Nazario Pardini.- Il tema ultimo
Il
percorso poetico di Nazario Pardini è di lunga data e di grande prove: la sua
passione per la Poesia si perde nei tempi della fanciullezza e le prime sue
composizioni poetiche risalgono agli anni
1952-53. Una vita di poesia. Pubblica regolarmente con respiro calmo
e passo da maratoneta, slanci lirici e
riflessioni esistenziali. Ha creato il suo Eden favoloso, l’isola di Léucade,
l’isola della poesia, di cui dice: “Un tempo misi come sottotitolo a Leucade:
“Il viaggio tormentato di una memoria che dal ventre della terra cerca di
proiettarsi in mondi di onirica bellezza”. I suoi primi volumi –1993….- Foglie
di campo. Aghi di pino. Scaglie di mare, L’ultimo respiro dei gerani, Il fatto
di esistere, Elegia per Lidia, Gli spazi ristretti del soggiorno, La cenere
calda dei falò, Suoni di luci ed ombre,1998,… –indicano l’itinerario alla
conquista di una struttura classica, in
cui il mito, fortemente umanizzato ed attualizzato, ha sempre giocato un ruolo
determinante nel processo ispirativo. “Il mito come simbologia degli intrighi
delle vicissitudini umane. Mito come ipostasi della vita. Anche se la ricerca
di un equilibrio classico fra figurazioni significanti e abbrivi emotivi è sempre stata nelle mie corde; magari su un
tessuto più narratologico con impiego di endecasillabi spezzati a centro verso
e inanellati da ripetuti enjambements a evitare il rischio di una lettura
cantilenante a cui si va incontro con quel metro. I contenuti sono sempre stati
più o meno gli stessi: meditazione, memoriale, panismo simbolico, input
emotivo-esistenziali sui perché dell’essere e dell’esistere, coscienza della
caducità del luogo e del tempo, immaginazione, azzardi iperbolici oltre il
limen in cui siamo racchiusi, eros e thanatos, inquietudine e saudade, realismo
lirico. Sì, il rapporto con la morte mi ha sempre coinvolto in maniera
misterica e inquietante. Ma su tutto una grande simbiotica fusione con la
natura, quella dei miei posti, quella che contiene tutte le mie primavere,
vista come decantazione e concretizzazione dei miei stati d’animo. Sentimento,
però, traslato in oggettivanti motivazioni. Penso che quest’ultimo sia il filo
conduttore che determina, in qualche maniera, l’organicità delle mie opere con
una evidente icastica presenza.”, dice rispondendo a un’intervista. E aggiunge:
“Il sogno poi , perché è là che si rifugia il poeta per ovviare alle
sottrazioni del quotidiano ….” significa trovare la serenità là da dove siamo
partiti, che è forse il sistema migliore per calmare il disagio che incontriamo
misurandoci con il tempo e la morte, se non si vuole impazzire. E là è il
“giardino curato” di HÖldernin.
N.
Pardini ha amato e frequentato a lungo la classicità. Un esempio, la silloge “I
simboli del mito”, del 2013 , di
impianto classico, nel quale e attraverso il quale, s’insinuano le
immagini verbali e i tratti storico/simbolisti di una scrittura colta ed
articolata. Il mito è inteso quasi come
una colloquiale accensione di stati d’animo, redatti in
un’orchestrazione compositiva di particolare
ispirazione. Vi si riscontrano le figure mitiche rappresentative della
classicità, come Giove, Dioniso, Apollo, Edipo, Saffo, Calipso, etc. con
intensità espressiva da terzo millennio, senza falsificazioni, senza fastidiosi
orpelli. La fedeltà ai Classici di Nazario Pardini è costante, ma si ripropone
sempre in modo nuovo. La comunione
filiale e paterna ad esempio –Dedalo ed Icaro- si rinnova nonostante il fluidificarsi annichilente
delle ali di cera, così come l’incontro sognato padre e figlio, nel ricordo
intenso, trepidante, tra terra e cielo, lavoro ed incontro festoso, emozione e
quotidianità …del colloquio –sognato-
col padre naturale : una comunione cercata nel pudore, nel vegliare una
nottata tra i sentori d’erbale umore estivo,… sul piano dei fulvi
girasoli…: “…Vorrei tanto/ rivedere con
gli occhi di un terreno
i
nostri monti simili a puledri/ rincorrersi tra i lecci ed i castagni
rutilanti
ai tramonti. Vorrei tanto/ trascorrere con te un tempo, pur breve,
per le
cose del giorno…” Nostalgia che fa vibrare il cuore di commozione, contenuta,
virile. Presenze e assenze come in un
inquietante enigma esistenziale nella
memoria che si sfalda. Reale più
del un reale quotidiano che non arriva a tanta potenza.
