Luciano Postogna
ULTIMI PENSIERI
Guido Miano Editore, 2020
Recensione di Enzo Concardi
Questa recente pubblicazione del poeta
triestino e carsico – tali sono le sue radici anche d’ispirazione artistica –
Luciano Postogna, rappresenta una sorta di outing di tutto il magma
esistenziale, morale, spirituale che si agita nella sua interiorità, ora che –
dopo gli anni ruggenti delle età
precedenti - si trova a vivere l’autunno della vita, percepito in gran parte
come una stagione decadente e crepuscolare: “Anch’io ero un uomo. / Ora m’inebrio
di ricordi” (da Anch’io ero un uomo); “Il mio tempo è passato / ed il
cinguettio sordo / lo porta lassù all’infinito” (da Pioggia). Ci viene quindi proposto un viaggio – una recherche,
per dirla con Proust – nelle sinuose dimensioni del tempo e nelle mobili e
altalenanti suggestioni della memoria: quando la riflessione personale sosta
con insistenza sugli aspetti di finitudine, precarietà, fragilità dell’esistenza,
ci si trova inevitabilmente a ragionare e a poetare intorno alle cose ultime
e penultime della nostra presenza terrena, ovvero a cercare faticosamente
un bilancio fra il dare e l’avere, a tentare di mettere ordine nelle sabbie
mobili del proprio passato, a sperare di poter contare ancora su un futuro. La
muta degli anni ormai consumati sembra rincorrere il poeta senza tregua e
dolorosamente: “Con gli occhi algidi vedo nelle stelle, / … / fluente lo
scorrere del passato, / la cronologia è confusa: / sono lampi di vita senza
data, / son brani di una vuota antologia, /... / confusi incubi nelle notti
insonni” (da Vedo nelle stelle); l’incognita del domani lo pervade di
stati d’animo inquieti: “La sera a occidente scivola, / rimpianti non lascia,
ma ansie future: / la notte incombe sul Carso spettrale” (da Serata).
Le tonalità poetiche di quest’opera, così
come le stazioni tematiche, rivelano contraddizioni al loro interno, date dai
chiaroscuri, dai contrasti tra luci ed ombre, dai momenti di pessimismo della
ragione e da quelli di ottimismo della volontà, per dirla con Gramsci: spesso
dunque i contenuti e gli umori delle liriche oscillano ancora come tra i due
estremi di un pendolo, in attesa di ricomporre un equilibro, se mai sarà
possibile, preso atto dello stato problematico della presente stagione esistenziale
dell’autore: “Lassù un castello in aria che m’appare, / … / Visione, in bianco
e nero, d’un quadro / surreale, dipinto da una mente / che stenta a ritrovar l’essenza
dei / ricordi nebulosi del passato (da Ricordi nebulosi del passato).
Tale consapevolezza di vivere tra sogno e realtà, di essere ora sul filo del
rasoio, ora vicino a terre più amiche, spingono il poeta a cercare la
desiderata leggerezza dello spirito: “Anima inquieta / … / riponi le ansie / …
/ nella pace dei monti. // … Vivi le ore più liete / che natura ti offre. /
Abbandona i pensieri onerosi / … / e nel tuo cuor / serenità e gioia /
regneranno ancora, / tornerai così ad amare” (da Anima inquieta). Ma la
dispersione nel tempo continua, un tempo frantumato, coperto da nebbie che non
si sollevano, un tempo col quale il poeta non riesce ad aggiustare i conti:
“Ricordi pallidi / dei tempi che furono / e che obliare volevo. / Visioni
limpide / della vita presente / che non mi dicevano nulla. / Speranze del mio
destino futuro / che non presagivo” (da Nottata inutile), anche se resta
pur sempre il ritorno dei mesi chiari e limpidi a riportare semi pronti a
sbocciare: “Sei nei colori allegra oh Primavera / … / gioisci natura al
rinnovato evento. / … / Ora dormi paesetto di collina / domani sarà ancora
Primavera” (da Ben tornata Primavera).
