La
poesia di Nazario Pardini
tra quantità e qualità
di Mario Santoro
Il poeta non smette mai di
sognare, sia pure ad occhi aperti, e continua imperterrito il suo lavoro di
scrittura che consegna al lettore col quale stabilisce un rapporto dialogico libero
nella consapevolezza che ogni verso, se non ogni parola, costituisce un punto a
quo per ulteriori percorsi diversificati.
È quanto accade a Nazario Pardini che
non smette mai di interrogarsi, ricorrendo sempre a una pensosa leggerezza e
approdando alle più discrete risposte che si caricano di certezze sul
significato più vero ed autentico dell’esistenza che resta comunque mistero. In
questa ottica la poesia svolge funzione salvifica e di testimonianza sul valore
della vita, sulle cose che contano, sull’importanza di esserci, sempre a
comunque, come efficacemente dichiara il titolo della raccolta Nel frattempo
viviamo da leggersi all’insegna
del più sano ottimismo, laddove il verbo al presente si connota come senso di
realtà, ragione di sicurezza, ma anche come richiamo all’inclusione resa bene
dal ricorso al plurale mentre la locuzione avverbiale “nel frattempo” sottende
una grande varietà di sfumature di significati e significanti possibili che
vanno ben oltre il tempo momentaneo, indicando una sorta di continuità con la
capacità di assaporare fino in fondo il buono che c’è. Titolo azzeccato,
dunque, e frutto di ripensamento meditato che testimonia l’approccio
decisamente positivo del poeta che sa contemperare situazioni anche
contrastanti ed è pronto ad intrecciarle con giusto equilibrio e, in taluni
momenti, ad ordinarle senza prevaricazioni di sorta.
E così gioie serene, attimi di
felicità, situazioni di meraviglia e d’incanto, attese trepide di gradite
sorprese, si susseguono per poi cedere il posto a condizioni di malinconie e di
tristezze, sensazioni di vuoto, difficili da colmare, solitudini ritornanti ma,
per fortuna, non disperanti, memorie vicine e lontane nel tempo, e magari anche
nello spazio, condizionamenti quotidiani e senso di impotenza. E non mancano
miracoli, tutti umani, che accadono sotto gli occhi degli uomini, storie di
umili e di animi semplici, fenomeni della natura che esistono da sempre.
Vengono riportati nella maniera più diretta ed immediata da Nazario Pardini che
ha imparato, davvero e al meglio, “Il mestiere di vivere” di stampo pavesiano,
come sostiene Enzo Concardi, senza il
carico di pessimismo del poeta piemontese.
Consapevole di tutto ciò l’autore
può procedere con tranquillità e fiducia senza inseguire alchimie di linguaggio,
senza infingimenti, senza prese di posizione o preconcetti, in maniera chiara,
diretta, fluida, con parole che pesano e al tempo stesso suonano o, meglio
ancora, risuonano nell’anima. Di qui il suo spaziare, e a tratti quasi
abbandonarsi, senza il timore di perdersi, tra gli elementi della natura, con
veri momenti di comunione e con evidente commozione e gioia e, se si vuole, con
implicita gratitudine; di qui anche la sua esigenza di dare e ricevere amore
nella direzione dei suoi simili e delle cose tutte, ricercando momenti di chiara
intesa e di magia. Ne consegue una descrittività puntuale ed efficace, carica
sempre di riferimenti inferenziali e connotativi e di tensione emotiva che a
tratti si alleggerisce per riprendere con maggior vigore.
Scrive il poeta: “Il bosco si acquatta / ed il tramonto per
conto suo / si mangia il giorno / indifferente ai passeri, / agli umori
abbarbicati a questa terra”. E riprende altrove: “Là davanti / nascosto tra il fogliame /
trangugiava insaziabile un serpente / un rospo / tra il gracidare indifferente
delle rane”. E pare quasi di sentire il gracidio continuo e ininterrotto
delle rane incuranti della sorte del rospo, nell’abile gioco della
contrastività che il poeta sa creare, quasi come se improvvisasse, sulla linea
della sottile e, al tempo stesso amara, ironia che si ritrova anche altrove,
nel contrasto tra il silenzio della casa ove è un morto e il rumore, neppure
poi tanto fastidioso, di un barattolo vuoto che rotola sotto la spinta dei
calci di un ragazzo: “In quella casa
il funerale. / Nel silenzio / si udiva solo / il rimbombare dei calci di un
ragazzo / su un barattolo vuoto”.
