La scrittura umanistica di Nazario Pardini
Note critiche sulla
“trilogia dei dintorni”
di Cinzia Baldazzi
Cinzia Baldazzi,
collaboratrice di Lèucade
La scrittura, ancor di più la stampa, alla
loro nascita (separata da millenni) addestrarono a guardare diversamente, insegnando a usare gli occhi non come fossero
organi di tatto - esplorando cioè le immagini un pezzo alla volta - piuttosto
invitando a mettere a fuoco molto prima il contesto considerato, in modo da
ottenere subito una visione d’insieme vasta e persuasiva. La disposizione a un
simile atteggiamento è suggerita da Nazario Pardini in queste tre sillogi
(prossime tra loro nell’arco temporale), tenendo presente però una correzione
decisiva: lo sguardo globale del lettore trova il suo pendant nello status
poetico-creativo dell’autore, il quale decide di ampliare il campo
logico-visivo conducendo chi legge a sostare nei dintorni di quanto va elaborando, nell’appagamento di un messaggio
accolto ma sempre pronti all’avvicinamento con passi ulteriori al “pensiero
poetante” che tanto affascina, coinvolge, commuove.
Requisito essenziale di una tale operazione
è il rispetto della distanza comunque infinita esistente tra i segni-segnali e
il relativo asse referenziale:
Non
appare che l’onda e l’orizzonte
da
questo monte sopra la città;
la
verità è al di là di quei confini,
[…]
Vani
gli azzardi per capirne il senso
condannati
alla terra e ai suoi miraggi;
[da Naturale
è la valle, “I dintorni della solitudine”]
La curva di pertinenza della fantasia sembra
di frequente sorpresa da un’incipiente realtà di letizia o dolore, amore o abbandono.
L’impeto dell’immaginazione, allorché si manifesta gioioso, coincide dunque con
lo sforzo programmatico di un immaginario sottratto, di continuo, alla
pressione regressiva di un reale condizionato. Il Kunstwollen (“volere artistico”) così emerso grazie a un’ars matura multifunzionale - «Chi vive
deve essere sempre pronto ai mutamenti» ripeteva Wolfgang Goethe - quasi riesce
a fissare l’ombra tra il passato e il presente, in un complesso status polivalente,
ora dolce ed elegiaco, in altri casi amaro e disperato.
Ne scaturisce un’intelaiatura
logico-intuitiva di ombre paragonabile a quella definita “luministica” da Giulio
Carlo Argan, a proposito di Torquato Tasso, nell’ispirazione della Gerusalemme liberata alle composizioni
figurative del Tintoretto: negli endecasillabi, «predominano i notturni, i
crepuscoli, le “ombre miste d’una incerta luce” o tinte di “rossi vapor”; […]
dell’ armi si vedono solo i bagliori, come se fossero di diamante; le vesti
sono veli mossi e trasparenti, che rendono più attraenti le bellezze che celano».
Anche nelle opere di Nazario Pardini la bellezza poetica è affidata al
suggerimento immaginifico più che all’evidenza plastica delle icone.
L’allusione sottintesa coincide con uno dei
principi fondamentali delle opere pardiniane, ovvero porre enfasi sul
“sottinteso”, sul “recondito”, in confronto a quanto invece potrebbe venire esemplificato
in modo diretto; al punto da rendere protagonista nell’immediato il
destinatario dei versi, trascinandolo all’interno di un macrocosmo problematico
ma esaustivo e gratificante.
Di sicuro sussiste la coscienza della fuga
del tempo, però ad essa, nel seguire le tracce simboliche dei componimenti,
possiamo anteporre un destino di energica e volontaristica tendenza a forme di
libertà aperta. Lo strumento letterario non coinciderà tuttavia con l’evadere la
norma circoscritta del verso: al contrario, nel rifondarlo di volta in volta
più dinamico, nell’uso sapiente di enjambements,
nell’utilizzo discreto e misurato della rima, nella impareggiabile musicalità
di un “verso libero” denso di richiami interni:
la
vera poesia è sentimento,
memoriale,
euritmica scansione;
è
unicità del verbo dentro il verso,
è
storia di una storia, di un mistero,
è
narrazione intima che torna
a
farsi viva dopo gestazioni
per
mutarsi così in connessioni
d’immagini
feconde
[da
Infangare Calliope, “I dintorni della
vita”]
Diventa allora una sorta di “manifesto” il parlare
metalinguisticamente della poesia utilizzandone le medesime funzionalità:
Non
solo davanti al rifiorire
di
gemme a primavera. Non solo
davanti
a un orizzonte che ti annulla,
o
a un sentimento d’amore o di morte,
si
scrive la poesia. Ma si scrive
davanti
ad una chiesa solitaria,
davanti
a un tempio arduo e maestoso,
davanti
al grido di una donna persa
fra
le grinfie nerastre del dolore.
