Pasquale Balestriere,
collaboratore di Lèucade
LETTURA DELLA SILLOGE DAGLI SCAFFALI DELLA BIBLIOTECA di NAZARIO PARDINI
GUIDO
MIANO EDITORE – MILANO
Ho
appena finito di rileggere - con l’attenzione che, per tanti motivi, si deve a un’opera di poesia - Dagli scaffali della biblioteca, la più recente silloge poetica di Nazario
Pardini. Ne ho in mano i fili, nell’orecchio la musica, nel petto gli ansiti, nella mente la passione per tutto ciò che è
riferibile alla vita. E negli occhi la policromia, ed anche il respiro, di una natura che mai nei versi del poeta di
Arena Metato è scontata o gratuita, perché invece sempre vibra di fresco e fremente
soffio vitale, fondendosi con tutte le
altre presenze di questo panorama poetico in sinestetica armonia.
Tripartita
- Ricordi che pungono, Dagli scaffali della biblioteca, Dieci poesie
d’amore - , l’opera si apre concedendo il primo posto a un tema molto caro
al poeta, quello degli affetti familiari.
Devo qui osservare, avendolo
puntualmente notato nel corso del tempo,
che questa tematica, certamente
ben presente in tutta la produzione del
Nostro, ha trovato tuttavia più fitta
occorrenza nelle raccolte pubblicate dal 2015 in poi; quasi che in lui si fosse
manifestata un’urgenza, sempre più acuta e non procrastinabile, di svelamento e
testimonianza di momenti e di sentimenti, di cose e persone, di luoghi e di
vicende che hanno segnato, spesso in modo doloroso, la storia della sua famiglia. La quale, con
resa molto icastica,emerge, insieme alla casa che la ospita, già nel componimento incipitario del libro e
della prima sezione”La sorpresa di Natale” dove, quasi in opposizione all’ambiente fisico che un tempo riuniva in sé
il nucleo familiare, si manifesta il seme della sua disgregazione nella
necessità per il poeta “di andare presto alla città / che mi voleva giovane”(pp.
17 e 28). E quei vocativi “ O stanze fredde .... o scaletta ... o finestra ...o familiari stanchi ...o padre,
o fratello, o focolare ... o tutti voi miei cari ...”(ibid.) che altro fanno se non sancire, anche a
posteriori, quell’unità simbiotica tra persone e cose, così indissolubile che a
distanza di svariati decenni spinge ancora il poeta a un non illacrimato
recupero memoriale delle figure parentali e fraterna, oltre che di luoghi e
tempi, anch’essi inesorabilmente accampati nei ricordi? Non è anodina la
memoria, se ha un cuore a sostegno. E che cuore, il Pardini! Dove trova largo spazio la figura paterna,
evocata e rievocata, quasi rubata alla
morte per dialogarci all’infinito, stretta al petto per scongiurare il distacco.
In questo scomparto della silloge, in cui l’amore della famiglia tiene il campo
in modo esclusivo e la casa si trasforma in una sorta di nido pascoliano,
trovano spazio anche componimenti dedicati ai nipoti del poeta, fermo restando
che, qui e altrove, il fulcro della memoria, quello che ingenera in Pardini i
versi più commossi è costituito da una triade di figure scomparse dalla terra e
tenacemente vive nel ricordo, quelle del padre, della madre e del fratello
Sauro. Sono Ricordi che pungono,
proprio come recita il titolo di questo primo blocco di poesie.
Passando
alla seconda sezione del volume, quella eponima, intitolata Dagli scaffali della biblioteca,
trovo molto significativo e illuminante, anche se non inedito, l’espediente
del Nostro di intrecciare, nei modi possibili, un colloquio con alcuni autori
dei volumi della sua biblioteca. Per far questo egli, oltre alle funzioni di
poeta, assume anche quelle di lettore e bibliotecario, termine - quest’ultimo - da intendersi con un’estensione semantica, e
cioè non solo come chi dirige la biblioteca o è addetto al suo funzionamento,
ma soprattutto come possessore e proprietario, condizione esplicitamente
rivendicata in VIII, 1 : “Ma questa non è la mia biblioteca?”. Di ciò, tuttavia, in
seguito. Intanto va subito chiarito che i
singoli testi di questa sezione sono indicati con numeri romani dal primo al
trentesimo. Dopo due componimenti
iniziali (I e II) dal taglio quasi
proemiale, che dicono scene di paesaggio agreste e di vita quotidiana,
concluse con la descrizione di Chagall al cavalletto, intento a riprodurre
sulla tela immagini femminili, l’obiettivo poetico si sposta su un prato dove
sono seduti, accanto al Nostro che fa da
voce narrante, Catullo, Manzoni e Leopardi (III). Il pensiero, per analogia
situazionale, va subito alla dantesca
Valletta dei principi o ai Campi Elisi
virgiliani . Ognuno dei tre recita un suo scritto: ma un temporale improvviso
mette tutti in fuga. Dopo una considerazione, vagamente leopardiana, sulla
totale indifferenza della natura alle sorti umane (IV), il poeta-bibliotecario comincia a
sfogliare pagine di Baudelaire che,
seccato, lo invita a leggersi Platone, lasciato da gran tempo a riposo (V); ma
anche il filosofo lo allontana bruscamente (VI), sicché il poeta tenta
l’approdo a lidi letterari più vicini e familiari, passando all’Inferno dantesco: ma il burbero
fiorentino lo caccia via, minacciandogli una collocazione infernale, tra gli
eresiarchi (c’entrerà per caso il fatto che il Nostro sia un pisano, di quella
città, cioè, che l’Alighieri aveva bollato come “ vituperio delle genti”?)
(VII). Fatto sta che a questo punto il bibliotecario ha tutto il
diritto di chiedersi, indispettito, “Ma questa non è la mia biblioteca?” (VIII).
Non sono quelli i libri ch’egli ha acquistato per desiderio di apprendere? Ma
gli autori vogliono dormire e Platone (il solito!) lo caccia ancora,
rimproverandogli di averlo lasciato a giacere per vent’anni. Per fortuna appare
Catullo (IX) il quale, prima di recitare alcuni versi d’amore per Lesbia
(Vivamus, mea Lesbia atque amemus ...), ne prende le difese, riducendo a semplici contrasti e incomprensioni quella
che fu una tragica (almeno per lui)
rottura. Insorgono gli altri
ospiti della biblioteca che offendono Catullo (il quale intanto si è già
ritirato nelle pagine del suo libro), anche con un appellativo tipicamente italico.
