BREVI CONSIDERAZIONI SU
LA NOTA IRRIVERENTE
DI
CLAUDIA PICCINNO
Orazio Antonio Bologna,
collaboratore di Lèucade
La
breve, densa e intensa poesia di Claudi Piccinno accompagna il lettore verso
approdi luminosi, dove l’Uomo trova la quiete esistenziale, dopo aver
attraversato e sperimentato, sovente con dolore, le amare traversie e le travagliate
inquietudini della vita. Prendere coscienza della propria identità è un grande
atto di coraggio e traghettare il proprio io sofferente nelle quiete di plaghe
luminose l’uomo deve affrontare sfide titaniche. Il vero uomo è come Ercole e
si pone davanti alla sfida con coraggio, nella consapevolezza di uscirne vincitore,
nonostante qualche ammaccatura o un rivolo di sangue, che sgorga dalla cocente
ferita di qualche insuccesso.
A
ricordare il cammino dell’uomo, disseminato di sconfitte e di rimorsi, di
slanci e di scoraggiamenti, la Poesia riveste un ruolo di primaria importanza,
perché essa sgorga per lo più da un animo, che ha sperimentato le avverse
vicissitudini della vita. L’importante compito paideutico è bene assolto dalla
poesia scarna tagliente incisiva di Claudia Piccinno, che nella Poesia riversa
a piene mani il dramma del vivere nel suo quotidiano scorrere. La Poetessa,
nell’affrontare l’usitato cammino, sembra riecheggiare un aureo sintagma
oraziano, alius et idem: il dolore di oggi, infatti, pur con volto e
sfumature nuovi e, in apparenza, diversi, è lo stesso di ieri, di sempre.
A
superare le innumerevoli difficoltà non basta l’amore, che costituisce il tema
fondante nella produzione lirica di Claudia. Perché l’amore è vero e percepito
in tutte le sue dimensioni, non ostante cocenti delusioni, la Poetessa lo cerca
in ogni istante della vita e vi si abbarbica come a un’ancora di salvezza nello
sconfinato mare del vivere, continuamente scosso da violente tempeste. Nel viaggio
terreno, assegnato a ogni uomo da un fato ora benigno ora crudele, l’uomo
attraversa momenti felici, cui per una tremenda e terribile nemesi succedono
giorni, nei quali la lama tagliente del dolore trafigge il cuore, strazia
l’anima, annienta il pensiero.
Nella
densa e pregnante silloge Claudia canta senza mezzi termini le crude e violente
ferite, che il suo cuore di donna, di donna innamorata, ha dovuto soffrire e sopportare
con coraggio, a fronte alta, fiera del suo indomito carattere e orgogliosa di
essere donna. Letta sotto questa ottica triste e umiliante per l’essere umano,
la silloge diviene il diario, uno sfogo personale, nel quale la Poetessa riversa
le amare e deludenti riflessioni sull’Amore, il dono più bello e più grande,
che la natura ha posto nel cuore dell’uomo. Ma l’Amore, come dovrebbe essere
considerato e vissuto, non è inteso allo stesso modo da tutti, perché alcuni, e
sono, purtroppo, la stragrande maggioranza, non educati all’abnegazione e
all’altruismo, ai limiti di sé e al rispetto dell’altro, alla comprensione e alla
riflessione, considerano amore solo ciò che torna utile e appagante al loro
egoismo, al loro tornaconto, al loro edonismo.
La
Poetessa denuncia apertamente le violenze subite da tutte le donne, i
tradimenti sopportati, le bugie laceranti da parte di uomini mendaci, i quali
non cercano la donna come compagna di vita, come madre dei loro figli, come anima
gemella per affrontare insieme le traversie della vita e godere insieme le
intime gioie della donazione sincera e completa. La sua voce diventa la voce di
tutte le donne, che nonostante il brutale accanimento della sorte, lottano a
denti stretti, superano le avversità, sfidano con animosità il dolore,
denunciano con coraggio le angherie fisiche psicologiche morali. E si presentano
al lettore, attento a problemi non ancora del tutto risolti, come donne coraggiose,
che mediante la scrittura poetica denunciano i mali e i soprusi, che affrontano
a testa alta, sicure di sé e della vittoria. Non ostante le certezze nel
proprio coraggio, viene loro in mente l’aureo detto latino frangemur non
flectemur e preferiscono spezzarsi, scomparire, non piegarsi.