[da
La poesia si scrive, “I dintorni
della solitudine”]
L’autore riformula così i messaggi di una
società arcana, abituata a silenzi collettivi ma loquaci dei giorni remoti e del
futuro, in un lungo, incessante viaggio
conoscitivo:
Il
treno corre. Dai finestrini
campagne
sconfinate, vie isolate,
fiumi,
ponti; tutto passa.
Si
fanno silenziosi i passeggeri.
[da
Il treno corre, “I dintorni della
solitudine”]
Michele Miano, introducendo I dintorni della solitudine, ha colpito
nel cuore dell’intreccio tra segni e segnali di quest’àmbito di ποίησις (pòiesis): «Meditazione, recupero,
densità dei concetti, abilità evocativa e psicologica del profondo sono le
componenti essenziali della sua ispirazione, specchio di un’anima non
inquinata, dotata com’è della capacità di comprendere e di cercare nell’uomo
ciò che spesso sfugge alla maggior parte di chi affronta una ricerca tesa a
rilevare le problematiche esistenziali che in ogni tempo lo hanno condizionato».
Dove trovare il vigore necessario per andare
oltre? Il filosofo tedesco Martin Heidegger - nel suo esistenzialismo segnato
dall’ontologia e dalla fenomenologia - aveva ipotizzato una soluzione, consistente
nello spezzare l’aura che sospende (ἐποχή-epoché) la validità di avvicendamenti
scontati, ponendosi in un iter
critico (in una deriva di natura kantiana) dove l’uomo si auto-impone di interrompere
certezze illusorie e ingannevoli: peraltro senza mistificare alcunché, anzi con
l’obiettivo di potenziare la dimensione dell’Inconscio in forma di difesa.
In una sorta di meditare affine può accadere,
però, che nell’area segreta dei sogni, nella psiche fautrice di poësis del nostro Pardini, si produca una
linea di tristezza, accompagnata dalla conoscenza diffusa di quanto il piacere prediliga le offerte allettanti
dell’immaginario mentre il vero
riproponga, a ogni momento, rinuncia e dolore. Un taglio antropomorfico
caratterizza il lamento utopicamente declamato dalla distesa marina, ma i
sentimenti radicati e angosciosi sono quelli dell’uomo:
Se
m’incontri
di
questi tempi ombrosi e nuvolosi,
quando
il respiro mio si fa più denso,
mi
vedi in piena angoscia
[da
La solitudine del mare, “I dintorni
della solitudine”]
Nella poetica di Pardini la felicità, la
soddisfazione seppure acre, è congiunta a un ineffabile senso dell’Essere entro
argini di ordine morale molto determinati: nel suo e nostro cammino, nella scalata
alla vita, esiste sempre una cima ulteriore,
magari trascendentale, la cui tensione evocata corrisponde con l’arrampicarsi senza
più sentire il battito del cuore a catturare il presagio delle prossime
emozioni. Mi riconosco nel parere di Rossella Cerniglia, prefatrice de I dintorni dell’amore: «L’uomo è parte
integrante di un processo che estende l’opera divina, anche in forza del suo
“libero arbitrio” - che non è assoluto, ma condizionato, anzi spesso
pesantemente condizionato - ma è comunque quella facoltà di scelta che mette in
moto il divenire, e che contraddistingue il suo pensare e il suo agire».
Non sappiamo cosa sarà tra poco, soprattutto
quando lo scrittore intrattiene una dialettica compiacente con l’evento dell’ἔρως
(èros) o del θάνατος (thànatos), quest’ultimo sinistro antagonista
o pietoso complice: in un simile intervallo di pertinenza, i brani pardiniani si
sviluppano in prospettive arrischiate e sfuggenti, dense di contrasti luminosi,
di profili oscuri accanto a nette sagome in controluce, sapientemente calcolate
nella loro severità. Ciò appare evidente nella libera rivisitazione della
struttura erotica delle Nugae di Caio
Valerio Catullo dedicate al fatale legame con l’ammaliante donna cantata con il
nome di Lesbia (per Nazario è Delia), in memoria del mitico fascino di Saffo
che la leggenda vuole morisse proprio a Lèucade. Ha dichiarato Pardini: «La mia
Delia è un simbolo poetico che può tranquillamente significare vita,
giovinezza, bellezza, amore, luogo, tempo, e poi c’è l’immaginazione,
l’invenzione a dare un grosso contributo» [da Lettura di testi di autori contemporanei, vol. V, 2018-2020].