Tuttavia Manzoni, con sagge parole, riporta la calma. A questo punto
un vecchio quaderno dal volto triste si propone per la scrittura: le sue
pagine sono sole e abbandonate; non vorrà il poeta-bibliotecario riempirle, raccontando una storia? Allora
l’atmosfera si fa mitica, fiabesca; perché prende vita la vicenda “di un re e
una regina che non vollero / sedersi sopra il trono, ma pazienti / si dettero
al lavoro per i campi” (X, 12-14). I versi s’accendono di tinte decisamente autobiografiche,
si vestono di note liete, si spengono infine nella tristezza della fine; e il
quaderno è soddisfatto di contenere “una fiaba emozionante / da recitare a chi
viene a trovarmi” (ibid., 78-79). E ora, come per magia, dopo tanti rifiuti e
quasi a rompere il ghiaccio, ecco proporsi
D’Annunzio (XI), uscendo dalle pagine de “Il piacere”: recita versi
dalle “Laudi” e invita il bibliotecario a salutargli quei luoghi della Versilia
che gli fornirono alta materia di canto. Ha inizio qui una serie di richieste
da parte degli autori che escono a turno dai libri che hanno scritto o in cui
sono contenuti. Saba (XII), per esempio, ne fa più d’una: “mi batté sulla spalla per portarmi /a
sfilare dal gruppo la sua voce” (vv. 4-5), cioè chiede spazio; poi: “Fa’ che
questa mia canzone vada in giro / fino a Trieste a ritrovare i luoghi / dove
abitai con mia moglie Lina” (vv. 22-24);
infine “ Vorrei tanto che tu
potessi andare / a visitare la città natale / recitando i miei canti ... (vv.
40-42) e “ Se vai laggiù, ti prego, / porta dei fiori freschi sulla tomba /
della mia amata” (vv.47-49). Pavese invece, dopo aver lamentato di essere stato
letto poco, dice di sé e del suicidio; poi si limita a chiedere. “... se tu
puoi, / va’ sulla tomba del mio grande padre, / portagli dei fiori a nome mio /
e digli che da quando mi ha lasciato / non ho più avuto bene” ( XIII, 31-33 ).
Anche Vincenzo Cardarelli, dopo aver letto alcuni versi dedicati alla Liguria,
rivolge la sua richiesta al bibliotecario: “ Voglio soltanto che girino a casa
/ questi miei versi; e possano vedere / che Nazareno poi non era male. / Teli
affido in consegna. Falli andare” (XIV, 52-55 ). Mentre tra gli scrittori ospitati in libreria
si svolgono confusi conversari, dal volume dell’ “Allegria” viene fuori “la voce rauca e un po’
sgraziata” ( XV, 9) di Ungaretti che
declama la sua notissima poesia sulla madre, poi dice di sé, della sua vita e
di alcune sue scelte, dice ancora altri suoi pochi versi e infine chiede al
bibliotecario di leggere le sue poesie a Lucca, dove ritorna spesso la sua
memoria. Dopo di lui, in ordine, vengono
alla ribalta Francesco Pastonchi (XVI), che propone brevi stralci dei suoi “Endecasillabi” e
prega il poeta-bibliotecario di andare a leggere suoi versi sulla tomba della
nonna; ancora Saba (XVII), che si lamenta di essere stato tolto dal suo posto dove vuole ritornare per
stare vicino a Leopardi, con il quale ha stabilito un buon rapporto; e Attilio Bertolucci,
lodato da Carlo Bo per la purezza del suo canto; e Giuseppina Cosco, di minor
fama, ma d’ispirazione tersa e delicata; e Giorgio Caproni (XVIII), che parla della
madre, recita una stralcio di componimento
risonante di echi cavalcantiani a lei dedicato, del quale - anche lui !-
chiede lettura sulla tomba di lei. Poi
(XIX) una voce diffonde armonia di poesia in tutto l’ambiente: è Campana che,
invitato ad uscire dal libro, parla di sé
e della sua vicenda umana e poetica.
Che Sibilla Aleramo (XX) gli giaccia accanto in biblioteca sembra
essere la cosa più naturale per le note vicissitudini sentimentali e artistiche con il poeta
di Marradi che ancora la fa sospirare.
In quest’atmosfera piuttosto mesta irrompe
il satirico Trilussa (XXI) che,
con giocosa ironia, spera “ tanto / di riportare un po’ la barca in
pari”. Desta perciò una qualche
meraviglia il fatto che, dopo tanta leggerezza sia pure con coda gnomica, si
materializzi nella rappresentazione la figura seria e grave di Ugo Foscolo
(XXII), poeta dal forte sentire e dalla sofferta esperienza umana, cultore
della bellezza, che fece delle
“illusioni” motivo di vita e di poesia. Poi,
quasi come intermezzo, la visita di un amico, con il quale il
poeta-bibliotecario discute di arte, poesia e letteratura (XXIII): incuriositi, gli ospiti della biblioteca escono dai loro
libri, vi si siedono sopra e ascoltano la
conversazione, esprimendo poi per bocca di Leopardi, D’Annunzio e Ungaretti
opinioni diverse sull’Ermetismo e sulla
poesia del Novecento (XXXIV). Ma già si
diffondono per la stanza i versi di “Meriggiare pallido e assorto” (XXV), che
viene proposta per intero da Montale, il quale aggiunge qualche notizia di sé
per poi ritirarsi “mesto e fugace” (v. 44
) tra gli altri autori. A questo punto il poeta-bibliotecario tenta di inserire
suoi versi tra i volumi di Montale e di Ungaretti e spera di essere accolto tra
gli altri poeti. Ma arriva la ripulsa di Montale: “imbarbarito”, chiede al bibliotecario di
toglier via i versi dell’intruso, che è poi il bibliotecario stesso nelle vesti
di poeta (ma Eugenio lo ignora), sistemandolo altrove, magari vicino a Dante
(XXVII). Per fortuna Saba, gentile e
disponibile, apre all’ospitalità (XXVIII).
