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martedì 23 febbraio 2021

LUCIO ZINNA: "LE ORE SALVATE" DI ANNA VINCITORIO

 

LUCIO ZINNA, Le ore salvate, Thule – collezione aurea – poesia, Palermo, 2020


Anna Vincitorio,
collaboratrice di Lèucade
 

       

      Scorre la nostra vita nel tempo. Un tempo composto di ore ma incommensurabile. Non ha principio né fine. L’uomo nel tempo si dilata e disperde il suo vivere. Ma basta salvare anche un’ora sola avuta in dono o da noi donata per dar rilievo alla vita. È una poesia forte ma pacata; poesia di contrasti: ciò che lasci e ciò che porti – esaltazione e paura. Paura per un dopo, un altrove che ignoriamo. Alba e tramonti, ma siamo consapevoli che qualcosa ci attende. Non è incertus l’an ma il quomodo. Siamo: è una realtà. Da dove ha inizio il nostro percorso? Dal paese nido, luogo o anche braccia che ci hanno accolto. L’uomo vive la sua vita per poi ritornare al nido e lì rifugiarsi.

     Poesia – parola che si dipana nel tempo. Tic tac, tic tac. Noi uomini crediamo di esserne arbitri e di usarlo secondo il nostro volere ma è il tempo che inverte la corsa ed è lui a decidere della nostra fine. I pensieri si susseguono e prendono corpo i ricordi, anche i più lontani ma che ci hanno tracciati. Il ricordo di una bicicletta, regalo nello stretto dopoguerra. Lucio, ragazzo che, non mantenendo l’equilibrio cerca di “mantenere/ negli anni in altre circostanze/ tra cadute e risalite/ tirando avanti se mi capitava di sbattere…”. Tenerezza per Manù e il suo asilo. Più si va avanti negli anni e più aumenta in noi la tenerezza. L’asilo, le ore trascorse, i giochi ma anche la voglia di nuovo, di incontri, di sorprese. Ogni uomo, ma in questo caso il poeta, cerca un equilibrio non solo fisico ma soprattutto mentale. Corriamo nella nostra giovinezza col vento tra i capelli. Compagna, sempre la parola. Talvolta il suono può ingannare. Occorre allora meditare e usare il suono per dire cose essenziali e non disperderci.

     La vita ha un suo percorso già tracciato. Nei vecchi la paura; il tempo a

venire è ristretto. I giovani, invece, si disperdono tra precarietà e ricerche ignorandone spesso il valore. Intorno a noi “Folla silenziosa e tumultuante”…, cronache di violenza per nulla moventi e gratuite verso la vastità degli indifesi. Quante le brutture nel mondo e noi ne siamo la causa. Siamo tutti responsabili, ma, al tempo stesso, occorre perdonare per essere perdonati. L’essere insicuri ci conduce a un punto morto. Molte le strade da seguire, come le nuvole in cielo e le onde del mare. Le nostre impronte e i nostri errori sono indelebili. Noi viviamo nel mondo, ma, al di là del nostro mondo, altri spazi e un altrove che è parte dell’uomo.

     Noi restiamo nell’ambito dello spazio e lo spazio è una sfera infinita. È l’extramoenia dove opera la poesia al di fuori di ogni contesto. Potrebbe la poesia considerarsi uno spazio siderale che parte dal poeta ma poi vaga tra luce e ombre che non possono quantificarsi. Poesia intesa come parola, sensazione, visione, che nasce dalla filosofia e prende corpo nel suo vagare. Importante l’emozione che scaturisce da lontani silenzi. La magia del verso che fruga l’anima e migra insaziabile per strade e piazze in realtà “di fiumi, gallerie, altopiani. S’impigliano nei canneti prima di smarrirsi/ in celesti contrade”. Il poeta va e penetra ovunque come il vento. Se volessi dare un nome al vento lo definirei Harmattan (vento del deserto). Più scorre la vita e più il poeta pensa a coloro che più non sono e si chiede: “sotto quale vela navigate, per quali onde galattiche chi vi impedisce/ di lanciare un amo e di agganciarlo oltre le nebbie/ del ricordo se ancora in voi albergano ricordi”. Forte il bisogno di sapere del dopo; di udire voci amate, di squarciare il velo…

     “Siete compagni silenti e smarriti in astrali spazialità…/ in quale solitudine stellare procedete/ alla ricerca di un punto luminoso che nessuno/ sa dove sia neanche nel vostro altrove dove sia”. Ci coinvolge e accomuna questo bisogno di risentire e sapere dei morti. Il poeta ricerca Dio che forse lo sfuggiva (lui lo credeva, ma tutto narra di lui: le chiese, le bidonvilles, i nosocomi). Quel Dio presente ovunque anche se permane il dubbio che ognuno di noi si pone: (Ci sei nelle camere di tortura/ nei laboratori di vivisezione?) Dio è dentro di noi e prima o poi il poeta lo scorgerà “e un sorriso leggerò nei tuoi occhi/ ora che si appannano i miei.” Alla fine della vita si fa più intenso il bisogno di Dio. Ricerca. Di fede, presenza, amore. Nel silenzio di una cosciente maturità, il pensiero va alla memoria della nonna Giuseppina, alla sua natura di bambino. Il bacio sul freddo del volto dà coscienza della crudezza della morte. Il corpo è ormai freddo ma l’amore che c’è stato scalderà il ricordo. Si ravvisa la speranza di un dove e un quando che farà nuovamente incontrare Lucio e nonna Giuseppina “in parallela età”. Così anche gli amici felini: Raf, Flint, Leo e Clotilde; presenze oltre il credibile nel sogno e nelle allucinazioni. Credere e sperare in un incontro nell’oltre, fuga la paura della morte. In Lucio ora, stanchezza “succo di anni nebulizzati/ quasi emersione dai giorni/ per il resto dei giorni”. Quale l’uso del tempo che resta? Per l’imprevisto basta un attimo ma “tu solitario ti fai forte di indivisibili/ forze a petto dell’imponderabile/ contro il negativo/ che scavalca/ transenne anche metafisiche”. Alla fine del suo percorso, il poeta tiene annodato al dito “quel filo sfuggito come aquilone/ nel turbine adolescenziale./ Ardua impresa e tarda a riprenderlo/ a incalcolabili lune metafisiche…/ (Eppure tante volte mi hai mandato/ un angelo in missione segreta).”

     Sempre più pressante il bisogno di Dio. Quel filo è importante; lo tiene fermo il poeta. Aspetta. L’invecchiare ha i suoi pregi. Ti dà consapevolezza e trattiene vivi i ricordi. Le certezze cercate nelle fughe di anni ora possono trovare conferma. S’intravede una luce. Dio è consapevole della fallacità dell’uomo che è preda del male. L’uomo è solo nel suo viaggio ma, nella sua ricerca, ha trovato Dio. Un Dio che ascolta l’uomo che parla in silenzio.

     Siamo dinanzi a un testo che finemente collega tre percorsi: Misure – Stramenia – A incalcolabili lune. Percorsi tesi ad ottenere “più aiuto che perdono”.

     Scivola il tempo come le parole verso la conclusione di un viaggio teso con umiltà verso la luce.

 

                     Anna Vincitorio

                     28 gennaio 2021 – Firenze

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

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