Ho
seguito e commentato via via nel tempo le sillogi poetiche che N. Pardini mi
invia regolarmente con grande amicizia, ho ammirato la sua musa generosa che lo
guarda alle spalle, osserva i suoi cambiamenti poetici umorali ed esistenziali e non l’abbandona
mai, e ho cercato di scorgere il filo rosso che unifica nel tempo le sue
pubblicazioni. Un’impresa per nulla facile.
Mi
colpiscono sempre i titoli che unificano
e offrono la chiave di lettura delle varie raccolte e in particolare quelli delle sue ultime
raccolte, che indicano l’approdo dubitoso ed inquieto della sua ricerca: l’itinerario percorso, gli ultimi punti di
riferimento e di riflessione, le malinconie personali e umanamente collettive
di cui è ben consapevole, come ad esempio I canti dell’assenza del
2015, dal titolo emblematico, in
cui è chiamata in causa la parola
poetica: difficile, sfuggente e impegnativa,
e parimenti Memoria, Malinconia,
Solitudine, Poesia: i temi consueti. Questo è a mio parere il viaggio in
estensione circolare e profondità interiore più completo di N. Pardini: ricerca
di essenzialità, perduto ormai il racconto della temporalità quotidiana
rassicurante. Bordi, margini, confini: le parole dell’esclusione. Solitudine.
Le parole emblematiche del vuoto, contrapposte al pieno che configura l’idea di
piazza, natura, di vita. La Poesia è
misteriosa e potente.
Segue Cronaca
di un soggiorno, del 2018, dal titolo un po’ inquietante nella precarietà
volutamente diminutiva di significato esistenziale che il termine “soggiorno” porta con sé e
della dimessa volontà narrativa “cronaca”, appunto: -CRONACA DI UN SOGGIORNO- .
E cos’è questo soggiorno se non la nostra vita terrena che, come un qualunque
soggiorno, è transitorio? E ci mette vis a vis a confronto con la morte.
L’Autore individua in questo suo vivere particolari momenti e stati d’animo di
cui ci fa partecipi. Ecco che quindi compare il rimpianto, costantemente in
agguato, per occasioni perdute per sempre e irrecuperabili, per una “rosa che
non si è colta” nel pieno del suo rigoglio, perché, si sa, la gioventù, a
volte, credendosi immortale, rende superficiali.
Nella
nuova silloge N. Pardini ci immette col
suo gioco di rimandi nel tema della misurata
malinconia della brevità della
vita e della bellezza, sempre
effimera, caduca “nelle mani del vento”,
ed apre al mondo, naturale e
misterioso evocato ne -Il viola dei
cisti- che colora le dune spaurite e
risponde timido all’azzurro del mare,
dove il maestrale intona le sue sinfonie morbide nella luce, e la musica di Glen Miller, il suo sound vellutato,
che ben sa utilizzare la sordina,
dà corpo e significato all’inespresso
sentimento che parla col suo linguaggio primitivo nella luce…
Ci troviamo a confrontarci con una “evasione” poetica ed esistenziale,
quella dell’uscita delle colonne d’Ercole
della realtà quotidiana, verso l’isola della poesia, l’invocata Léucade, una frontiera inesplorata ai più, un sogno
che apre al sovra-sensibile, una porta che si apre verso l’armonia e il
mistero, tra musica e profumi di cisti e di ginepri e cristallini, foce riposante di fiumi, l’universo magnetico dei profumi
selvaggi, nuove fragranze, suoni
palpitanti … e ti ritrovi immerso nel coro a bocca chiusa di Puccini,
nell’unico mondo di verità di certezza
che il poeta conosce dopo un percorso “sopra una barca effimera e
precaria/contro venti nemici che la spinsero/ su scogli crudi e aguzzi”: un
mondo di Melanconia, di sentimento,
passioni, memorie che si disfano, in una “ natura fresca d’immagini procaci”,
quasi dimentico e reso insensibile alla follia del mondo che ha rinunciato a
capire, in un totale abbandono ai misteri del Bello, e al fascino della
musicalità. Una ricerca di quiete -totale-
che ha lasciato dietro di sé anche il sogno dentro il sogno- il mondo delle
inquietanti riflessioni filosofiche e
della conoscenza mitologica.