Più
che diletto e piacere della Poesia i versi della Piccinno costituiscono un
motivo di meditazione, di riflessione, di impegno morale più che sociale sulla
condizione della donna nella società attuale, la quale con spocchia vanta solo
fatui progressi nei riguardi della donna, considerata da una larga fetta di uomini
non solo inferiore, ma addirittura strumento di piacere da mettere da parte
quando diventa scomoda e non serve più a soddisfare gli istinti più brutali.
La donna si innamora come l’uomo e, considerata
la sua persona soprattutto sotto l’aspetto psicologico, forse più dell’uomo,
perché vive e percepisce l’amore soprattutto nella sfera del sentimento, al di
là del piacere fisico. Ha una sensazione diversa, più ampia, più completa e
diretta dell’amore, che col soddisfacimento fisico conduce alla maternità. A
questo aspetto, naturale percepibile al primo impatto, nella donna si aggiunge
un moto spirituale, ignoto all’uomo. Perciò Claudia nella lirica La luce nei
tuoi occhi può scrivere:
Hai illuminato la mia notte buia
con i tuoi sguardi luminosi
eloquenti caldi diretti
spazzando via decenni
di non cuore
con la luce che brillava
nei
tuoi occhi.
Par di
leggere in questi versi sgorgati spontanei e dirompenti dal cuore di Claudia
l’innamoramento di Medea, quando vede Giasone a corte, mentre parla con suo
padre. Medea, per amore del suo uomo, non esita a mettere in atto le sue doti
intellettive più sottili e, alla fine, a uccidere suo fratello e a ridurlo in
pezzi, perché il padre, inseguendola mentre fugge con Giasone, per raccogliere e
comporre i resti del figlio, non la possa raggiungere. Ma Medea, dopo aver dimostrato
in molti modi il suo vero e grande amore al suo uomo, viene tradita e
abbandonata. E si vendica, secondo la versione accolta da Euripide.
Anche
Claudia piange sul vero amore, che ha più volte acceso la luce nei suoi occhi,
ha suscitato i più vivi e travolgenti palpiti nel cuore, ha portato alla luce i
fremiti d’una donazione completa e totale. Ma presto l’incanto finisce e la
donna cade nel baratro della disillusione. Alla luce subentrano le tenebre, ai
puri fremiti dell’amore si sostituisce la rabbia per essere stata solo
strumento di procreazione, agli intensi sguardi di complicità vogliosa nei
dolci momenti d’intimità prende posto la solitudine, la tristezza, il grigiore
di un’esistenza senza senso.
La
Poetessa davanti a questo tracollo reagisce, raccoglie le sue forze e lotta
come un leone contro le avversità, che a ritmo vertiginoso si abbattono sul suo
capo. Passare in rassegna i decenni / di non cuore, quando giorno dopo
giorno la donna vive alla riscoperta del
compagno di vita, non è agevole: si insinuano nell’animo timori e speranze, a momenti
di certezza si subentrano lunghi periodi di titubazioni e turbamenti. In un
denso lessema Claudia racchiude il tormento e l’incertezza dell’adolescenza,
durante la quale la donna, mentre avverte e tocca con mano il prepotente e dirompente
sviluppo del suo essere fisico, la sua psiche comincia a presagire i palpiti
della maternità, cui è potenzialmente proiettata.
