Un moderno canzoniere antico
Franco Campegiani, collaboratore di Lèucade |
La grande perizia
metrica che in queste pagine Marisa Cossu mostra di possedere può fare
arricciare il naso ai tanti detrattori di questa scienza, certi di poter
cogliere il segreto della modernità in formule prestabilite e schemi rigidi,
ignari della fluidità del contemporaneo.
Enigmatico sempre, in ogni luogo e tempo, ma particolarmente in tempi di
lacerazioni, di sincretismi e ricapitolazioni
culturali come quelli in cui viviamo. Poesia dotta e coltissima, quella di
Marisa Cossu, dove i preziosismi metrici (sonetti, rondò, madrigali, acrostici,
odi e ballate) non sono considerabili alla stregua di reperti archeologici,
bensì di schegge musicali indistruttibili, di lacerti linguistici provenienti
indubbiamente dal passato, ma vivi e vegeti nel mondo attuale. Lo sguardo della
poetessa non è rivolto all'indietro, come potrebbe sembrare, bensì all'oggi,
ricco, oltre che di nuovi dati, di frammenti e retaggi provenienti dalle
antiche culture.
Non a caso il
canzoniere si apre con il ricordo del babbo dell'autrice, ritratto in una sorta
di delicato passaggio e trasmissione valoriale: "Ora ricordo il libro /
che, come Bibbia posta sul leggio / con cura egli sfogliava e ci spiegava / le
nuove frasi, quelle voci antiche / su cui formare il nuovo". Quel nuovo per la cui epifania bisogna
attendere la gemma, "morire, forse, e poi tornare al sole". Verso,
questo, su cui occorre meditare profondamente, giacché se il vecchio non muore
il nuovo non sorge e solo marcendo il seme può dare nuovo frutto. "Dalla morte
nasce la vita nuova", scrive altrove l'autrice, per cui Il figlio porta il
genitore con sé, nelle proprie cellule, ne rinnova le esperienze in modo del
tutto autonomo, anche senza saperlo, inconsciamente, e persino laddove faccia
ogni cosa per dimenticarlo (ma non è certo questo il caso). Sta qui l'universalità
dell'umana avventura, che in qualsiasi tempo e luogo è chiamata a vivere in
modi assolutamente inediti i medesimi slanci e le medesime disillusioni ideali.
La poetessa vorrebbe
"cercare l'utopia che si è smarrita" e credere ancora nel genere
umano, ma assiste inerme allo sfacelo e si sente spegnere lentamente, racchiusa nel proprio stesso tronco:
"così restano beni inconoscibili / ... / le verità descritte dai
sapienti". Poi, però sente rinascere le nobili aspirazioni e il desiderio
di altezze, con quella ricerca della trascendenza che sempre lascia l'amaro in bocca, visto che non si
riesce a raggiungere mai. E tuttavia proprio i sogni infranti diventano fertile
terreno per alimentare l'ansia di nuovi voli e di nuovi ardimentosi viaggi,
come anche di nuove ferite e di nuove rovine
al suolo (si legga Icaro). Tutto occorre
all'evoluzione dell'uomo che non dovrebbe mai gettare la spugna, ma che ha
bisogno di delusioni e sconfitte per poter meglio orientare la prua. Così, da
ultimo, non resta che vedere "in un tenue velo / la luce che per noi
qualcuno accende / da quella insuperabile distanza", mantenendoci in
bilico tra realtà e idealità, tra aspirazioni e tracolli ideali.
E' una poetica del
naufragio, in fondo, quella di Marisa Cossu, con richiami orfico petrarcheschi
rinnovati alle sorgenti schopenhaueriane e leopardiane, nonché arricchiti di interessanti
venature keerkegaardiane ("avrà pietà l'Eterno che ci attende /
nell'infinita vastità del cielo"). Una speranza ultramondana forgiata sulla
forza tutta mondana e stoica, ma in fondo anche cristiana, di sopportazione del
dolore: "Tu non sai, figlio mio, / quanto sia greve / la dura lotta verso
il divenire / ... / ma tu, piccolo principe, resisti / ... / non potranno
spegnerti i colori; / sopporterai i dolori". Poetica, come può vedersi,
densa di ascendenze e di richiami, dove fanno la loro apparizione finanche pennellate
di amore francescano: si legga Madri,
ma anche Vita grama. Per non dire di Abbraccio, a tinte eraclitee, con quel
"mistero dell'infinito amplesso, / presenza della vita e della
morte", "trafitto in quell'unico grido d'amore / dove gli opposti
vivono abbracciati / hanno la stessa semplice misura, / lo stesso suono di cose
difformi / all'apparenza, ma simili alla fine, / nell'accogliente ventre della
terra".