Dalle seppur brevi citazioni finora
richiamate, già si può evincere il ruolo giocato dalla natura nell’ispirazione
dell’autore, come ha puntualmente precisato Nazario Pardini nella sua
prefazione: “Iniziare da questa poesia testuale significa entrare fin da subito
nei meandri dell’animo del poeta … Ma soprattutto significa leggere quanto la
natura incida sulla poetica di Postogna. …. Una vera natura medicatrix”. Quindi
paesaggio e meditazione s’intrecciano quasi sempre nelle sue liriche, alla
maniera degli idilli leopardiani e valga per tutte la composizione Fischiano
i rami: “Fischiano sotto il vento i rami / dei neri carpini, / e la Luna
appare, / sopra i boschi carsici. // La regnano i calcari / e gialli i prati /
nella stagion foriera / di tempo brumale. // Lande, che desolate, / per il
tepor perduto piangono, / a versar sul rosso dei sommacchi / i soliti
rimpianti. // Domani sarà pioggia / e senza alcuna speme / volerà il tempo
celere / verso nature sterili”. Ancora
richiami del passato trovano spazio nel diario del poeta (Dopo guerra, Nuovi destini, …),
richiami dei ricordi domestici dell’infanzia, quando il clima familiare
diffondeva quel calore umano e quelle atmosfere affettive ora non più revocabili,
ed anche questi luoghi della memoria diventano per lui motivo di dolce
nostalgia e di rimpianto.
A questo punto imbastire un discorso filologico sull’estetica e sullo stile della sua poesia mi pare piuttosto secondario, data la pregnanza, lo spessore del messaggio, il pathos che allo stesso protagonista preme comunicare: basterà accennare alle sue reminiscenze classicheggianti e all’utilizzo di un vocabolario che sovente attinge a quella scuola e che lo fanno apparire legato ad espressioni sorpassate: villan, appié, algente, barroccio, eburnei, opima, anecoica, edenico …). Ma nel complesso la metrica, i ritmi, le scansioni, l’armonia e la musicalità dell’insieme scritturale reggono alla prova di un’analisi critica. Sebbene, invece, all’analisi testuale non risulta mai presente in forma esplicita il tema della morte, mi pare di poter affermare che tuttavia esso sia lo spettro che incombe, più o meno inconsciamente rimosso, dietro diverse composizioni e che – prima o dopo – apparirà direttamente nella sua poetica, poiché forse da lì nasce la sua inquietudine esistenziale. Questa poeta, così fortemente legato alla sua terra, non poteva lasciarci senza una poesia dedicata a Trieste – che ci rimanda per comunanza di luoghi geografici, se non per affinità artistiche, alla Trieste di Umberto Saba – dove possiamo seguirlo e immaginarlo, nella lirica Tra le nuvole, vagare sui colli alle spalle della città; lungo le costiere fino al castello di Miramare; sull’altipiano carsico dall’ambiente naturale calcareo, unico e originale; in alto al colle di San Giusto: “Città antica dormi / la storia ti protegge”. Ed io me lo raffiguro sempre meditabondo, con lo sciame dei suoi pensieri a tenergli compagnia: l’avventura della vita ancora lo attrae, anche se il fardello degli anni inizia a farsi sentire.
Enzo
Concardi
Luciano Postogna è nato nel 1942 a
Trieste, dove a tutt’oggi risiede. I suoi primi versi risalgono alla fine degli
anni ‘50 quando, ancora studente, componeva per i giornaletti studenteschi. Le
prime raccolte di poesie sono datate anni ‘70 e rimaste nel cassetto per quasi
trent’anni: alla stregua di un diario intimo che memorizza i sentimenti e i
ricordi del poeta. Solo nel 2000, infatti, Postogna comincia a divulgare e
pubblicare le sue poesie, sia giovanili sia quelle scritte fino ai giorni
nostri. Nel 2000 esce la sua prima silloge, intitolata Pensieri nudi, seguita da Ali
d’Arcangelo (2000), Raggi rossi al
tramonto (2001), Anatomia del vento
(2002), Oltre ogni orizzonte (2003), L’ombra dell’anima (2006), Antologia (2020), Ultimi pensieri (2020).
Luciano
Postogna, ULTIMI PENSIERI, prefazione di Nazario Pardini, Guido Miano Editore,
Milano 2020, pp.88, isbn. 978-88-31497-37-4.
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