Sandro Angeluci, collaboratore di Lèucade |
In questo libro la poesia di Nicola Romano è – mutuando un termine che appartiene alla musica – un crescendo che raggiunge, proprio sul finire, il suo apice.
Sì, perché lì, sul concludersi, si attua
in modo definitivo e chiarissimo il senso più riposto dell’intera sua poetica;
lì si trova ciò che fino a quel momento, forse, non si era interamente
ultimato; lì erutta il vulcano dopo aver tenuto nella fornace del suo ventre la
lava che ora esce – come una bomba di luce e di fiamme – e fertilizza, lungo la
sua colata, ogni centimetro di terra che incontra.
Il riferimento al genere musicale è,
quanto mai, appropriato in quanto l’armoniosità eufonica del dettato è fin
dall’inizio evidente e costituisce l’elemento-chiave intorno al quale, e con il
quale, l’autore dà vita alla creazione dei versi, dei loro significati e dei
loro significanti. Incominciamo ad ascoltarne alcuni, allora, cosicché risulti
subito tangibile quello che ho appena asserito circa la sonorità ed il suo
farsi portavoce prima e traduttrice poi dell’anima e dei sommovimenti che la
scuotono e l’inquietano, ma anche la rasserenano.
Da Un
battito di ciglia (p. 22):
……
Usciremo
comunque
dalla
corsia di marcia
un
giorno o l’altro
usciremo
dai moti circolari
e
dai quaderni
scritti
controvoglia.
Ritroveremo
poi
un
battito di ciglia
nell’androne.
Nei primi due, dei versi qui riportati,
la sbandata è evidentissima. Ed altrettanto lo è l’ineluttabilità che la stessa
sarebbe in ogni caso avvenuta. Lo stralcio citato è paragonabile ad una
sferzata: quella che si dà al cavallo per spronarlo a prendere il galoppo.
Ma non fermiamoci, andiamo avanti con
l’ascolto dei singulti: “Sono la notte
orfana di luna / quando le nubi ipocrite / spalmandosi sui tetti / tappano i
bei lucori al firmamento”, e ancora: “…Ha
l’umido negli occhi la poesia / come le arcate gelide dei ponti /…. / E resta
come becco senza nido / se poi la gente / fugge le sue rime / e le fa compagnia
soltanto un cane”, ma nondimeno con quello dei respiri a pieni polmoni: “Mi tiene vivo / la magnificenza unica del
mare / il tramestio pacato della rada / quando quell’onda docile e cremosa /
s’allunga alla bonaccia / come s’incurva un braccio / sulle clementi spalle
dell’amico” – “…vorrei capire il nesso / se Parigi mi torna / dentro gli occhi
/ come un’amante / sacra ed infinita / a ricordarmi quando / sur le sièges du
bateau / presi per mano te / e la Senna intera”.
Mi sembra superfluo ribadire e
riconfermare quanto siano musicali questi versi e tuttavia – repetita iuvant –
lo faccio per la ferma convinzione, che ho, che tutto, in Romano, passa
attraverso il vaglio e la convalida del canto. Ed è un placet, un lasciapassare
di cui la poesia, la vera poesia non può fare a meno.
A favore di quest’ultima asserzione non
posso non convocare per intero la lirica che segue:
Senza
rumore (p. 32)
Impercettibilmente
avanza
un divenire
è
il creato che cresce
senza
fare rumore:
germina
un seme
e
rompe la sua scocca
un
bimbo sugge vita
avvolto
dal suo grembo
un
rivolo di roccia
si
promette a un ruscello
il
sole intiepidisce acini e drupe
la
linfa lentamente
s’incorolla
l’aorta
irrora il covo dei pensieri
e
la tana scandisce
i
tocchi d’un letargo
e
non sei solo
Come si fa a non chiamare in causa
questa poesia? È, la stessa, la prova che il linguaggio poetico può assurgere a
vette elevatissime se solo si lascia trasportare lassù dai suoni che provengono
direttamente dall’anima, se non ostacola in alcun modo il naturale fluire di
quelle emozioni, di quelle sensazioni che hanno fatto sì che le stesse
divenissero parola e fossero comunicate esclusivamente per ciò che sono. Già,
perché non è detto, non sempre e non necessariamente, che la cosa debba
avvenire nel comune conversare, nell’ordinario manifestare le proprie idee e
persino i propri sentimenti.
