim Hikmet.

    Anna Vincitorio

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  8. RICEVON E PUBBLICO

    Per Franco Donatini.

    Grazie Franco Donatini. Il tuo intervento puntuale e profondo su Nazim Ikmet mi ha colpito.
    Mi piace la definizione che tu dai del poeta: “rivoluzionario romantico” che coinvolge ogni essere umano sensibile al richiamo della libertà in un contesto storico “turbolento e devastante”.
    Desidero esternare la mia gratitudine al caro amico Nazario che mi ha permesso, come collaboratrice di Leucade, di avvicinare persone culturalmente e umanamente interessanti.
    Anna Vincitorio

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  9. Mi congratulo con l'autrice, che ha sintetizzato egregiamente la vicenda umana del grande poeta turco e ha colto, pur nei limiti imposti da un saggio breve, l'essenza della sua poesia, proponendone i versi più significativi. Versi lirici, d'amore (i più noti, soprattutto fra i giovani), ma anche quelli derivanti dalle vicissitudini che colpirono Hikmet, l'esilio in primis, che lo accomuna a molti poeti. I suoi ideali, l'amore nella sua accezione più ampia, il sogno di libertà, persino l'accettazione della morte, sono diventati espressioni poetiche di vita vissuta che assumono un valore universale. La poesia, per Hikmet, doveva avere uno scopo, doveva essere utile a un popolo, a un singolo uomo, all'intera umanità. Diffonderla, quindi, come ha fatto la prof.ssa Vincitorio, è opera meritoria.
    Franca Olivo Fusco

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  10. La nota critica della Vincitorio è realmente encomiabile in quanto rende merito attraverso un'analisi attenta e approfondita,ad un poeta che,bisogna dire, in Italia, è stato poco attenzionato dalla critica ma,per fortuna, ha invece avuto molta più attenzione da parte del pubblico che lo ha scoperto, letto ed amato. Se non fosse stato per Gioconda "Joyce" Lussu e Velso Mucci conosceremmo poco e niente della sua opera.
    La fluidità del suo verso e la nobiltà d'animo che trasuda in ogni parola, sempre in profondo equilibrio, non lasciano indifferenti.
    L'obiettivo della poesia di Hikmet è strettamente legato al suo desiderio di condivisione di pensiero intimo che lui proietta nell' universale, ogni parola è personale ma si trasfigura e diventa parte comune dell' animo di chi legge i suoi versi.

    Hikmet è un poeta che personalmente amo molto,
    in altri Paesi Europei come Francia, Germania, e Russia Hikmet, con la sua Istanbul nel cuore,ha avuto l'attenzione che meritava, mentre la critica italiana gli ha inspiegabilmente ed ingiustamente dato poca importanza. Benvengano quindi gli scritti come quelli della prof.ssa Vincitorio.

    Laura Barone

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  11. RICEVO E PUBBLICO

    La nota critica della Vincitorio è realmente encomiabile in quanto rende merito attraverso un'analisi attenta e approfondita,ad un poeta che,bisogna dire, in Italia, è stato poco attenzionato dalla critica ma
    che, per fortuna, ha avuto molta attenzione e considerazione da parte del pubblico che lo ha scoperto, letto ed amato. Se non fosse stato per Gioconda "Joyce" Lussu e Velso Mucci conosceremmo poco e niente della sua opera.
    La fluidità del suo verso e la nobiltà d'animo che trasuda in ogni parola, sempre in profondo equilibrio, non lasciano indifferenti.
    L'obiettivo della poesia di Hikmet è strettamente legato al suo desiderio di condivisione di pensiero intimo che lui proietta nell'universale, ogni parola è personale ma si trasfigura e diventa parte comune dell' animo di chi legge i suoi versi.
    Hikmet è un poeta che personalmente amo molto,
    in altri Paesi Europei come Francia, Germania, e Russia Hikmet, con la sua Istanbul nel cuore, ha avuto l'attenzione che meritava, mentre la critica italiana gli ha inspiegabilmente ed ingiustamente dato poca
    importanza. Benvengano quindi gli scritti come quelli della prof.ssa Vincitorio.".
    Laura Barone

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