La figura femminile viene proiettata in una
sottile, indefinita ombra di intima ansia, quasi il poeta vi trasferisse, a
livello inconscio, un tormento personale. Una tale rete di segni-segnali,
destinata a scontrarsi nella realtà del vissuto, arriva sfumata, indeterminata,
sparsa nella trama della poesia, in sospeso fra l’essere e il non-essere. In un
contesto dove a dominare è la passione, il microcosmo è traslato in versi per
mezzo di uno sguardo non tattile, ma unitario, concentrando l’attenzione in un
quadro di riferimento allargato ai dintorni
dell’amore: all’affiorare di alterni, inquietanti frammenti di assenza e
presenza dell’oggetto del desiderio, si avverte il richiamo a prendere parte al
narrato rinvenendo un principio di movimento o di quiete in grado di soddisfare
la volontà inappagata:
O
passerotto della mia fanciulla
con
cui giocare o tenere in seno,
al
quale il dito suole la mia Lesbia
da
pizzicare offrire e morsicare.
Non
so giocare come lei, letizia,
vogliosa
di mossucce e rumorini,
lo
fa di certo per placare ardore.
[da
O passerotto, “I dintorni dell’amore”]
Sarà, quindi, il caso di imparare a giocare
come l’adorato passerotto, oppure rassegnarsi a non godere delle stesse
modalità amorose? L’ipotesi figurata,
d’altronde, è uno dei moventi principali delle liriche di Pardini, laddove il
traguardo di inattesi orizzonti prevede un ponte da attraversare: dalla sponda della
ragionevolezza e del buonsenso al margine dell’irrazionale, dall’antico
all’inedito, in un campo in espansione grazie a voci ogni volta più rapide che
non si possono proseguire né ripetere.
In una lunga e serrata marcia di
avvicinamento, con la terza raccolta Nazario Pardini giunge ormai “nei pressi” della
Vita. Poiché il sottotitolo è Conversazione
con Thanatos, lo stesso autore spiega l’omissione del soggetto principale:
«Non avrai il privilegio di occupare / la testata di questo poemetto / che
racconta la vita, le memorie» [da Non
scriverò di certo, morte, “I dintorni della vita”]. Aggiunge Floriano
Romboli nella prefazione a I dintorni
della vita: «Può sul momento sembrare curioso che un complesso di liriche
intitolate alla “Vita” si richiami con insistenza e sistematicità alla “Morte”:
nondimeno l’interesse critico-intellettuale ampiamente dimostrato riguardo alla
seconda si risolve e contrario
nell’apprezzamento e nella valorizzazione dei pregi della prima». E prosegue:
«L’antitesi vita/morte pervade da sempre il pensiero e le forme dell’arte degli
uomini, se gli antichi Greci riconobbero nel “pensiero della morte” (μελέτη
ϑανάτου) l’origine stessa della filosofia».
Anche qui il ciclo dell’Essere risulta privilegiato
nel punto di osservazione dei dintorni,
come Pardini esplicita in termini diretti a fine raccolta:
Se
ti guardi dattorno, in ogni dove,
risplende
vita ed eros. È primavera.
Si
allietano le bestie sopra i prati,
si
sfregano gli uccelli innamorati,
si
levano le gemme all’improvviso
aggrappate
alle madri come se
l’amore
fosse eterno.
[da
Se ti guardi dattorno, “I dintorni
della vita]
L’approccio del poeta a scrutare i paraggi
del mondo - di natura, al contempo, umana e letteraria - ha del resto già
tipizzato le due precedenti sillogi, producendo figurazioni ora confortanti,
altre volte tormentose, spesso quotidiane, infine trascendenti:
Saranno
le memorie
a
girarti dattorno, a pugnalarti
con
spade di diamante
(da
Verranno giorni neri, “I dintorni
della solitudine”)
Capii
quanto sfavilli nel selvaggio
panorama
sconnesso dei dintorni
la
parte divina che dell’uomo
fa
mistero celeste fra i mortali.