È infine la voce di Quasimodo (XXIX), del quale sono riportate ben tre poesie, a dire versi di dolore per il disastro della guerra e per “ i morti
abbandonati nelle piazze” e a difendere la sua poesia. Qui (XXX) il poeta-bibliotecario decide di interrompere
il suo dialogo con gli autori presenti nella sua biblioteca “per rispetto di
quelli che restavano / muti nelle loro impostazioni / per timidezza o perché
riluttanti / a mettersi in mostra ...” (vv. 2-5) Si ribella a questa scelta
Sergio Solmi che, quasi d’imperio, legge una sua poesia e si rituffa “ stizzito
nel suo libro” (v. 28). Chiusi i battenti della biblioteca tra le proteste
concitate degli autori trascurati, il bibliotecario non fa in tempo a chiudere
la porta della stanza che “una voce in
sordina” (v. 34) - individuabile facilmente dal lettore non distratto come
quella del poeta Pardini, acco(r)datosi
in extremis ai grandi - comincia “ la
sua lettura / di dieci poesie sull’amore” (vv. 40-41).
Prima
di passare oltre è opportuno notare come il poeta pisano , inserendo, in una
sorta di ampio citazionismo, stralci o interi blocchi di versi di autori famosi in un contesto lirico di sua creazione, abbia operato
dei veri e propri innesti poetici, fecondi di sviluppi, di considerazioni e di
spunti significativi, da qualsiasi punto di vista li si consideri. Poesia nella
poesia o, se si vuole, una sorta di metapoesia, che si realizza in ideale
dialogo tra il nostro agricola di penna e gli scrittori da lui convocati a
questo appuntamento memoriale.
E
siamo ormai nella terza sezione, contraddistinta dal titolo Dieci
poesie d’amore, nella quale la narrazione poetica ritorna in prima
persona, riappare ( e come potrebbe essere altrimenti?) lei, Delia, che occupa
sette poesie su dieci. C’è poco da fare: l’io poetante ha eletto - da tempo - questa figura femminile a simbolo di bellezza
e di giovinezza, a segnacolo d’amore. Poi, repentina e perfino lacerante, l’invocazione al padre ma infine il cuore si acquieta nello
spettacolo della natura e della bellezza.
Alla fine della lettura del terzo e ultimo segmento del libro applaude
un certo numero di poeti, ma c’è anche chi muove critiche; sicché anche
l’ultimo autore si ritira, soddisfatto del posto che gli altri hanno a lui
riservato, vicino a Catullo.
Qui
s’arresta una penna finora prevalentemente esegetica, data cioè
all’illustrazione, piuttosto distesa,
del contenuto dell’opera, per lasciare
spazio a qualche notazione più specificamente critica.
Cominciamo
da Delia, la figura più importante della poesia pardiniana. Vale la pena di
indugiarci un po’per dire preliminarmente che, se pure è vero che il nome
richiama immediatamente l’immagine della
donna amata da Tibullo, è altresì lampante che le due figure femminili poco
hanno in comune, oltre il distacco volontario dall’amato; ed anche la militanza
d’amore pardiniana è diversa dalla militia amoris tibulliana, anche se,
probabilmente, per entrambi dura una vita. Innanzitutto, a mio parere, nella poesia di
Pardini, Delia è pseudonimo che indica una
persona realmente esistita; e che da qualche parte vive ancora, anche se, ormai madre di figli e magari nonna, sfiorita e appesantita, non ha più nulla di quella fanciulla che
incendiò il cuore del poeta; il quale, quando la rivede, afferma “ Era
malmessa, / non aveva più niente del mio sogno” (“Il sorriso del mare”, vv. 13-14). È chiaro, dunque,che il poeta, a
“questa” Delia, diciamo così, fisica, non ha da dire più nulla; molto invece ha
da comunicare all’altra Delia, che ormai vive solo nella sua poesia e dentro le
sue memorie, come, per fare un esempio, si può vedere ne “Il ricordo di Delia”,
eco felice e suggestiva de “La tessitrice” pascoliana. Eppure quel suo ostinarsi
a inseguire Delia rivela solo il conato, ansioso e forse anche apotropaico, di tenere ancora in pugno i miti
della bellezza e della giovinezza,
dell’amore e della purezza, di cui questa ninfa ha il privilegio di essere
simbolo e stigma. Del resto il lettore attento e fedele della poesia di Pardini
non certo ignora che questo personaggio femminile appare, in modo cospicuo, già nella prima silloge pardiniana (Foglie
di campo, aghi di pino, scaglie di mare , L’Autore Libri Firenze, 1993,
FI) e percorre in forma palese o velata
quasi tutte le altre opere, e sono ormai tante, del poeta di Arena Metato,
adergendosi a personaggio femminile preminente, se non quasi unico, di tutta la sua produzione in versi. Delia è
compagna fedele perché creatura della memoria. E, con qualche presunzione, penso di
poter far luce su un dubbio, a mio
avviso solo apparente, espresso dal poeta quando nella silloge Di
mare e di vita scrive ,
riferendosi a Delia “ ... non so se il
grande, / ma certo il primo amore.” ( “Il
primo amore”, vv. 40-41), affermando che primo e grande è stato senz’ombra di dubbio questo specialissimo sentimento per questa
specialissima ragazza. Perciò il ricordo di Delia va letto come memoria e
rievocazione della gioventù, come incanto e grazia; e un po’ anche come nostalgia
e rimpianto. Delia è l’Eden, mai definitivamente perduto, e insieme l’Eunoè,
che ri-crea con il ricordo; e gratifica, placa e illude il cuore.
Qualche parola va spesa anche per la tecnica di
scrittura, nella quale sono ravvisabili due piani narratologici ben definiti ( è noto
infatti che la poesia di Pardini si piega
spesso a una declinazione narrativa, e a volte in modo accentuato): sicché, mentre in Ricordi che pungono la figura dell’autore/scrittore e quella del
poeta/narratore si sovrappongono e coincidono, sviluppando la tematica più
frequentata dal Nostro, cioè quella memoriale, affettiva e rievocativa, nella
sezione Dagli scaffali della biblioteca
è invece evidente una doppia presenza, quella di un narratore esterno o extradiegetico che si differenzia, a volte vistosamente, da
un narratore interno o intradiegetico, rappresentato dal poeta/bibliotecario, soprattutto -ma non solo-
quando riempie, come si è visto, il quaderno che si era offerto alla sua
scrittura; e ciò consente al narratore esterno ed anche all’autore di non essere coinvolti da
posizioni, giudizi, preferenze o semplici pareri espressi dal poeta/bibliotecario. In questo senso, anche il numero delle
occorrenze degli autori della biblioteca (tre per Saba, due per Leopardi, D’Annunzio,
Ungaretti, Manzoni, Platone, Catullo;
una per tutti gli altri, e cioè Dante, Baudelaire, Pavese, Cardarelli,
Pastonchi, Bertolucci, Caproni, Campana, Sibilla Aleramo, Trilussa, Foscolo,
Quasimodo, Solmi) che, in un modo o nell’altro, vengono alla ribalta, e lo
stesso spazio che a loro è concesso, non necessariamente rivelano o definiscono
con precisione le preferenze dell’autore né stabiliscono in alcun modo classifiche.