Si
prosegue con I dintorni della solitudine, 2019, in cui Pardini riprende
con maggiore consapevolezza di controllo emotivo il tema, filosofico e
storico, che è quello della riflessione
sulla (sua )vita poetica ed umana, una biografia tutta interiore, una lunga
strada percorsa con fatica con la tentazione nostalgica di girarsi indietro,
nondimeno ripercorsa a livello psicologico con consapevolezza, seguendo tutto
il sentiero che si è delineato nel proseguo della vita.
È un itinerario, mentale e psicologico, una
storia coinvolgente e piena di sospensioni
visive e suspense emotive, raccontata con un ritmo a tratti drammatico,
con pregnanti antitesi, in un climax di crescente coinvolgimento doloroso e
poetico. Poi I dintorni dell’amore, ricordando Catullo, 2019: la silloge
si apre infatti con la grande metafora a
lui cara, che ritorna spesso nelle sue liriche, quella del fiume-vita: che trascina, impetuoso
insieme alle sue acque chiare, tutto ciò che incontra e cattura sul cammino,
fino al mare, approdando alla tematica d’amore che apre la prima parte della
raccolta; fa seguito “Di vita, di mare, di amore”, e “Canzoniere
pagano” che nel contempo sottolineano le linee evolutive della poetica di
Pardini . È facile ritrovare nella prima parte-
che dà il titolo alla raccolta- lo schema amoroso catulliano delle
Nugae, ma anche la voce poetica del Petrarca e della più autentica letteratura
italiana: “ Per mari ho navigato/ salito
colli,/ strade ho percorso,/guadato fiumi,/…con me ti porto sempre/ e non ho
pace,/ tutto si tace intorno/ e dentro rugge”…- versi che filtrano le emozioni più autentiche e le ascendenze
culturali del Nostro: “ fa infatti rivivere
le vicende della passione amorosa del poeta latino per Lesbia – e ci ricorda il
mito e il fascino della poetessa di Lesbo, Saffo, ma anche le
contraddizioni di un sentimento che si modifica nel tempo, mai uguale a se
stesso, e che la memoria tenta di afferrare.” È un itinerario, mentale e
psicologico, una storia coinvolgente e piena di sospensioni visive e suspense emotive, raccontata con un
ritmo a tratti drammatico, con pregnanti antitesi, in un climax di crescente
coinvolgimento doloroso e poetico.
I dintorni della vita, conversazioni con Thanatos pure del 2019:
un itinerario, una storia coinvolgente e piena di sospensioni visive e souspense, raccontata con un ritmo a
tratti drammatico, con pregnanti antitesi, in un climax di crescente
coinvolgimento doloroso e poetico.
È una
ricerca di quiete - che l’Autore vorrebbe totale- , l’approdo di questa ultima
silloge, che lascia dietro di sé anche
il sogno -dentro il sogno- della vita che si rinnovella eterna, il ricordo
vitale di una stagione che non è più. Nella sua ultima opera N. Pardini riprende con grande consapevolezza di controllo emotivo il tema,
filosofico e storico, della fine, che è
anche quello della riflessione sulla (sua ) vita poetica ed umana. Affronta così
la terribile protagonista, la Morte, sembra perfino sfidarla in un dialogo lirico dialettico che include
la totalità delle occasioni dei suoi incontri personali dolorosi : il fratello,
il padre, la famiglia,.., reagendo nel contempo e scegliendo a contrasto e in
opposizione i temi che gli sono
consueti, liberanti e consolatori: la natura, la primavera, la poesia, l’amore…
La poesia, anche la più colta, anche quando raggiunge livelli di intuizione ed
astrazione sublimi, meditazioni dolorose ha bisogno nondimeno di ancoraggi,
dell’esperienza sensibile, ha bisogno delle situazioni, della quotidianità e dell’eccezionalità
soggettiva ed irripetibile della vita per capire che il limite in cui è
scaturita deve superare l’immediatezza della banale routine, la ripetitività
consueta, e quello della razionalità, assecondando slanci e misteri, per giungere alla conoscenza.
E ci
avviciniamo alle struggenti composizioni più tarde a questa ultima silloge poetica, (-ed. G. Miano
2020), che diventa chiara nel suo itinerario doppio, la I^ parte col
medesimo titolo, Nel frattempo viviamo, la II^ parte Dal serio al faceto. Dal sacro
al profano- meno meditativa, più smaliziata ed ironica, solo se la si legge
a completamento delle altre raccolte.
