Valore morale del ricordo e ansia di libertà
nell’ultima raccolta poetica di Tommaso Tommasi
Floriano Romboli (a sinistra), collaboratore di Lèucade |
Il
motivo del ricordo risulta
fondamentale nella problematica intellettuale e nella strategia
strutturale-ordinativa di Ripamaro.
Poemetti e poesie, il volume di versi di Tommaso Tommasi pubblicato proprio
alla fine dello scorso anno dalla Casa Editrice Miano.
Il
tema s’impone all’attenzione del lettore fin dall’inizio del primo poemetto, il
più ampio, intitolato L’estate 1977 :
“Pensieri riscopro che credevo/ dimenticati
sulla strada della vita./ Ho vissuto lontano dalla mia infanzia,/ ma ora la ritrovo./ Dopo vent’anni torno nella mia
vecchia casa,/ dopo vent’anni rivedo
il tesoro di mio nonno,/ le vecchie cose amate che la polvere ricopre/ ma io riconosco e ricordo” (vv.2-9, corsivi miei).
La
frequenza del prefisso iterativo attesta l’urgente necessità della
riappropriazione di un prezioso lascito etico-culturale che costituisce il
fondamento irrinunciabile di un’identità individuale e collettiva che il commosso
recupero lirico-memoriale tutela e avvalora: “Rivedo il grande focolare
riscaldare le sere d’inverno/ e allietare quelle d’estate/ quando le
discussioni vivevano dello spirito felice/ che la natura accompagna all’uomo
(…) Domenica senza storia/ anche se le campane suonano/ e svegliano la mia
memoria./ Un giorno come ieri,/ un giorno come domani,/ eppure era diverso
quando Quirino/ mi riempiva di favole e lo stavo ad ascoltare/ dedicandogli il
tempo della vita./ Momenti di immobile
energia/ che però non ho dimenticato” (ivi, vv.27-30 e 130-139, cors. mio).
L’efficacia
“energetica” intrinseca alla tradizione e all’ethos connaturale al piccolo, periferico paese d’origine
(Ripatransone, nella provincia ascolana, richiamato nel titolo) è poi
potenziata dal vivo disagio provato dall’autore dinanzi al sistema di vita
imposto con soffocante durezza dalla civiltà urbano-industriale, innaturale,
meccanizzante e omologativa: “Non ricordo altre vite./ Questa che vivo parla di
violenza./ Da essa è solo possibile fuggire./ Il mondo è condannato all’abisso/
con l’indifferenza di una persecuzione/ che non ha fondamento umano./ Vivere
diventa più difficile/ vivendo in tombe aperte/ dove l’asfalto brucia il
futuro/ e i mostri gettano il loro sangue/ partecipando alla follia di corse
pazze”(ivi, vv.213-223).
Tuttavia
una posizione ideologica siffatta, suggestivamente nostalgica e
pasolinianamente pensosa, non appaga la sensibilità del poeta, convinto
d’altronde che “ il mondo è più grande di Ripa”(ivi, v.161) e che il rifugio
borghigiano-campestre, l’idea dell’“isola felice” possono assumere altresì
valenze regressive e in particolare avere implicazioni limitative della libertà del singolo e dell’aspirazione
insopprimibile a nuove esperienze, a nuovi e differenti percorsi, nella
consapevolezza che “ogni giorno l’estate ricomincia/ con le stesse voci nuove,/
nel tempo passato e irrecuperabile” (ivi, vv. 287-289).
La
vita infine consiste pure nel “perdere
contenuti antichi/ alla ricerca di nuovi destini” (ivi, vv. 374-375, corsivi
miei) e “libertà è volare nell’aria come
un gabbiano/ che si posa sull’onda e non la tocca,/ felice di andare col vento/
senza una meta fissata da altri,/ girare intorno al fuoco dei gitani/ che si
posano dove il vento li posa,/ nella più totale anarchia di chi sente/ di
essere il solo padrone di sé” (ivi, vv. 106-113).
L’intima
tensione fra senso orgoglioso delle radici
antiche e acuto bisogno della più ampia libertà
personale costituisce il nucleo genetico, lo spunto primario e traente della
ricerca artistico-letteraria di Tommasi, nell’àmbito di un quadro ideale e di
un disegno conoscitivo dominati da “insanabili antinomie”, come bene ha
rilevato Rossella Cerniglia nel profilo dello scrittore tracciato nel volume
quarto (2020) della Storia della
letteratura italiana. Dal secondo Novecento ai giorni nostri stampata dal
medesimo editore Miano.
Il
discorso lirico tommasiano si anima infatti della costante dialettica dei
contrarî (vita/morte;
luce/buio; sogno/realtà; natura/civiltà umana; innovazione/abitudine;
antichità/modernità); e la stessa visione del mare – ora “azzurro” e
tonificante, ora “scuro” e minaccioso – risente di tale costituzionale
ambivalenza, di una attenzione spiccata alla contraddittorietà dell’ordine
delle cose naturali e specialmente umane: “La- crime nere di cristallo
saltellano nel mare vecchio della/ noia. Baracche riflettono nell’acqua il
silenzio./ Nel mare dell’abitudine ricerco una nuova via tra gli scogli/ oscuri
della notte (…) Solo con la natura, eppure intorno a me vive il mondo vive il
mondo./ Davanti al mare che tuona nel suo rullio infinito, cerco il/ mondo
della mia fantasia che mi aiuta a vivere” ( v. il poemetto Inno al mare, vv. 13-16 e 30-32 ).
La
seconda parte del libro accoglie una nutrita serie di poesie brevi, “gocce” di
saggezza creativa, ove sperimentazione formale-linguistica e concentrazione
riflessiva si uniscono stimolate da passione partecipativa e dal gusto di una
meditata, mordente ironia: “Il cappotto nasconde la gravità/sublime di fronte
all’altalenante/ fantoccio che dice ‘sì’”;
“Grazie all’impronta del giocatore/ che va per giocare ma resta giocato/
sublimo il palcoscenico per tutelare/ la frequenza”; “Gli alberi lontani e silenziosi/ sembrano
abbassarsi al suolo fino ai/ fiori della vita”; “Con gli occhi arrossati rispondo al/ vento
che muove i cavalli verso/ strade calde”.
Sul
palcoscenico della vita, definita in un incompiuto componimento finale, con
ricercatezza ossimorica, “piacevole tormento”, le avventure sembrano finite,
“eppure ogni giorno è/ un’avventura”; e se
“il giornale è/ lo specchio di una vita/
senza coraggio, dove/ nessuno sa recitare la propria parte e cade/ all’indietro”,
Tommasi intende aggredire con rigore “i conformismi e le ipocrisie sociali, le
mode e le tendenze snob, l’avere e l’apparire”, secondo che avverte nella
prefazione, con la consueta lucidità, l’amico Enzo Concardi.
Comunque anche in questo contesto lo sguardo del poeta è rivolto alle prospettive del futuro (“L’albero senza fronde non oscura il sole se due/ uomini guardano lontano”), giacché a suo parere ogni soluzione conservatrice rappresenta un ostacolo sostanziale per la fantasia e la libertà: “Ritornare non può allargare la/ mente a nuove scoperte e a nuovi/ comportamenti”(corsivi miei).
Floriano Romboli
. . .
. . . .
. .
Nessun commento:
Posta un commento