Intendo chiarire che, sebbene Saba goda di ben tre occorrenze e a Quasimodo sia concesso,
nel lacerto poetico che lo contiene, di recitare tre poesie, cioè più di tutti
gli altri, ciò non indica per nulla
preferenza o predilezione di quelle figure, a scapito del resto della
schiera, da parte dell’autore fisico,
ossia di Nazario Pardini.
Un’osservazione
s’impone sul linguaggio e, in generale, sugli strumenti espressivi. Qui e nelle
ultime pubblicazioni, l’autore sfonda le barriere del cosiddetto poetico, per
darsi in più occasioni a una vena
prosastica, al fine di scendere fino al cuore della verità , quantunque scabra
e magari dolorosa per via di recuperi memoriali: per renderla poi,
redenta, nobilitata e sublimata di
passione creativa, in forma e forza di
poesia; uno straripamento oltre i normali canoni e i consueti registri
poetici, dovuto alla lunga e sapida milizia nel campo della poesia e al
tentativo di ampliarne territori, forme e strumenti comunicativi. Il fatto, in
sintesi, è che il Nostro non solo non si
perita di evitare l’incontro con la prosa,
attingendo largo al parlato, ma, redimendo l’una e l’altro, li riduce
in poesia, con il soccorso di un sentire
ampio, profondo, commosso, complesso e
con la nota perizia tecnica; in tal modo rendendo quasi tattili i sentimenti e
le situazioni rappresentate. A ciò lo aiuta il fluire di un ritmo
prevalentemente endecasillabo, interrotto spesso da settenari e quinari, raramente da
alessandrini: versi perfusi di toscane sonorità e di una naturale purezza
linguistica, di suggestioni ed echi
attinti da un’opulenta cultura personale.
C’è
davvero tanto in questa silloge. E certo sono da menzionare le incursioni
autobiografiche, a testimonianza dell’età
felice e mitica della fanciullezza e poi dell’adolescenza con i fratelli Sauro
e Saverio, con la presenza saggia e
fattiva dei genitori, nel nido caldo e protettivo della famiglia, di cui in
parte s’è detto; e c’è anche l’implicita datazione dell’opera al tempo del coronavirus “... alla barba di un virus
traditore”, verso finale del
componimento “A mio fratello Saverio e
Graziella” ( p. 29), come a voler definire i “dintorni” cronologici dell’opera
che, pur venuta alla luce in un tempo
malcerto e periglioso, non lesina certo fascino e grazia.
Per
concludere, Pardini ha da tempo indirizzato il suo spirito poetico verso un
filone diegetico, che investe e coinvolge, adducendoli alla propria necessità
creativa, i già citati e ben noti temi ricorrenti nei suoi versi. La presente
silloge, però, ci offre un ulteriore
tassello a corredo di una conoscenza più adeguata del nostro poeta. Se infatti
il proporsi alla lettura degli scrittori (defunti) della biblioteca niente
altro rappresenta se non aspirazioni o
aneliti di vita, sia pure memoriale, è
evidente che il Nostro, cercando di ottenere un posto in biblioteca, aspiri,
nel tempo, a questa condizione: egli in
effetti opera una specie di transfert o
di immedesimazione negli scrittori passati, nel senso che, dietro la loro
richiesta di essere letti, si cela, più
o meno velata, la speranza dell’autore nel “non omnis moriar” oraziano, nella
sopravvivenza memoriale possibile attraverso la poesia. Ed è, questa, una
legittima aspirazione di chi scrive non solo per sé; di chi , soprattutto, al
servizio della poesia ha dedicata tutta una vita, come ha fatto Nazario
Pardini.
Isola
d’Ischia, 14 gennaio 2021
Pasquale Balestriere
.
Mi complimento con Pasquale Balestriere per la superba, appassionata esegesi dell'Opera di Nazario Pardini "Dagli scaffali della biblioteca", particolarmente cara al mio cuore. Leggendo la sua recensione, ardente, ricca di lirismo autentico, si ha chiara la sensazione che la Silloge abbia scosso i virgulti dell'anima del Nostro, proiettandolo nella dimensione particolare dell'ultima creazione di Nazario. La disamina è lunga e approfondita. Si sofferma sulle tre sezioni dell'Opera e a livello tecnico è indubbiamente impeccabile. Inoltre viaggia su vari registri, dalla cifra stilistica del Poeta, all'originalità della parte centrale, con citazioni accurate e pregnanti, alle 'dieci poesie d'amore', nelle quali non identifica Delia con una figura della fantasia, ma come una donna realmente esistita, invecchiata ... anche i sogni invecchiano... e ricordata dall'Autore come il simbolo della gioventù. Vorrei saper scrivere pagine come questa. Lo asserisco senz'ombra di piaggeria. Ringrazio Pasquale e Nazario, che ispira tanti illustri amici a identificarsi nel suo incantevole mondo e li abbraccio entrambi.
RispondiEliminaRICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaCaro Pasquale, al contrario di quanto tu temevi, ho letto tutta intera - e lo sai che non lo faccio per molti - la tua piacevolissima recensione che più che tale è un piccolo saggio in quanto contiene anche un sintetico excursus sulla totalità della poesia pardiniana. Perché piacevolissima? Perché, da bravo professore, sei entrato con leggerezza in tutti i dettagli di questa silloge spiegandola in maniera semplice tale da essere capita anche dai “non addetti ai lavori” ossia da tutti coloro che non hanno eccessiva dimestichezza con le figure retoriche e forme metriche. È proprio l'abuso, in questi scritti critici, di tecnicismi a rendere difficoltosa la lettura o perlomeno noiosa. E mi ripeto ancora una volta: la poesia sta morendo proprio perché nelle scuole non esistono più insegnanti capaci di mettere in risalto la profondità o la bellezza di un verso ma si limitano soltanto a ripetere le viete osservazioni che la uccidono come “l'upupa non è un uccello notturno”.
La tua analisi rigorosa, invece, penetra nella scrittura del nostro Grande Vecchio svelandone i più piccoli segreti anche quelli maggiormente misteriosi come il personaggio di Delia - che tu affermi essere veramente esistito - e che è una delle figure chiave più intriganti di tutta la poetica di Nazario.