Un titolo intrigante che evoca l’attesa
inquietante di un dopo problematico ed incerto: è anche un consuntivo di vita e
di poesia che le è stata destinata a dipanare l’imponderabile del tempo
vissuto, la sua ricchezza e la sua ironia:
Le chiamano bugie, utopie, fantasie/ ma sono l’anima delle
poesie.// Il disastro fatale/ quando
arriverà/ se ne avrà pure a male. ( Nemmeno i Titani).
È
anche una riflessione umana esistenziale, che è quella malinconica dell’età che
avanza, dei ricordi che si appannano, dei sentimenti che perdono la loro forza
vitale: Restano stanze vuote/ con i
cimeli,/ pareti zuppe di urla e di
pensieri,/ d’immagini di feste e di sorrisi/ …di foto ormai sfumate/ di visi giovanili d’altri tempi… (Restano
stanze vuote). Mentre tutto frana… Nel frattempo viviamo, appunto.
Dove
si sono rifugiati l’autenticità vere o
presunte delle nostre scelte, le nostre lotte e i nostri dubbi, i nostri amori caduchi creduti eterni, le
nostre pseudo-certezze, i nostri luoghi di sempre, dei quali non possiamo fare
a meno?, i tempi implacabili fuggiti via, la Poesia come scelta, la Léucade incantata
ed edenica… che declina anche l’ambito poetico del Nostro, la sua poetica,
quello della ricerca costante della classicità, la bellezza incontaminata,
archetipica, ma che è pure ben
consapevole di trovarsi “…alla spiaggia dell’ombrata Versilia”, da dove può intravedere ..”il brulicare
d’isole affollate/ di miti, ninfe, dèi e antichi re… / Eterni i sorsi/ di
storie e di leggende…”. Una Léucade grande aspirazione poetica, l’isola sognata
che forse non c’è, ma è bello immaginare, punto di partenza ed approdo, poetico
e vitale, di un giovane ed entusiasta poeta, oggetto di sogni, rimpianto di
corse e di favolosi ardori, di storie leggendarie…: sono state forse mete
utopiche? ..Forse traspare, se
restiamo quieti,/ tra i barbagli dei flutti/ e il maestrale,/ la sagoma
dell’isola fatata. /… E col sorriso l’isola accoglieva/ solo utopie
forgiate per amare ( Stai qui con me). Sono state illusioni, mete sognate? Là i
tuoi campi/ i tuoi monti/ il tuo piano, la pineta/ e una meta che dette
ristoro,/ là il tuo fiume, la sua foce (Là i tuoi campi) . Forse
sofferte senza essere mai capite? Siamo
incastonati/ solo per un attimo/in
un’immensità di vuoto/ che per non scorarti/ finge di essere blu (Siamo
incastonati), forse e comunque inconsapevolmente raggiunte? Piloto le
mie immagini/ col filo di un aquilone/ in attesa di un loro approdo/ Compongo
versi ondivaghi/ con il vento che li gonfia ( Piloto le mie immagini)
Rimangono
gli sguardi divergenti, che la distanza ha reso palpabili, lucidi di riscoperta
verità, che l’enumerazione, apparentemente semplificatoria ha reso evidenti, finalmente: In quella
casa il funerale. / Nel silenzio/ si udiva solo/ il rimbombare dei calci di un
ragazzo/ su un barattolo vuoto ( In quella casa il funerale) Sono
soggiorni da stranieri i nostri che ormai hanno rinunciato all’antitesi un
tempo così sicuri in questa vita? La
geometria che attorno/ si distende/ e visivo ti rende/ ogni reale, / è
l’insieme diviso e frammentato/ di quello che compatto/ era ai primordi…(La
geometria)
L’interrogativo
apre al mondo geografico (toscano) dell’autore, mondo misterioso, che si
ruralizza, e nel contempo si estranea nella distanza, ed essenzializza fino a
disfarsi : Il rustico sul colle/
guarda con occhio bieco/ il
cipresso solitario sul callare./ Il
bosco si acquatta/…e l’armonia del mondo/ si nasconde/ e si confonde/ in mezzo
alle minuzie (il rustico sul colle)…
La lirica ci propone una biografia tutta
interiore, una lunga strada percorsa con fatica con la tentazione nostalgica di
girarsi indietro, nondimeno ripercorsa più e più volte a livello psicologico
con consapevolezza, seguendo tutto il sentiero che si è delineato nel proseguo
della vita: Batte l’ora il campanile/
e il suono di campane per il piano/ si porta dietro/ spazi di sagrato,/…- evocazioni