Questa lenta, ma inesorabile, metamorfosi
nell’animo della donna porta con sé un concetto dell’amore intimo sentito
partecipato. Per questo suo particolare essere avverte l’amore sotto una
dimensione, che trascende i limiti del gesto materiale e la proietta nel mondo
del divino, nell’arcano mistero della maternità e della vita. Perciò, quando si
sente trascurata tradita abbandonata, presta la sua voce alla madre di un assassino
e nella lirica Addio stellina mia può gridare forte e denunciare la
viltà e la vigliaccheria di quel compagno senza cuore, il quale con un gesto di
inaudita ferocia ha osato uccidere la donna, un essere dotato dalla natura di
vita, di autonomia, di libertà:
Rinnegata
vilipesa
tradita
infangata
calunniata
uccisa
se
questo è amore …
In
questa breve ma lacerante pericope è racchiuso il dramma interiore della donna
ferita nel suo essere persona, capace di donare e di ricevere amore. Come
Medea, per tornare al mito, si pone fiera davanti al suo uomo e gli rinfaccia
quanto di peggio abbia potuto commettere. La riflessione, come la lettura, non
ammette reticenza, perché ogni verso, ad arte costituito da una sola parola,
scende come un fendente nell’animo del fedifrago e vi infligge ferite
difficilmente rimarginabili. Sono le ferite, che ogni lessema rievoca nel suo
animo di donna straziata dal dolore.
La
chiusa, seguita da eloquenti punti di sospensione, oltre a continuare la
riflessione che va al di là delle parole, richiama alla mente il titolo della
straziante biografia scritta da Primo Levi, Se questo è un uomo. Il paragone
non è casuale, perché la condizione della donna, ridotta nell’abiezione
dell’umiliazione, non differisce molto da quella, che si riscontrava nei campi
di sterminio nazisti.
Un
uomo, che, dotato di ragione e sentimento, infierisce in questo modo contro la
donna, chiunque e qualunque essa sia, osa perpetrare siffatte atrocità,
infrangendo le norme fondamentali del vivere civile, ribaltando sotto l’aspetto
ontologico il titolo di Primo Levi, si può davvero dire se questo è un uomo.
Una belva siffatta non è degna d’essere annoverata nel consorzio umano, perché
nell’ingannevole involucro esterno cela il male più atroce, che in una società
fiera per aver raggiunto il rispetto della vita umana, lo spinge a comportarsi,
come il bilico Caino.
Considerata
sotto questo aspetto la proteiforme poesia di Claudia Piccinno spinge necessariamente
e volgere lo sguardo sull’antropologia del nostro tempo, nel quale il maschio
nei confronti della donna si sente ancora conquistatore spietato, possessore esclusivo,
padrone assoluto. È, questo, un modo di essere ancora molto diffuso, il metro,
col quale il maschio si pone davanti alla femmina solo in vista del proprio
tornaconto, orientato al soddisfacimento temporaneo degli istinti bestiali. A
niente vale la cultura, della quale un essere siffatto osa fregiarsi. Alla
violenta denuncia di Claudia bisogna aggiungere che la donna oggi è astutamente
collocata su un bema d’argento, dall’alto del quale spadroneggia, si ammanta di
meriti fittizi, si sente protagonista del vuoto che la circonda. La donna,
soprattutto se avvenente, in forza di una presunta eguaglianza di ruoli, è
spregiudicata aggressiva violenta. Non si accorge o non si rende conto che non
è stata mai usata e abusata come oggi, ritenuto, a torto, sotto l’aspetto
civile più avanti del recente passato, considerato buio e oppressivo.
Per
descrivere il suo stato d’animo Claudia usa il verso libero, più consono
all’immediata denuncia della spietatezza e della violenza. Il sentimento vilipeso
e tradito passa incontaminato sulla pagina nel flusso incessante, ravvivato
dall’io cosciente, che all’offesa reagisce con la Poesia. Par di leggere, anche
se in condizioni diverse, il lamento di Enedhuanna, costretta ad andar via
dalla sua casa e a vagare nel deserto, in attesa di ritornare alla sua dimora.
Le
liriche sia singolarmente che nel loro insieme mostrano l’animo forte e
combattivo di Claudia, nella quale si avverte l’acerba, e pur attuale, costatazione
di Giovenale, indignatio facit versum, i versi sono dettati dallo sdegno,
dalla rabbia per aver subito nel suo corpo e nella sua psiche le violenze più efferate.