Mi fermo in quanto non voglio essere proprio io la tediosa commentatrice degli altrui scritti. A te vivissimi complimenti
Carla Baroni
RispondiEliminaNon ho avuto il piacere di leggere questo libro del Professor Pardini, ma le parole del Professor Balestriere mi hanno permesso di affacciarmi su questo mondo di memorie e di immagini, di rimpianti e di sensazioni, e di viverlo seppur indirettamente. La chiarezza e la scioltezza con cui Balestriere ci ha presentato i vari momenti in cui l'opera si articola , ci fa leggere questo saggio così lungo senza il minimo calo di interesse, anzi con una partecipazione via via crescente. Ritrovo nel suo commento la figura di Delia che ho conosciuto attraverso altri libri e che mi ha commossa tanto da rivolgermi a lei in un pizzico di semplici miei versi, Delia che la poesia eleva dalla dimensione del reale a quella incorruttibile del sogno, e vi ho ritrovato il ben noto Poeta dal cuore ricolmo degli affetti familiari . Mi sono chiesta con un sorriso quante volte Balestriere debba aver letto questo libro per potersi muovere con tanta disinvoltura fra le sue pagine e poterci dare un'analisi così capillare ed accurata; ma non è questo quel che più mi ha colpita. Al di là della sua fine capacità di analisi, ho avvertito forte qualcosa che fluisce in tutto questo così accurato scrivere, che scivola sottile ma forte come fili di seta e che è evidente a chi legge non con la sola mente, ma anche col cuore : mi colpisce il legame di affetto che indubbiamente Balestriere prova per Pardini. Questo , oltre la stima per il poeta , oltre l'apprezzamento per la sua metrica, per il suo lessico, per il suo profondo sentire, per la sua capacità di costruire immagini che fanno vieppiù preziosa e limpida la forma , è quello che io leggo : un affetto che raccoglie con cura tutti i vari fili e vigila a che nessuno gli sfugga, e li lega a comporre il tessuto dotto, ammirato e commosso di queste pagine scritte con il tenero orgoglio di un sentimento fraterno.
Concordo col pensiero del professor Balestriere, soprattutto quando afferma che "il ricordo di Delia va letto come memoria e rievocazione della gioventù, come incanto e grazia; e un po’ anche come nostalgia e rimpianto. Delia è l’Eden, mai definitivamente perduto, e insieme l’Eunoè, che ri-crea con il ricordo; e gratifica, placa e illude il cuore." Un saggio molto curato in ogni dettaglio, come merita la Poesia del Nostro
RispondiEliminaConcordo col pensiero del professor Balestriere, soprattutto quando afferma che "il ricordo di Delia va letto come memoria e rievocazione della gioventù, come incanto e grazia; e un po’ anche come nostalgia e rimpianto. Delia è l’Eden, mai definitivamente perduto, e insieme l’Eunoè, che ri-crea con il ricordo; e gratifica, placa e illude il cuore." Un saggio molto curato in ogni dettaglio, come merita la Poesia del Nostro
RispondiEliminaChe meraviglia! Ho qui con me la Silloge e godo di ogni riferimento ad essa e al Nostro Nazario Pardini.Pasquale articola un feedback prezioso e dettagliato che è più che uno studio. Solo un grande Poeta avrebbe potuto leggere il Pardini così: tutto il Pardini in andata e ritorno, pronto per un'altra avventura nella sua bilioteca reale e immaginaria.
RispondiEliminaRICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaPASQUALE BALESTRIERE, con la consapevolezza e la preparazione da anni sperimentata e messa costantemente alla prova torna su "DAGLI SCAFFALI DELLA BIBLIOTECA" DI NAZARIO PARDINI, che ha interessato e coinvolto tutti i lettori più attenti di Leucade.
Ripercorre oltre alle tematiche tipicamente pardiniane- la famiglia, gli affetti, la casa, il paesaggio toscano- ( la figura del padre “rubata alla morte, stretta al petto per scongiurare il distacco” ) l’itinerario storico del Nostro “quasi che in lui si fosse manifestata un’urgenza, sempre più acuta e non procrastinabile, di svelamento e testimonianza di momenti e di sentimenti, di cose e persone, di luoghi e di vicende che hanno segnato, spesso in modo doloroso, la storia della sua famiglia…”, ma anche “quello culturale, individuando nell’invenzione del lettore- bibliotecario che sa inventare una degna conclusione al vecchio quaderno abbandonato con una storia mitica, fiabesca di tinte “decisamente autobiografiche” e compiere degnamente “un ideale dialogo con gli scrittori da lui convocati a questo appuntamento memoriale.”
Una lettura particolarmente significativa è quella del personaggio femminile, la Delia di tutta la poesia d’amore pardiniana, “ simbolo di bellezza e di giovinezza, a segnacolo d’amore. Delia, che ormai vive solo nella sua poesia e dentro le sue memorie,…bellezza e giovinezza, amore e purezza, di cui questa ninfa ha il privilegio di essere simbolo e stigma…. compagna fedele perché creatura della memoria.” E concludere: “Delia è l’Eden, mai definitivamente perduto, e insieme l’Eunoè, che ri-crea con il ricordo; e gratifica, placa e illude il cuore.”
Interessante la rievocazione dei personaggi significativi, i vari poeti, in cui, nota il Commentatore, Pardini opera “una sorta di metapoesia, che si realizza in ideale dialogo tra il nostro agricola di penna e gli scrittori da lui convocati a questo appuntamento memoriale”, ma ancor di più illuminano le osservazioni circa i due piani narratologici ben definiti ( la declinazione narrativa, memoriale e quella del narratore esterno o extradiegetico che “si differenzia, a volte vistosamente, da un narratore interno o intradiegetico, rappresentato dal poeta/bibliotecario,” ) scelta colta, documentata di poesia altrui, che sa poi rendere, “redenta, nobilitata e sublimata di passione creativa, in forma e forza di poesia; uno straripamento “oltre i normali canoni e i consueti registri poetici, dovuto alla lunga e sapida milizia nel campo della poesia e al tentativo di ampliarne territori..”. Particolarmente incisiva, affettuosa oltre che veritiera la conclusione: “il Nostro, cercando di ottenere un posto in biblioteca, …in effetti opera una specie di transfert o di immedesimazione negli scrittori passati, nel senso che, dietro la loro richiesta di essere letti, si cela, più o meno velata, la speranza dell’autore nel “non omnis moriar” oraziano, …possibile attraverso la poesia. Ed è, questa, una legittima aspirazione di chi scrive non solo per sé; di chi , soprattutto, al servizio della poesia ha dedicata tutta una vita, come ha fatto Nazario Pardini.”