(da
Matera, “I dintorni della solitudine”)
La
mia anima
azzarda
fughe verso mondi nuovi
che
non mi sono vicini
[da
La barca, “I dintorni dell’amore”]
Mi
soffermo
sul
prato più vicino a casa mia,
calpesto
il suolo
[da
Ignoto verso il mare, “I dintorni
dell’amore”]
C’è
già nell’aria clima di sereno
anche
se il mare continua il travaglio; […]
Ma
i dintorni riprendono il colore,
aprendosi
in segno di speranza.
[da
Mi sembra che il vento, “I dintorni
della vita”]
Dunque l’Esserci,
pietra portante dell’arco vitale, vera linfa salutare, fa da scudo alle
incursioni della morte, in un dialogo serrato di minacce e di rinvii, sostenuto
dalla convinzione che, malgrado tutto, si avveri l’auspicio secondo cui «qualcosa
resterà dentro di noi / non può finire in nulla il patrimonio / che ci portiamo
dietro» [da Dialogo con la morte, “I
dintorni della vita”]. C’è una volta per ogni cosa, noi compresi, perché mai
più - sembra suggerire Nazario Pardini - torneremo terreni, tanto irrevocabile
sembra l’avvento dell’infausto trapasso. Ma l’intero esistere, ciononostante, ha
il suo fondamento non solo nell’opposizione dell’individuo, bensì anche nel
potente impulso della Natura: essa «vuole che l’amore / vinca su tutto a costo
di morire». Adesso il ramo giace secco, «inanimato a terra», non prima però di
aver cresciuto e sostenuto, «forti, e rossi», frutti «rotondi» a centinaia:
Un
simbolo d’amore e di preghiera,
che
ti ha fregato, morte,
annullando
la lama della sorte.
[da
Un ramo secco a terra, “I dintorni
della vita”]
La Natura si conferma presente, madre di
impressioni intere, dinamiche, subitanee, all’altezza di rintracciare il bene
nel male, la luce nelle tenebre. Essa si configura conforme al reale, sebbene
non in virtù di un insieme di fattori immanenti: «Era qui, il divino», scriveva
Friedrich Hölderlin, «qui, nella sfera della natura umana e delle cose». L’impulso
istintivo e la facoltà razionale degli uomini vengono associati all’habitat originario, nel presupposto di
un sottile ancorché robusto nesso interiore tra il mondo dei fenomeni umani,
dei relativi sentimenti, e quello delle circostanze naturali, della loro
logica. Anche quando l’identificazione con il mondo naturale avviene sotto la
sigla della mestizia:
Non
odo più la bàttima né provo
sogni
e tristezze in questo diluirsi
del
cuore nel mio mare. Son fuscello
che
si annulla nell’aria mattutina
portato
sull’onda dall’ala leggera
del
novembre.
[da
In una immensità che ti rapina, “I
dintorni dell’amore”]
Purtroppo, il Cupo Mietitore assottiglia di
colpo lo spessore del destino fino ad annullarlo: sul ruolo enigmatico della
sorte - leitmotiv della globale ποιητική
τέχνη (poietiké tèkne) pardiniana - già
Rainer Maria Rilke nella Nona Elegia
aveva scritto, a proposito del Fato: «E così ci affanniamo, e lo vogliamo
compiere, / vogliamo contenerlo nelle nostre semplici mani, / nello sguardo che
ne trabocca e nel cuore che non ha / parola. / Lo vogliamo diventare. A chi
darlo? Meglio / tener tutto, per sempre…».
La tematica del dover fronteggiare la Morte,
nella dialettica proficua e articolata della silloge, lascia stupiti e disorientati
ma consapevoli, ad esempio quando l’autore è costretto ad approvarla:
Forse
a questo punto hai fatto bene,
sono
d’accordo con te, questa volta.
Soffriva
da tant’anni; il male lo rodeva.
Gli
leniva il dolore la morfina.
Era
un urlo perenne. […]
Gli
hai chiuso gli occhi,
forse
ha trovato pace; io non so
cosa
succede dopo, ma senz’altro
ha
smesso di patire. Oggi ti approvo.