di nostalgiche immagini poetiche pascoliane- e che si scontra ironicamente col
presente impoetico: Poi dal podere è
un rombo di trattore/ a cancellare suoni e melodie./ Resta odore di nafta/
sopra i cigli in fiore/ delle erbose vie ( Batte l’ora il campanile)
Sono
motivi poetici inquieti, vivaci, di
grande valore umanistico, ben presenti al Nostro in un magnifico intreccio di figure di significato:
la ricerca del tempo nel paesaggio come profondità storica; la sensazione di
una civiltà minacciata di morte che induce alla meditazione sul destino
dell’uomo, la riflessione sociale sulla tragedia dell’umanità in cammino e a
sentire il tempo come effimero in
relazione con l’eterno; la coscienza dell’invecchiamento e del morire
della sua stessa carne, della vecchiaia che avanza, il sapere che di risposte
definitive non ce n’è, la ricerca di una ultima navigazione, di un possibile
varco verso le regioni dell’assoluto, il chiedersi quale possibile salvezza
potrà ancora dare l’arte:
Non ho
più voglia / di gridare./ Riposeranno i pensieri./ Il crepitare/ dei miei
sogni/ s’impiglia/ nell’aria./ Non è più tempo/ degli inchiostri e dei pennini .
(Non ho più voglia)
È la
storia di un uomo autentico che porta con sé le inquietudini, e le malinconie,
le luci e le ombre- intense- del poeta
che guarda, nondimeno, il passato con occhi limpidi, e che diventa
illuminazione della vita, isolando e lavorando al tornio i ricordi in una potente globale “sineddoche-metonimia”
che caratterizza tutto il ciclo poetico, dandone tra similitudini ed enumerazioni
apparentemente disimpegnate la chiave della lettura: un brivido…sul vuoto.
La
fine…l’inferno…il Paradiso…i pensieri di coloro che parlano come se fossero
eterni, pensieri che turbano, che
nondimeno non si possono allontanare, forse trasfigurare in una musica come
quella pucciniana, in una preghiera “storica”, come quella dedicata al giachimismo: “Se il Paradiso fosse in terra,/
mio Signore,…”senza la guerra, l’odio e il patimento,/qui tra le povere
cose,/tra l’erbe fresche delle mie radure/o in mezzo alle pianure o sopra i
colli,/tra i papaveri, le spighe e le ginestre/ov’io conobbi amore… Se fosse il
Paradiso, mio Signore,/qui, si risparmierebbero anche spazi,/anche misteri o trasferimenti/ o firmamenti e resterebbe
tutto/casereccio sotto un abete o un leccio/o al fuoco del proprio caminetto”
Il grande sogno utopico: il Paradiso in terra, una vita vissuta in un clima di purezza e libertà in clima tollerante, libero ed ecumenico…
Poesia
di grande cultura e grandi emozioni. Un mondo di Melanconia, di sentimento, passioni, memorie che si disfano,
quasi…
Maria
Grazia Ferraris
E' una sorpresa, un intimo piacere: bentornata tra noi eccellente Ferraris!
RispondiEliminaCara amica, hai fatto un ritorno in grande stile, secondo la tua maestria di cui in molti abbiamo sentito la mancanza.
E non potevi trovare soggetto più sentito amato e interessante del nostro infaticabile "Condottiero guida e sostegno"!
Il tuo saggio è splendido! .Ha tutto di te e di Nazario, il Poeta e l'uomo che con tanta competenza illumini attraverso una esaustiva esegesi delle sue più significative opere.
Molte sono le espressioni con cui ricordi il "Nostro", ma una tra tutte mi è rimasta dentro il cuore tanto è viva e verace:
-...un mondo di Malinconia, di sentimenti, passioni, memorie che si disfano in una "natura fresca d'immagini procaci"-
Il tuo dire è sempre un dire meraviglioso, attento, preciso, elegante, con la profondità di quella cultura sempre amata e fatta amare.
Grazie!. Anche a nome di quanti non leggeranno questa tua splendida pagina.
Con stima grande e amicizia .
Edda Conte.
E' una sorpresa, un intimo piacere: bentornata tra noi eccellente Ferraris!
RispondiEliminaCara amica, hai fatto un ritorno in grande stile, secondo la tua maestria di cui in molti abbiamo sentito la mancanza.
E non potevi trovare soggetto più sentito amato e interessante del nostro infaticabile "Condottiero guida e sostegno"!