La poesia della Piccinno, però, non sono solo
invettiva e denuncia di soprusi subiti dalle donne, ma anche riflessione sulla
caducità della vita, che necessariamente arriva al suo traguardo finale, come
scrive nella struggente lirica, A novembre:
a novembre si parla coi defunti
si osserva il rito del ricordo,
la natura ascolta guardinga
il mio peregrinare tra le tombe
e l’upupa ride sommessa.
Lei lo sa che cerco invano
voci e volti tra le zolle,
il suo verso mi dice
di
cercare altrove.
Il
tema del cimitero e dell’upupa, che si aggira tra i sepolcri, non è nuovo,
perché ha dato vita a uno degli immortali capolavori della letteratura italiana,
Sui sepolcri di Ugo Foscolo, cui allude Claudia nella ricercata e innovativa
variatio verbale. Nel giorno dei Morti, secondo una tradizione ormai
inveterata, ogni anima pia e sensibile avverte la necessità di recarsi tra le
zolle silenti, che coprono i resti umani, per venerare la memoria dei trapassati,
nei quali l’uomo di oggi trova le radici della sua esistenza e della cultura,
che ancora serpeggia nella società. Nel ricordo dei propri cari il vivente
trova conforto al proprio peregrinare e spinta a procedere sicuro, nonostante
le procelle si addensino all’orizzonte. I trapassati non parlano, ma col loro
silenzio inviano il messaggio della giustizia e dell’eguaglianza, che nessuno
ancora, a quanto è dato sapere, è riuscito a confutarne la certezza. Nel sommesso
silenzio della preghiera Claudia trova il conforto alle sue pene,
l’incoraggiamento a non arrendersi davanti al male, che il suo simile, il
compagno di vita, gli infligge con gli aculei sottili di un’intelligenza abbrutita
dall’egoismo più efferato.
Di
rado nel florilegio la Poetessa esprime il suo credo nella religione degli avi.
Certamente educata nella religione cattolica non manifesta il suo credo o la
sua fede in modo plateale: alla pratica esteriore Claudia preferisce il
rapporto diretto con Dio nella carità e nella sofferenza del suo dolore.
Dai fugaci accenni, come realmente è,
all’assidua e bigotta frequentazione della chiesa e dei sacramenti, preferisce
aiutare il prossimo bisognoso nella vera e reale dimensione della Chiesa,
costituita da anime che pregano e si aiutano a vicenda. La lirica della
Piccinno richiama, con le lampanti asseverazioni, il testo del vangelo, nel
quale Gesù, condannando una fede affettata e ipocrita, dice: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome,
lì sono io in mezzo a loro». Claudia mette in pratica l’affermazione
di Gesù con la sua abnegazione, come conferma nella lirica, Pendolare dei
cieli, nella quale così apre il suo animo affaticato, ma contento nella speranza
di aver compiuto un’opera buona:
Io
che la domenica
non
andavo a messa
scopro
un’altra forma
di preghiera.
Questi versi, semplici intimi accorati, permettono
una lunga serie di citazioni dai testi sacri, i quali, mentre illuminano la
dimensione umana e spirituale della Poetessa, costituiscono un fardello
difficilmente sopportabile dal lettore poco attento alla questione sociale,
oggi gravemente compromessa dalla struttura stessa della società. Le persone
anziane, considerate un peso inutile e un fardello improduttivo dalla società
incentrata sul consumo, costituiscono il punto di riferimento necessario, verso
il quale l’attenzione di Claudia non viene meno, anche a costo di grandi
sacrifici. La sua, come credente, è preghiera sotto altra forma: è la
preghiera sostenuta dalla carità, secondo l’insegnamento di San Paolo, il quale
così scrive ai fedeli di Corinto: «…
se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la
scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne,
ma non avessi la carità, non sono nulla… La carità è paziente, è benigna la carità… non
manca di rispetto, non cerca il suo interesse».