[da
Oggi ti approvo, morte, “I dintorni
della vita”]
Nel nucleo di un simile messaggio echeggiano
alcune sfumature del pensiero di Heidegger: «Se prendo la morte nella mia vita,
la riconosco, e l'affronto a viso aperto, mi libererò dall'angoscia della morte
e dalla meschinità della vita - e solo allora sarò libero di diventare me
stesso». Nel celebre Sein und Zeit (1927),
l’Essere-per-la-morte, a differenza delle metafisiche antecedenti (come quella
hegeliana), veniva identificato con la fine estrema, seppure non al pari un’impasse indiscussa o ineffabile: anzi,
solo grazie a essa il filosofo supponeva fosse consentito alimentare una
coscienza trascendentale che aiutasse, “aprendo al mondo”, a esistere sulle autentiche
tracce della vita. Ed ecco Pardini, quasi a condurre il lettore per mano, vicino
alla scoperta di un chiarore esemplificativo del prima, del dopo,
dell’attualità:
Alla
fine fu luce; fu clangore;
la
strada si diresse verso il cielo
dove
anche la morte si piegò
dinanzi
ad una volta luminosa
che
non conobbe il buio. E non ci fu
più
spazio per andare: fu riposo,
fu
calma; e fu la quiete
il
porto a cui approdammo
dopo
mari in burrasca,
dopo
onde levate alla deriva.
[da
Doloroso il viaggio, “I dintorni
della vita”]
La connessione stabilita tra la burrasca
marina e il fluire degli eventi accidentali individua un sentiero di poetica
che procede sistematico lungo le tre raccolte, identificando nell’acqua,
principio delle cose, l’eco di una concezione utopica, nel corso dei millenni,
analoga a quella del padre della filosofia Talete di Mileto (VI secolo a.C.),
dove l’elemento liquido costituisce la base del Tutto. Pardini ne rispetta la
concezione originaria, ovvero l’inscindibile legame con il passare delle ore,
dei giorni, degli anni: e se il mare «si avvicina e si allontana, / clessidra
della vita» [da In una immensità che ti
rapina, “I dintorni dell’amore”], nel fiume «se mi specchio / mi vedo
stagione / che lascia alla corrente / l’ultimo verde delle sue memorie [da È l’aria di novembre, “I dintorni
dell’amore”].
Lo spazio-tempo inafferrabile, tipico dello
scorrere impetuoso di un ruscello, di un moto ondoso inarrestato, della
superficie cangiante di un lago, procede tra le pagine di Pardini per
agevolare, con la propria “eguaglianza nella diseguaglianza”, l’evenienza di
trovarsi a vivere in un progress
ininterrotto. Tuttavia, la grecità di
Pardini appartiene più all’antropologia che alla cosmologia: in una personale
sintonia con il pensiero heideggeriano, l’antichissima strutturazione atomista
lascia il posto alla distinzione e alla separazione (come spiegava il filosofo
di Meßkirch) del «modo di essere della vita o dell’anima da quello della natura
o del mondo».
È vero, l’acqua è fattore di rigenerazione,
anche se nelle parole di Anassimandro, discepolo di Talete, in virtù della
natura delle cose ciò avverrà soltanto dopo aver assistito e partecipato alla
dissoluzione suprema, reciprocamente scontando la pena e pagando la colpa
commessa.
Proprio qui avviene lo stacco speculativo e
poetico di Nazario Pardini, il salto della sua scrittura vitale, il volo del
suo umanesimo:
Mi
piace tutto quello che si oppone
all’impertinenza
della tua presenza,
morte.
E
dire di stagioni che imperterrite
ci
parlano di vita, mi sarà
cosa
gradita; voglia di rinascere.
[da
Non scriverò di certo, morte, “I dintorni
della vita”]
Con la maestria che la contraddistingue,la Dott.ssa Cinzia Baldazzi,ancora una volta ci ha donato un intenso momento intriso della bellezza della cultura, nel suo presentarci le opere del Poeta Nazario Pardini del quale ho apprezzato i bellissimi versi scelti che, seppur tratti da tre sillogi diverse, hanno un continuum perfetto,quasi si trattasse di un'unica opera (e lo è, a mio modestissimo parere).Mi accosto con grande rispetto e aspettative nei lavori della Dottoressa Cinzia Baldazzi, per il suo scrivere e per la scelta delle opere cui dedica la sua attenzione. Grazie al Poeta ed a Lei. Paola Ercole
RispondiEliminaUna analisi esauriente e appassionata che combina la grande cultura e raffinatezza critica a un cuore pulsante .