Per rimanere al concetto espresso nel
testo sopracitato: credete davvero che si potesse esprimere in modo più
esauriente ed esaustivo il bisogno, l’incoercibile bisogno di non sentirsi soli
di quanto, invece, non si evinca dalla lettura dei versi di Nicola?
È fondamentale – a questo punto – rifarsi
all’incipit della presente interpretazione di Tra un niente e una menzogna. Dicevo, in apertura, che quest’ultima
fatica del poeta siciliano rappresenta un crescendo, al pari di un’opera
musicale che gradualmente aumenta d’intensità fino a toccare quei picchi dei
quali ho pocanzi parlato.
E adesso è giunto il momento – dopo
esserci con lui arrampicati – di sostare sulle cime per ascoltare le note
finali del concerto che è stato eseguito. E iniziamo proprio dal testo in cui
si parla esplicitamente di “giro armonico”. Da Deserti (p. 86): “Voglia di
pace / e di suadenti approdi / di delizie nascoste / in
un viluppo umido di baci / voglia di laghi lisci / incastonati /… / …d’un giro
armonico di sol /… // poiché ingiurioso volge / un controcanto”; da Evanescenza (p. 91): “Perché assegnarmi / un nome ed un cognome /
se sono sempre stato / la sera che s’accuccia sulle gronde / l’ombra del
mezzodì sotto il gazebo /… / Perché tenere a mente un cifrario / se come
identità posso indicare / quel fiotto fuoriuscito alla sorgente”.
Questa è musica in poesia, questa è
l’eco del big bang che ancora risuona nella voce dei poeti autentici. Ed è, e
sempre sarà profezia di speranza, come inequivocabilmente si deduce dai versi
attualissimi di Nicola Romano con i quali mi piace concludere. Da Penitenza (p. 85): “Ma quando è stato detto / che s’ammorbava l’aria // e che ora non è
tempo // per cogliere ginestre alle scarpate / per impettirsi al sole del
mattino / o guadagnare sorsi alle fontane?”.
Sandro Angelucci
Nicola
Romano. Tra un niente e una menzogna. Passigli. 2020. € 14.
Il mio caro Sandro dà l'ennesima dimostrazione di quanto una lettura critica possa coniugarsi con il canto infuocato di un Poeta, che si dedica appassionatamente a un altro Poeta. Sembra di leggere una partitura a due voci. L'esegesi si incastra, collima con il lirismo di Nicola Romano, tant'è che Sandro definisce i versi 'singulti'... E nulla avviene per caso. Se Enstein asseriva che 'le coincidenze rappresentano il modo di Dio di rendersi anonimo' questa pagina ne è la dimostrazione, anzi la rivelazione. V'è tra recensore e Poeta un'empatia che rende il tutto omogeneo, come in una sinfonia. D'altronde è proprio Sandro che afferma: "Questa è musica in poesia, questa è l’eco del big bang che ancora risuona nella voce dei poeti autentici. Ed è, e sempre sarà profezia di speranza". Ringrazio il nostro Maestro per questo diamante incastonato nelle nostre vite, che ci permette di avvicinarci e amare a prima vista Nicola Romano, di avere la sensazione di conoscerlo, di respirare il salmastro della sua Sicilia e di "cogliere ginestre alle scarpate / per impettirsi al sole del mattino / o guadagnare sorsi alle fontane”. Li ringrazio entrambi di cuore e mi inchino al loro valore...
RispondiEliminaErrata corrige: Einstein.... perdonatemi!
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