Poesia filosofica, estremamente raffinata, dove senza forzature compaiono infine tocchi epicurei ed oraziani di sorridente saggezza e freschezza. Come Roma, ad esempio, ma soprattutto come La barca, un madrigale scherzoso e ammiccante d'amore, quasi boccaccesco. La felicità degli amanti è passeggera e "non vi sono ritorni", ma il dolore del distacco è edificante, perché insegna ad amare con leggerezza e senza idolatrie, senza morbose esaltazioni. Finché "di quel tango finito ed esaltante / rimane la carezza", una flebile gioia che s'accende nelle angosce della vita, un soffio lieve che giova allo spirito riportandolo nell'armonia dei contrari. Là dove "tutto regna insieme", nell'hic et nunc: il cielo e la terra, l'essere e il tempo, l'eterno ed il caduco. E l'uomo si stupisce, "si sorprende / dell'immobile giro delle stelle, / del fiume che non lascia le sue rive, / di ciò che sembra fermo mentre vive". Felicità di un attimo, e subito riprende l'altalena, perché l'autrice torna a perdere speranza: "Si scioglie il tempo in nuvole di niente / ed il vissuto appare inesistente".
Franco Campegiani
Carissimo Franco, nel leggere la straordinaria Opera della cara Marisa, ho preso atto della tua prefazione e l'ho citata in più occasioni. La definizione "Un moderno canzoniere antico" è il titolo ideale, oserei dire il sigillo, che va a impreziosire l'Opera e a metterne in luce le caratteristiche. Marisa, infatti, sa essere attuale, originale, nuova, anche attingendo al metro classico e facendoci dono di sonetti, madrigali, rondò e molte altre forme liriche. Inoltre si spinge spesso sul terreno filosofico, a te tanto familiare e, come affermi la sua : "E' una poetica del naufragio, in fondo, quella di Marisa Cossu, con richiami orfico petrarcheschi rinnovati alle sorgenti schopenhaueriane e leopardiane, nonché arricchiti di interessanti venature keerkegaardiane ". La lettura della tua prefazione, amico mio, mi ha consentito di avvicinarmi a un colosso della Poesia come Marisa con qualche timore in meno. Sei stato il mio Caronte, come in tante altre circostanze e te ne sono infinitamente grata. Un forte abbraccio a te e alla Poetessa.
RispondiEliminaCarissima, ancora una volta mi onori della tua attenzione e del tuo amichevole interesse. Le belle parole dedicate alla mia silloge resteranno in me come input a ben operare e a credere nella possibilità che, anime sensibili e colte quali la tua, partecipino alle mie gioie e soddisfazioni. Sei una persona bella che merita tutta la mia stima e il mio affetto.
EliminaUn abbraccio
Marisa Cossu
Cara Maria, hai pienamente ragione nel sottolineare la stupefacente abilità tecnica di Marisa Cossu. Abilità che, unita a uno spessore filosofico e culturale di non poco conto, fa della poetessa una voce assai significativa nel diorama della poesia dei tempi attuali. Ti abbraccio, grato per le parole che usi anche nei miei confronti. Stima profondamente ricambiata.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Gentile Dottor Campegiani,
EliminaLa ringrazio per aver impreziosito il mio libro con la sua bellissima ed accurata prefazione. Ne sono particolarmente onorata perché questa silloge è il risultato del premio attribuitomi al “Voci” di Roma lo scorso anno, quindi motivo di soddisfazione e incentivo a ricercare sempre l’“Essere Errante” della poesia. Le sono grata perché nella Sua nota critica si evincono i tratti essenziali del mio mondo poetico, i riferimenti culturali, l’introspezione e il mio pensiero intorno alla condizione dell’uomo contemporaneo. Ho molto apprezzato la stima che traspare dalle sue parole. So che la strada della scrittura creativa e della poesia è lastricata da inevitabili delusioni e cadute; non mi aspetto nient’altro che poter cogliere a lungo in me stessa il bisogno della poesia, l’attesa del suo manifestarsi, per scrutare con stupore negli occhi dell’uomo e tra le meraviglie della natura.
Riceva i più cordiali saluti e ringraziamenti
Marisa Cossu