RispondiEliminaUna analisi esauriente e appassionata che combina la grande cultura e raffinatezza critica a un cuore pulsante .
RispondiEliminaCome sempre, la dottoressa Baldazzi è riuscita a fare un'analisi minuziosa e ricca di spunti di lettura, ha presentato dei versi profondi, molto belli, e ne ha spiegato la natura, con la cultura e l'amore per la poesia che contraddistingue il suo impegno a favore dell'arte.
RispondiEliminauna disamina esaustiva che fa onore al verso del Nostro Nazario, complimenti a entrambi
RispondiEliminaCosa dire quando mi trovo davanti alla poesia e al sapere della dott. CINZIA . Nel mio imperfetto scrivere libero il mio io da ogni impurità e do seguito all'immaginazione scrutando l'orizzonte del cielo in quel turbamento che ogni tramonto infligge. Grazie CINZIA di avermi riportato nell'inquietudine della poesia.
RispondiEliminaIl saggio critico di Cinzia Baldazzi dedicato alla cosiddetta “Trilogia dei Dintorni”, di Nazario Pardini, pubblicato sul blog “Alla volta di Leucade”, analizza con compiutezza e dovizia di riferimenti le sillogi contenute in tre opere: “I dintorni della solitudine”, “I dintorni dell'amore ricordando Catullo” e “I dintorni della vita. Conversazione con Thanatos”, tutte pubblicate da Guido Miano Editore.
RispondiEliminaI dintorni identificano semanticamente ciò che è circostante; idealmente, connotano l’“essere nel luogo intorno al quale non si è”; di fatto. soli con la propria negazione … che scomoda compagnia! Per fortuna soccorre, in tal senso, il mistico indiano Inayat Khan. Apostata dell’induismo, abbraccia il misticismo “sufi” per diffonderne le dinamiche forme di meditazione e di preghiera in Europa e negli Stati Uniti d’America. Cresciuto altresì in una famiglia di musicisti, si distingue anch’egli come abile musicista.
Al Maestro è attribuita questa frase: “Non vi è migliore compagnia di quella della solitudine. Star soli con sé medesimi è come stare con un amico la cui compagnia durerà per sempre. La saggezza si acquista nella solitudine“.
Ed è il misticismo del suono - nella musica espressione dell’armonia divina - che, nei versi di Nazario Pardini, paradossalmente scardina il senso di solitudine per farlo aderire indissolubilmente a quello di compagnia; oltretutto, la migliore possibile: quella dei lettori che sicuramente affolleranno leggii e tavoli con le sillogi sui “Dintorni”. Facile, quindi, è la partenza per un veloce e succinto commento: “I dintorni della Solitudine”, introdotto da Michele Miano.
Colpiscono le prime compagnie: una chiesa solitaria; un tempio arduo (superba sinestesia!) e maestoso; il grido di una donna persa. Poi la solitudine si accompagna al silenzio, suo naturale comprimario, a volte anche protagonista: “si fanno silenziosi, i passeggeri” in “Il treno corre”.
Nell’approccio a “I dintorni della vita”, introdotto da Floriano Romboli, dopo il doveroso omaggio al “topos” del dualismo ἔρως (èros) / θάνατος (thànatos), bisogna religiosamente rispettare il primo ed unico comandamento, in pratica un vero e proprio manifesto: NON “infangare Calliope”, e quindi non denigrarne i tratti salienti, magistralmente descritti. “Se ti guardi dattorno”, sottolinea Nazario Pardini, “in ogni dove risplende vita e eros”. Ma è anche vero che (nel “Dialogo con la morte”) “qualcosa resterà dentro di noi, non può finire in nulla il patrimonio che ci portiamo dietro”.
Invece, e infine, “I dintorni dell’amore” è introdotto da Rossella Cerniglia con una considerazione del “libero arbitrio” che ne sdogana la soluzione peccaminosa, così licenziata biblicamente, come una “facoltà di scelta che mette in moto il divenire” … una vera e propria riabilitazione che rifonda l’amore. Sia pure con l’ingombrante presenza di Caio Valerio Catullo che, nelle sue “Nugae”, sogna emancipazioni sociali e sessuali tardive di due millenni. La sublimazione nel “passerotto” inserisce elementi naturali che rappacificano con l’Eden perduto.