Una nota degna ed incisiva.
Maria Grazia Ferraris
Mi scuso del ritardo nel presentare un mio breve commento sulla lunga nota critica ed esegetica di Pasquale Balestriere.Parafrasando E.L.Masters ci vuole poesia per amare la Poesia. Intendo dire che è sempre pericoloso quando un critico si avvicina ad un'opera d'arte. Sia pure in buona fede,sia pure per rincorrere la verità, spesso il critico diventa carnefice sezionando l'opera,mettendone in evidenza tutto:ossa,tendini e muscoli ma lasciando perdere la cosa più importante, la scintilla che ha tenuto in vita e ha animato quel corpo. Non succede per Balestriere che con somma perizia ma soprattutto dimestichezza con la poesia pardiniana si avvicina ad essa scrutandola fin nelle più intime fibra evidenziandone con meticolosa e rispettosa verità gli input i passaggi i cedimenti le rinascite in uno snodarsi di tempi emotivi e fasi cronologiche che spesso sono anche ricorsi storici. Si coglie la commozione, quasi il pathos di Balestriere che è poi lo stesso pathos di Pardini, con in più la preoccupazione di rendere a tutti evidenti i colori di tale pathos. Una sorta di slancio empatico che gli fa percorrere a nostro beneficio i viali e le stradine di un vissuto, quello del Nostro Nazario, che si intreccia con le vite di altrettanti motori d'amore e di affetti, innanzitutto Delia,vera e lontana, concreta ed evanescente, infine ineffabile come tuto ciò che ci imprigiona l'anima per sempre e quanto più cerchiamo di fare nostro, tanto più sfugge alla presa rimanendo nella mente come una nuvola di memoria impalpabile. Non manca Pasquale neppure di umorismo forse, sicuramente di piacevolezza allorché ci presenta una carrellata di Autori,quelli che entrano e escono dalla biblioteca di Nazario come tanti elfi dai boschi. Sicuramente con costoro il nostro Poeta ha intessuto frammenti di vita, colloqui e intese impossibili e talora faticose e struggenti, perché è sempre difficile contenere in sé tutti gli apporti culturali e gli Autori che si sono amati e anche odiati senza sentirsi in colpa quando li si dovessero abbandonare. Per lo stesso motivo non si possono fare graduatorie e lo sottolinea bene Balestriere. Il quale, tuttavia, assegna proprio ad essi il compito di accogliere tra i Poeti immortali Nazario. Ciò avviene apparentemente con una sorta di investitura, ma al posto del sacro bastone c'è un quaderno con voce umana che invita a versificare sulle sue pagine. Balestrere ha colto più che un desiderio una necessità, cioè che Nazario Pardini approdi sul Parnaso, come è giusto che sia per chi ha affinato il suo ingegno al lume dell'esercizio,dello studio,della composizione poetica.Infine gli riconosce una dote che magari sarà anche in contrasto con chi ama la brevitas, ma ha una sua motivazione, cioè quella sorta di contaminatio tra linguaggio poetico e linguaggio prosastico che è un espediente probabilmente allorché il verso non ce la fa a contenere la piena dei sentimenti o l'estro creativo del Nostro. Concludo dicendo che non ho ancora letto la silloge Dagli scaffali della biblioteca di Nazario Pardini ma come lo avessi già fatto, seguendo il ritmo esegetico onesto e accorato al tempo stesso dell'eccellente Pasquale Balestrere. Adriana Pedicini
RispondiEliminaMi scuso del ritardo nel presentare un mio breve commento sulla lunga nota critica ed esegetica di Pasquale Balestriere.Parafrasando E.L.Masters ci vuole poesia per amare la Poesia. Intendo dire che è sempre pericoloso quando un critico si avvicina ad un'opera d'arte. Sia pure in buona fede,sia pure per rincorrere la verità, spesso il critico diventa carnefice sezionando l'opera,mettendone in evidenza tutto:ossa,tendini e muscoli ma lasciando perdere la cosa più importante, la scintilla che ha tenuto in vita e ha animato quel corpo. Non succede per Balestriere che con somma perizia ma soprattutto dimestichezza con la poesia pardiniana si avvicina ad essa scrutandola fin nelle più intime fibra evidenziandone con meticolosa e rispettosa verità gli input i passaggi i cedimenti le rinascite in uno snodarsi di tempi emotivi e fasi cronologiche che spesso sono anche ricorsi storici. Si coglie la commozione, quasi il pathos di Balestriere che è poi lo stesso pathos di Pardini, con in più la preoccupazione di rendere a tutti evidenti i colori di tale pathos. Una sorta di slancio empatico che gli fa percorrere a nostro beneficio i viali e le stradine di un vissuto, quello del Nostro Nazario, che si intreccia con le vite di altrettanti motori d'amore e di affetti, innanzitutto Delia,vera e lontana, concreta ed evanescente, infine ineffabile come tuto ciò che ci imprigiona l'anima per sempre e quanto più cerchiamo di fare nostro, tanto più sfugge alla presa rimanendo nella mente come una nuvola di memoria impalpabile. Non manca Pasquale neppure di umorismo forse, sicuramente di piacevolezza allorché ci presenta una carrellata di Autori,quelli che entrano e escono dalla biblioteca di Nazario come tanti elfi dai boschi. Sicuramente con costoro il nostro Poeta ha intessuto frammenti di vita, colloqui e intese impossibili e talora faticose e struggenti, perché è sempre difficile contenere in sé tutti gli apporti culturali e gli Autori che si sono amati e anche odiati senza sentirsi in colpa quando li si dovessero abbandonare. Per lo stesso motivo non si possono fare graduatorie e lo sottolinea bene Balestriere. Il quale, tuttavia, assegna proprio ad essi il compito di accogliere tra i Poeti immortali Nazario. Ciò avviene apparentemente con una sorta di investitura, ma al posto del sacro bastone c'è un quaderno con voce umana che invita a versificare sulle sue pagine. Balestrere ha colto più che un desiderio una necessità, cioè che Nazario Pardini approdi sul Parnaso, come è giusto che sia per chi ha affinato il suo ingegno al lume dell'esercizio,dello studio,della composizione poetica.Infine gli riconosce una dote che magari sarà anche in contrasto con chi ama la brevitas, ma ha una sua motivazione, cioè quella sorta di contaminatio tra linguaggio poetico e linguaggio prosastico che è un espediente probabilmente allorché il verso non ce la fa a contenere la piena dei sentimenti o l'estro creativo del Nostro. Concludo dicendo che non ho ancora letto la silloge Dagli scaffali della biblioteca di Nazario Pardini ma come lo avessi già fatto, seguendo il ritmo esegetico onesto e accorato al tempo stesso dell'eccellente Pasquale Balestrere. Adriana Pedicini