E l’ironia la ritroviamo ancora
in altre poesie e nei frammenti. Ci fermiamo a un’altra citazione, che si
commenta da sola: “Nel foglio di quel
giornale / ha incartato due uova / la contadina. / Si intravedono / due
necrologi. / Sono serviti anche da morti”.
Molte le considerazioni sul
tempo che passa inesorabile e lascia evidenti segni con la vecchiaia che
sopraggiunge con il suo pesante carico di limitazioni, la pesantezza dell’immenso
bagaglio dei ricordi, e un generale senso di abbandono e di solitudine, a
tratti, pesante. In tale situazione consola la certezza che, proprio la
vecchiaia, resta l’unica via di uscita per tenere a bada la morte. E non si
tratta solo di consolazione perché, a saper ben guardare, essa offre ugualmente
delle positività e consente il rifugio nella rievocazione del tempo andato. E
non è poco: “...l’unico mezzo, / il
solo, possibile mezzo / di restare più a lungo / a respirare la vita”.
E torna ancora il tempo con l’orologio
del campanile che coi suoi rintocchi segna, inflessibile, le ore e risveglia
nell’anima ricordi straordinariamente dolci e fanciullezze ardimentose con gli
inevitabili litigi. Tutto questo anche se, al tempo presente, la realtà pare
nullificare ogni cosa e “Resta odore
di nafta / sopra i cigli in fiore / delle erbose vie”.
Mitiga la cruda realtà
presente, il ricorso al passato in una sorta di fanciullesco bisogno di
fermarsi per intravedere “…quieti, /
tra i barbugli dei flutti / e il maestrale, / la sagoma dell’isola fatata”. Ci
pare quasi un richiamo indiretto al fanciullo novariano che implora, a mani
giunte, il giovane ruscello a quietarsi per giocare insieme un “caro gioco”.
E Pardini va ben oltre e offre
la sua parola, a volte, se non mielosa certamente dolce ma con una punta di
amaro, anche alle cose, che si animano: “Quante
storie / racconta il marciapiede / di barboni, ladroni, / generali, caporali, /
professori, scrittori, / regine, sgualdrine, / cavalieri, banchieri”. E
si lascia prendere, pur essendo sempre vigile e presente, da ardimenti e voglie
di travalicare le quotidianità e di sollevarsi in volo: “Che concerti le dita della fantasia /
arpeggiano sull’anima!” anche se subito ritorna la realtà a
notare vele che scompaiono all’orizzonte: “Lo so che siete destinate a sparire / nell’ultima linea all’orizzonte. /
Ma niente mi impedisce / di seguirvi con la fantasia” (Le vele).
E poi il poeta torna “tra il
serio e il faceto” alla precarietà dell’esistenza, al brevissino lasso di tempo
che va saputo gustare: “È come un lecca lecca,
sai, la vita / finito non ti resta che lo stecco, / non te ne fai di un becco,
caro mio!, / gustala bene prima che sia finita!”.
Nella seconda parte del volume
risulta evidente la capacità di alleggerire la poesia ricorrendo ad una
pluralità di stili con composizioni brevi e libere, a massime e a detti, talora
più vicini alla maniera proverbiale e finanche a facezie, arguzie, celie,
battute, lepidezze, con gradevolezza di toni e traendo spunto da momenti
occasionali, come se l’autore, che fa sempre molto sul serio, decida di non
prendersi sul serio. Insomma c’è quasi un abbassamento di
toni nel vago e generico richiamo al secondo Sinisgalli e all’ultimo Montale.
Mario Santoro
Nazario Pardini, Nel frattempo viviamo, pref. di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2020, pp. 124; isbn 978-88-31497-12-1.
nella poesia di Nazario........la vita! bella recensione che mette in risalto il suo stile, la sua leggera autoironia
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