Le tracce colte da Cinzia Baldazzi feriscono talvolta come i pungenti dardi degli “haiku”, isolando poetica e narrazione. Cupo Mietitore? Ripassa … non è aria! Altro che “Doloroso il viaggio”!
Massimo Moraldi. Grazie per l’ospitalità.
Toccare i temi della morte e della vita non è mai cosa facile, a volte nemmeno gradita, troppe le sfaccettature e troppo dolorosi spesso i ricordi. Guardare in faccia una realtà che fa parte di noi ancor prima di emettere il primo vagito non è assolutamente comodo. Ma questo è l'obbligo dei poeti che si confrontano con il reale e l'arcano, senza se e senza ma, dirigendosi come vascelli in mezzo a tormentate bufere verso porti sconosciuti e misteriosi. Ho apprezzato moltissimo i versi di Pardini e altrettanto l'esegesi della dott.a Baldazzi. Da entrambi secondo il loro sentire si ha una visione completa di noi, di ciò che siamo e di quello che dovremmo essere. Tanto di cappello ad entrambi.
RispondiEliminaCiao Cinzia, la tua è un’analisi sempre attenta e preziosa nella quale evidenzi con estrema chiarezza la visione del Pardini dello svolgersi della vita distribuito nelle tre sillogi che così bene interroghi e spieghi.
RispondiEliminaSi evince nitidamente quanto il Pardini, nell’investigare la realtà che circonda l’uomo, con spirito intuitivo ne raccoglie l’esperienza e coi dettagli ne rievoca interiori significati, esponendoli con immagini che fanno meditare, così che il segno diviene interpretativo per il fruitore.
I tre libri vengono ad essere quindi il compendio dello specchio di una visione della vita che corre silente o tumultuosa nelle bellezze della natura e dell’antropico quale spettatore e parte attiva, con una prospettiva dell’amore passionale, sensuale, tormentato, libero e senza vincoli (e certamente non platonico), ed infine nel volgersi ineluttabilmente verso ‘A livella con l’approdo al porto della quiete eterna.
Infine, a riguardo dei componimenti, in questa epoca di sconsiderato uso del termine poesia, l’utilizzo del verso sciolto (e non libero) con la sua musicalità e seppur con rade rime, è quello che più s’avvicina alla definizione dell’arte poetica.
Grazie e complimenti per le tue perle di critica.
Angelo Greco
Ho avuto il piacere di leggere il saggio dell’amica Dott. Cinzia Baldazzi, grande critica letteraria (e non solo) dedicato alla cosiddetta “Trilogia dei dintorni” di Nazario Pardini, cioè le tre opere intitolate “I dintorni della solitudine”, “I dintorni dell’amore ricordando Catullo” e “I dintorni della vita. Conversazione con Tanathos”.
RispondiEliminaI versi del poeta, che trasmettono un senso di comunione con il cosmo e un amore per la vita in tutti i suoi aspetti, in special modo per la natura, sono allo stesso tempo ricchi di introspezione e di malinconia, di allusioni sottintese o di suggerimenti immaginifici e si confrontano allo stesso tempo con i temi della morte e con dolenti ricordi.
È grazie alla critica di Cinzia, sempre sorprendente per la ricchezza di spunti e di riferimenti sia poetici che classici che filosofici, che si può giungere alla comprensione completamente esaustiva delle liriche di Pardini.
Il poeta parla al nostro cuore con la sua poetica, ma ci viene svelato esaurientemente e noi siamo accompagnati per mano a gustare ogni suo canto dalla potenza critica di Cinzia, che sa trarre dal suo inesauribile sapere il giusto confronto, il perfetto riferimento, il simbolo più appropriato.
Grazie alla passione che la Dott. Baldazzi unisce alla sua infinita competenza, ogni suo saggio critico diventa un inno alla poesia, all’arte e alla cultura, che lei coltiva e fa crescere in ogni sua forma, in ogni sua possibilità di divulgazione, anche in questo periodo così triste in cui è quasi impossibile comunicare.
Complimenti al Poeta e a Cinzia.
Daniela Vigliano
Non conoscevo i versi di Nazario Pardini e ringrazio Cinzia Baldazzi che ce ne ha donato una sintesi partecipe e ben commentata. Tanto che mi ha fatto venire voglia di approfondire su questo autore. E questo per una recensione critica mi sembra già un ottimo risultato...