RispondiEliminaL’esegesi del testo poetico dell’amico Nazario Pardini, Dagli scaffali della biblioteca, fatta da Pasquale Balestrieri, si contraddistingue per la sua completezza e profondità di analisi, oltre che per una vicinanza artistica e soprattutto umana nei confronti dell’autore. Una vicinanza umana e un’adesione al suo modo di concepire la poesia, che ho il piacere di condividere, oltre all’onore di essere ricordato in maniera anonima all’interno del testo, durante un nostro incontro avvenuto proprio all’interno della biblioteca. Il testo di Balestriere offre un’analisi ricca di approfondimenti, completamente condivisibili, a valle della lettura del libro che Nazario mi ha gentilmente donato con affetto e cordialità. Effettivamente, una silloge poetica diversa dalle altre, pur mantenendo molti aspetti tipici della produzione poetica di Nazario. Nella prima delle tre sezioni di cui è costituita, Ricordi che pungono, c’è il recupero memoriale dei luoghi e le figure familiari più care, il padre, la madre, il fratello, della cui perdita la memoria non sopisce il dolore, e la poesia ne fa eterni riferimenti esistenziali. Figure familiari, riferimenti sempre presenti come nella poesia del Pascoli, di cui Nazario è un fervente estimatore. Ma la novità sta soprattutto nella seconda sezione, che dà il titolo alla raccolta, Dagli scaffali della biblioteca, in cui si esprime la genialità creativa del poeta Pardini. Chi scrive conosce bene il piacere di stazionare davanti alla propria biblioteca, mentre si fanno sempre più vivi e più intimi i riferimenti ai nostri autori preferiti. Nazario va oltre, inizia un dialogo con gli autori, un dialogo a volte dialettico, altre volte addirittura di scontro, in un rapporto che da letterario diviene profondamente umano. Un dialogo che evoca la condizione imperitura del rapporto artistico, mista a l’orgoglio, di far parte di questo cenacolo. Ma c’è di più, qui emerge il rapporto dialettico, tra lo scrittore e i suoi personaggi, i personaggi che riaffermano i propri diritti nei confronti di colui che li ha creati. Soprattutto chi scrive di narrativa come me, prova questa sorta di condizionamento dei personaggi del suo romanzo, tentativo a cui resistere, per evitare che loro ti conducano verso percorsi inesplorati, rispetto alla trama che si sta costruendo. È ciò che Balestriere definisce meta testo, in cui è l’autore che è presente, non solo con il pensiero, ma anche con l’azione nella sua stessa opera. E infine l’ultima sezione, Dieci poesie d’amore, in cui Nazario torna a un tema che gli è particolarmente caro, il ricordo di Delia, la donna del grande poeta latino, che meglio di altri ha celebrato l’amore in tutti i suoi risvolti. Si potrebbe pensare che Delia sia, nella poesia di Nazario, un simbolo della donna, mutuato dalla poesia elegiaca, ma non è così. Balestriere ci dà un’interpretazione particolarmente efficacie e pregnante. Delia è una donna reale che Nazario ha effettivamente amato, che solo attraverso il ricordo assurge a simbolo della gioventù, dell’amore, del suo universo femminile. Delia diventa così l’intellettualizzazione del proprio vissuto amoroso. Altra osservazione particolarmente profonda, Balestriere la fa sul piano del significante. Il linguaggio muta da una sezione all’altra, anche dal punto di vista metrico, pur con una presenza frequente dell’endecasillabo intervallato da versi più brevi, una versificazione che ben si accorda allo stato d’animo che vive ogni volta il poeta. Particolarmente significativo è lo stile prettamente narrativo usato nella seconda parte, nel dialogo molto animato con gli autori presenti nella biblioteca. Insomma Pardini e Balestriere ci hanno dato esempi di eccellenza nei rispetti ruoli qui giocati, di poeta e critico, ruoli che appartengono ad ambedue, dimostrandoci, se ce ne fosse stato bisogno, che il critico, se anche poeta, può cogliere più di altri, le profondità che la poesia sa celare in maniera segreta e recondita.
RispondiEliminaComplimenti all'amico, all'eccellente poeta Pasquale Balestriere per la sua disamina dell'ultimo volume di Nazario Pardini. Un'analisi accuratissima che rivela estrema sensibilità poetica, impreziosita dalla profonda conoscenza che egli ha della parola poetica pardiana. Balestriese si sofferma su tutte le sezioni che compongono il libro, entrando con grande attenzione e minuzia di particolari nella seconda dal titolo "Dagli scaffali della biblioteca" di cui si appassiona a tal punto da riprogrammare e ripresentare, a suo modo, i grandi personaggi che scorrono nei versi, annotando poi acutamente l'operazione che compie l'autore del libro ed ossia quella di attuare "poesia nella poesia", in una sorta di Metapoesia che si realizza in un dialogo ideale. Lo sguardo lucido di Balestriere si posa sulla terza sezione del libro dedicando la sua particolare attenzione alla figura di Delia simbolo di donna dolce e amatissima, di giovinezza, figura mitica per Pardini appartenente ad un eden mai del tutto perduto, come lui scrive. La disamina dell'amico Pasquale sul linguaggio pardiano appare formidabile quando egli riconosce quelli che sono i piani narratologici che attraversano il volume: quello dell'autore/scrittore e poeta/narratore che si sovrappongono nella prima sezione memoriale e quello del narratore esterno o extradiegetico. E ancora le sue sono illuminanti affermazioni sullo scritto di Nazario conteso tra vena lirica e prosastica, ma soprattutto mi è piaciuta la sua deduzione di vedere in questa opera l'ambizione nascosta del grande poeta di entrare a far parte della stretta cerchia dei poeti eletti e immortali, di inserirsi, come afferma Balestriere, nel " Non omnis moriar" di oraziana memoria, effettuando, un personale e suggestivo transfert o immedesimazione negli scrittori passati e ormai celebri. Ed è questa, conclude, una sua legittima aspirazione considerando la bellezza della sua parola e tutta una vita dedicata alla poesia, affermazione che io pienamente condivido, sottolineando, il mio pensare su Pardini che ritengo già nell'olimpo dei poeti.