Il tuo saggio è splendido! .Ha tutto di te e di Nazario, il Poeta e l'uomo che con tanta competenza illumini attraverso una esaustiva esegesi delle sue più significative opere.
Molte sono le espressioni con cui ricordi il "Nostro", ma una tra tutte mi è rimasta dentro il cuore tanto è viva e verace:
-...un mondo di Malinconia, di sentimenti, passioni, memorie che si disfano in una "natura fresca d'immagini procaci"-
Il tuo dire è sempre un dire meraviglioso, attento, preciso, elegante, con la profondità di quella cultura sempre amata e fatta amare.
Grazie!. Anche a nome di quanti non leggeranno questa tua splendida pagina.
Con stima grande e amicizia .
Edda Conte.
Gent.ma Maria Grazia, è stato bello leggerla, attraversando il fiume Pardini,a bordo di un veloce sandalo, scorgendo la costa desiderata dell'isola che non c'è eppure... c'è. Il Nostro Maestro ha saputo regalarci attimi di poesia senza tempo in cui la realtà intreccia il sogno e lo attualizza. Ho letto parecchi dei libri da lei citati e sono concorde e entusiasta della sua critica letteraria. Nazario Pardini sa essere malinconico, ssensuale e anche ironico, e la satira di costume non gli è estranea. Ci va giù diretto , con stile par(d)iniano, dalla morale classica in fabula. Sto leggendo "Nel frattempo viviamo" e non posso fare a meno di sorridere amaramente pensando a quanto il pregiudizio sia legato all'idea della colpa. La poesia ha per titolo: Il gatto, il topo e la casa del magistrato. Creduto l'unico animale della casa, il gatto fu cacciato, accusato di essere il ladro di formaggio. Una filosofia di vita che rientra tra quelle deduttive poco inclini alle innumerevoli verità. Grazie e cari saluti a lei, a Nazario e agli Isolani.
RispondiEliminaRingrazio Edda Conte per l’accoglienza del mio saggio, entusiasta ed amichevole, attenta e sicura, come sempre in tutte le sue manifestazioni poetiche e letterarie. Note di un’amica.
RispondiEliminaRingrazio parimenti Patrizia Stefanelli, che condivide molti dei miei giudizi letterari sulla poesia di N.Pardini. Interessante la sua nota su Il gatto, il topo e la casa del magistrato. Ha ragione: una critica sociale sul tema del pregiudizio che domina il nostro piccolo presuntuoso mondo! Ed anche questo è un aspetto del proteiforme dire del Nostro
Mi unisco a Edda nel darti il bentornata, carissima Maria Grazia! La tua capacità di saggista, di esegeta e di critico letterario è altissimo Dono per noi ospiti dell'Isola. E questo viaggio tra le pubblicazioni del nostro Nazario è una voragine di Arte nella quale è fantastico naufragare. Leggerti consente al tempo di fermarsi, forse di cessare di esistere. Si è rapiti, schiavi felici del tuo sapere e della fluidità e dell'eleganza con le quali porgi ogni argomento. Nel saggio attuale compi un'impresa ardua e dettagliata per poi soffermarti sull'Opera "I dintorni della vita, conversazioni con Thanatos" della quale attui un'analisi coinvolgente. Metti in rilievo l'innocenza del Poeta asserendo che la sua 'è la storia di un uomo autentico che porta con sé le inquietudini, e le malinconie, le luci e le ombre- intense- del poeta che guarda, nondimeno, il passato con occhi limpidi' e dai la giusta importanza al paese dei ricordi, tanto caro al Nostro. Ovviamente ti soffermi sulle liriche, sul Suo rapporto con la morte e sembra che le tematiche riescano ad arrivare sui fogli come acqua di fonte in caduta libera da una diga perennemente aperta. Il tuo apporto è indispensabile. Sei una Maestra umile, un'autentica Studiosa infaticabile. Nazario palpita, esce dal foglio, è con noi più di sempre grazie al tuo magistrale lavoro. Ti abbraccio forte insieme al caro, insostituibile Condottiero e Poeta.
RispondiEliminaGrazie carissima Maria. Le tue parole sono come sempre di grandissima generosità e di sensibilità fuori dal comune. Spero di poter proseguire la mia lettura….(non è stato un periodo facile quello che ho vissuto fino ad ora). La tua presenza sul blog e il tuo entusiasmo sono contagiosi. Hai consensi e stima.Ti si legge con piacere. Continua!
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