RispondiEliminaSono d’accordo con Paola Ercole sul fatto che Cinzia Baldazzi abbia presentato le tre opere di Nazario Pardini come se fossero una cosa sola. Ci ha fatto fare un bel viaggio tra i versi di un grande Poeta.
RispondiEliminaIl viaggio parte da “I dintorni della solitudine”; qui gli esseri umani sono [… condannati alla terra e ai suoi miraggi]. Poi, il viaggio continua attraverso l’amore (I dintorni dell’amore), per finire nella “luce” che sconfiggerà anche la morte, quando saremo accolti in un porto quieto, dove finalmente potremo riposare (I dintorni della vita). Questa sarà la nostra nuova vita priva di quei “miraggi” terreni che non ci permettevano di andare oltre “l’onda e l’orizzonte” alla ricerca della verità.
Ho riassunto ciò che da lettrice ho tratto dai versi citati e commentati da Cinzia; belli i versi su come si scrive la poesia che ho molto apprezzato, perché la poesia nasce, quando le emozioni spingono il poeta a scrivere ciò che prova. Nelle poesie di Nazario Pardini le emozioni provate dall’autore nello scriverle affiorano in modo evidente.
Complimenti al Poeta e a Cinzia
Analisi perfetta fa Cinzia Baldazzi per "Trilogia dei dintorni" di Nazario Pardini. Ne analizza non solo il contenuto nell'insieme, ma il sentimento intrinseco dei versi ora di dolore, di solitudine, di silenzio, d'amore. Fa emergere i ricordi del Pardini sul tema della morte come sul protrarsi della vita.
RispondiEliminaQuello che descrive Cinzia non è solo critica letteraria, ma competenza indiscussa di divulgazione poetica e ancora una volta ci conduce passo passo, mano nella mano, a fianco di un poeta, Nazario Pardini, e ci fa viaggiare con lui e provare le stesse emozioni.
Complimenti a Cinzia e naturalmente a Nazario Pardini.
Gianna Costa
Grazie, Gianna, per aver saputo cogliere l'insieme di riferimento complesso e giustamente polisenso della poetica di Nazario Pardini e, di conseguenza, del mio commento.
EliminaDalla bella nota critica di Cinzia Baldazzi sulla poetica di Nazario Pardini ho ricavato che lo stesso risulta impegnato nelle tematiche più serie della vita di tutti i giorni con la rappresentazione soggettiva ed oggettiva del proprio cosmo emozionale, al fine ultimo di indagare ed interiorizzare la propria spiritualità nella dinamicità dello spazio, ma sempre e comunque a beneficio dei propri simili. Le immagini poetiche scelte da Cinzia per illustrarci il “modus poetandi” di Nazario, sono vive, palpitanti, come nubi prigioniere del sole, raggi di freddo calore, come lame taglienti sulla malinconia di oggi; i sentimenti vengono frantumati in un crescendo di variazioni psicologiche, in un labirinto di emozioni-sensazioni finemente umane che prendono ed avvincono chi sa percepirle. Grazie Cinzia per questa tua bella disamina.
RispondiEliminaCaro Massimo, la tua efficace e lungimirante nota arriva graditissima. Il tempo dei giorni che passano nei messaggi artistici, e anche, quindi, dei messaggi esegetici dell'arte, non rispetta gli intervalli di quello quotidiano. Eppure, dopo due anni cronologici, il tuo commento conferma che parlare di bellezza non soffre di dover rispettare le tappe di un calendario ormai trascorso.
EliminaGrazie ancora.
Dalla bella nota critica di Cinzia Baldazzi sulla poetica di Nazario Pardini ho ricavato che lo stesso risulta impegnato nelle tematiche più serie della vita di tutti i giorni con la rappresentazione soggettiva ed oggettiva del proprio cosmo emozionale, al fine ultimo di indagare ed interiorizzare la propria spiritualità nella dinamicità dello spazio, ma sempre e comunque a beneficio dei propri simili. Le immagini poetiche scelte da Cinzia per illustrarci il “modus poetandi” di Nazario, sono vive, palpitanti, come nubi prigioniere del sole, raggi di freddo calore, come lame taglienti sulla malinconia di oggi; i sentimenti vengono frantumati in un crescendo di variazioni psicologiche, in un labirinto di emozioni-sensazioni finemente umane che prendono ed avvincono chi sa percepirle. Grazie Cinzia per questa tua bella disamina.
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