RispondiEliminaCarmelo Consoli
Un'acuta esegesi, questa di Pasquale Balestriere, sull'opera poetica più recente di Nazario Pardini, che non ho avuto ancora il piacere di leggere, ma le cui direttrici portanti vengo a conoscere dalle preziose indagini di molti interpreti, e soprattutto da questa attenta disamina, doviziosa di voli e dettagli di rara perizia critica. Ciò che colpisce particolarmente il sottoscritto, nell'ampio sguardo del noto studioso ischitano, è il richiamo ad una condizione edenica "mai definitivamente perduta", a quell'Eden che è "insieme l'Eunoè, che ri-crea con il ricordo, e gratifica, placa e illude il cuore". L'Eunoè è il fiume di cui parla Dante, che nella mitologia greca ha corso comune con quello del Lete, il fiume dell'oblio. Fuor di metafora, occorre dimenticare il passato, per poterlo far rivivere ancora. La Memoria, dunque, come Rinascita. Ed è l'idea di Platone, che, nel mito di Er, considera la dimenticanza come premessa indispensabile per ogni rinascita. Questo è il vero significato del Memoriale in Nazario Pardini. Non un rifugiarsi nel passato, ma un rinnovarsi nell'oggi dei valori autenticamente umani. E sta qui, probabilmente, quel tentativo del poeta toscano, di cui parla Balestriere, di "sfondare le barriere del cosiddetto poetico, per darsi in più occasioni a una vena prosastica", immersa nell'attualità. "Per renderla poi, redenta, nobilitata e sublimata di passione creativa, in forma e forza di poesia... nel tentativo di ampliarne territori, forma e strumenti comunicativi". Complimenti vivissimi e ad maiora.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Ho letto con piacere l’accurata nota critica di Pasquale Balestriere al nuovo libro di Nazario Pardini “Dagli scaffali della biblioteca”. Il saggio, con vari e dettagliati riferimenti alla vasta Opera pardiniana, contribuisce a illuminarne i tratti distintivi, quei motivi, temi e suggestioni cari al Poeta. Essi, presenti in gran parte della produzione del Nostro, sono qui messi in evidenza con amorosa passione lirica e letteraria. Solo “chi ama conosce”: è evidente come il critico guardi con occhio e cuore di poeta alla narrazione in cui il Pardini reifica i ricordi del vissuto ed apre le porte della sua straordinaria biblioteca. I ricordi pungenti si animano nell’azione simbiotica dei tratti spazio-temporali, affettivi, paesaggistici, filosofici che delineano il “faticoso” viaggio nei “dintorni” della vita. Pasquale Balestriere sottolinea come, in versi “commossi”, il Nostro rievochi i pesi che costituiscono “il fulcro della memoria”. Il Pardini non vuole lasciare quei pesi che pungono ma spera di portarli con sé in una sorta d’immortalità dovuta all’amore della vita, ai segni arati nei campi dell’anima in cui tutto si ricongiunge. Esprimo i mei complimenti a Pasquale Balestriere per avermi aiutata ad entrare nella Biblioteca del Pardini sull’onda della grande cultura accademica del “bibliotecario”. In questa sezione ci si trova di fronte ad un approccio diretto tra il Pardini e gli autorevoli ospiti-padroni della sua conoscenza pregressa, letture amate, libri poco frequentati, consultati, interi brani riportati in una progressione emotivamente incalzante, in un linguaggio a volte irrompente in versi straripanti, oltre la metrica canonica, e piacevolmente teatrali.
RispondiEliminaIl Pardini obbedisce all’entusiasmo della versificazione, ci coinvolge nella narrazione, ci fa assistere ad uno spettacolo policromo. Avendo letto il libro del Pardini, confesso che il riferimento alla mole degli Autori chiamati in causa, mi aveva fatto “tremare i polsi”, al pensiero di misurarmi con l’estensione di una semplice nota. Imparare da un grande come Pasquale Balestriere è un onore, un regalo offerto da Lèucade: non è questo forse l’approdo cui tendiamo? Apprendere, conoscere. Non è dalla cultura letteraria di cui Nazario Pardini è alfiere nella sua poderosa biblioteca, che si impara a scrivere?
Nei “dintorni dell’amore” c’è sempre Delia della cui esistenza reale il Balestriere è convinto assertore. Senza dubbio il tema ha attraversato tutta l’Opera del Nostro. Non è un modello letterario, ma uno dei ricordi che pungono, un ritorno continuo alla giovinezza che Delia impersona con la sua grazia e il suo richiamo sempre vivo, la rappresentazione del primo approccio con la divinità femminile, la Musa dell’Amore. Il pensare oggi a Delia appassita e sciupata dal tempo trascorso, si inquadra non tanto nella “caduta delle illusioni” quanto nel realismo di cui il Pardini è maestro. E ciò contro il parere di quegli sparuti e disinformati detrattori della poesia in genere che vedono, nella poetica del Nostro, un tratto di recupero del passato, una soggettivazione che dovrebbe essere abolita.
Bene, gentile pasquale Balestriere, questi sono gli argomenti che la lettura del saggio ha scatenato in me, emozioni belle e una sincera voglia di mettermi al lavoro.
Ringrazio Nazario Pardini e Pasquale Balestriere per questo spazio di riflessione.
Marisa Cossu
Meravigliato e commosso da tanti e così qualificati commenti, ringrazio cordialmente Maria Rizzi, Carla Baroni, Lidia Guerrieri, Claudia Piccinno, Patrizia Stefanelli, Maria Grazia Ferraris, Adriana Pedicini, Franco Donatini, Carmelo Consoli, Franco Campegiani e Marisa Cossu. Grazie innanzitutto per la pazienza di leggere un così lungo scritto su un libro che alcuni di voi neppure possedevano, grazie anche di aver discusso sull'argomento adducendo osservazioni, motivazioni, spunti interpretativi ed elementi di giudizio che hanno gettato ulteriormente luce sul libro e sul poeta. Siete stati preziosi.
RispondiEliminaE grazie pure per le gratificanti parole che avete avuto per Nazario e per me.
Un cordiale saluto a tutti
Pasquale Balestriere