La Poetessa,
sospinta e sostenuta da questa forza interiore, può con consapevolezza, certezza
e orgoglio aggiungere:
E
non mi pesa questo
peregrinare
se
la ricompensa
è ancora il suo sorriso.
Corroborata
dalle buone azioni compiute con amore dedizione abnegazione, la Poetessa, consapevole
dei limiti umani, rivolge a Dio una calda invocazione di amore e di perdono con
la lirica Amami Dio:
Amami
nella mia imperfezione
e
nei miei errori.
Amami
nella misteriosa inquietudine
che
si sviluppa alle mie radici.
Amami
Dio
in
ciò che ho di buono
e
ancor più in ciò che ho sbagliato
e
liberami da un futuro remoto ingiusto e
immeritato.
In questi versi,
pervasi di umiltà e consapevolezza di propri limiti, Claudi allude in maniera
sottile, quasi impercettibile, alla calda e sentita preghiera, che Catullo,
affranto dal dolore e prostrato per i reiterati tradimenti di Lesbia, rivolge
agli dei:
Si
qua recordanti benefacta priora voluptas
est homini, cum se cogitat esse
pium,
nec sanctam violasse fidem, nec foedere in ullo
divum ad fallendos numine abusum homines
multa parata manent in longa aetate, Catulle,
ex hoc ingrato gaudia amore tibi.
«Se è
fonte di soddisfazione rammentare le buone azioni del passato per un uomo, consapevole
di essere onesto e di non aver mai violato la parola data e non aver mai in
alcun patto violato le promesse, e di non ave mai abusato della sacralità degli
dei per ingannare le persone, per te, Catullo, e per un lungo lasso di tempo
sono riservate molte gioie, nonostante l’amore ti abbia riservato molte ingratitudini».
I due
personaggi, Catullo e Claudia, pur in tempi diversi, vivono un’identica
esperienza amareggiata dall’inganno, dal sotterfugio e dal tradimento;
avvertono lo stesso dramma, per il quale, coscienti di non aver commesso nessun
male a danno dell’altro, si affidano fiduciosi e sereni alla benevolenza della
divinità.
Letta sotto quest’ottica, la lirica di Claudia Piccinno risuona nel deserto di questa esistenza come voce di denuncia e di protesta, di apertura e di comprensione per quanti ancora si industriano a perpetrare offese ai danni di anime candide e indifese. L’auspicio è che la sua voce, come tante, non cada nel vuoto o sia considerata sfogo di vana retorica.
Orazio Antonio Bologna
Una meravigliosa disanima sulla poetica di Claudia Piccinno che con i suoi versi è in grado di entrare nell'anima e nel cuore del lettore fornendogli l'opportunità di profonde riflessioni su se stesso e la vita che gli gira intorno. Complimenti!
RispondiEliminaUn'analisi dotta e profonda che mi onora per l'autorevole opinione e i preziosi confronti, ma soprattutto una disamina empatica per quella veritiera lettura dell'anima attraverso i miei scritti. Io e il professor Orazio Antonio Bologna non abbiamo mai avuto il piacere di incontrarci dal vivo, ma anch'Egli come il Nostro Nazario del resto, riesce a decifrare moti e turbamenti della psiche umana, tra le pagine di una raccolta poetica. Ringrazio entrambi per l'attenzione rivolta ai miei versi
RispondiEliminaIl professor Bologna tesse giustamente le lodi delle liriche della cara amica Claudia e si sofferma sugli aspetti della Silloge e sull'anima umile e immensa dell'Artista. L'esegesi è magnifica, un Esempio per i neofiti come la sottoscritta, e la Poetessa, traduttrice, abile critico letterario riceve un grande omaggio. Sono molto felice per lei e li saluto entrambi con ammirato affetto.
RispondiEliminagrazie carissime Maria ed Elisabetta per l'affetto e la stima ricambiatissimi, sì il professor Bologna mi ha fatto un dono immenso.
RispondiEliminaClaudia