Lidia Guerrieri, collaboratrice di Lèucade |
Vorrei sottoporre al vostro giudizio un poeta di Pleiadi/Castalia, il mio gruppo di poesia dove ho radunato nel corso degli anni, diversi poeti che scrivono in metrica italiana e barbara.
Lido Pacciardi, secondo me, è una voce che
si distingue e per questo Invio qualche sua poesia sperando che sia giudicato degno delle spiagge lucenti di Lèucade. E' un poeta tutto pervaso di quello
spirito sano che viene da una vita vissuta nei campi e nei boschi, un poeta dal
verso limpido e metricamente armonioso nel quale parole auliche e quotidiane si
trovano fianco a fianco in gradevole equilibrio. La sua è una voce che affonda
le radici nella nostra terra toscana, che dal suo humus trae nutrimento per
modellare albe e tramonti, boschi e scogliere, bovi e carbonai, che dalle sue
voci prende il LA per un canto dagli echi pascoliani. Leggerlo è ritrovare il
contatto con la natura, è riappacificarsi con la vita, è immergere le mani nei
colori del mondo per dipingerci l'anima del rosso dei tramonti, del rosa delle
albe, del candore della neve, dell'argento diverso degli ulivi e della pioggia.
E' ascoltare il fruscio delle foglie e il suono delle stagioni mentre il tempo
gira la sua ruota tra il rifiorire e lo spogliarsi degli alberi. Benchè Lido
parli di tante cose: d 'amore, di ricordi, di tragedie umane e si diletti nel
mettere in versi cose divertenti o favole antiche, per me l'aspetto più
prezioso dei suoi versi è questa sua veste di, oserei dire “ custode “ di
quella che era la ricchezza e la santità dei boschi, delle vallate, e della
vita in campagna o perlomeno del suo ricordo, per offrire a chi legge e ha
conosciuto il nostro mondo ed a chi non l'ha conosciuto quella pace che viene
dagli alberi , dai colli, dal cielo, dai piccoli animali nostri compagni di
viaggio. Per me la poesia di Lido è un passaporto per il mondo della mia
infanzia, che è lontano ma ancora più lontano appare per il grande mutarsi
delle cose, è tornare a certe pagine che nella memoria si collegano a cari
ricordi : la maestra, le poesie sulla campagna, cose , memorie che mi sono care
e che penso lo siano per tanti della nostra generazione. C'è , nei versi di
questo poeta che qualcuno critica per l'uso della rima quasi la rima fosse cosa
da buttare via in nome di certa poesia del tutto prosastica, il ritorno alle
cose che contano, quelle che non costano nulla e che sono le più preziose,
quelle che rischiano di scomparire trascinado tutti nel baratro, c'è la voce di
un mondo che chiede di essere ascoltato per continuare a vivere, l'eco delle
cose antiche e sante.
Invio qualcosa che ho spigolato qua e
là sperando che venga indicata anche a Lido Pacciardi la rotta per
l'isola.
Nebbie
d’autunno
È un sogno, un sogno. Sopra il colle appare
la visione del borgo ermo e lontano,
come disteso là, tra cielo e mare
in un ristar di nebbie alte sul piano.
S’addormentano i boschi nei colori
arrugginiti e fiochi d’un racconto
di nuvole vaganti, tra rossori
d’un sole stanco, basso, nel tramonto.
Tutto intorno è sospeso, tra misteri
che sbocceranno a notte da remoti
recessi di miraggi prigionieri.
Stanno attenti i cipressi. Sacerdoti
dell’ultima visione. Con i neri
appuntiti cappucci. Muti, immoti.
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I carbonai
Passavano di notte i carbonai,
lenti sui carri, coi sonagli appesi.
Salivano su, ai monti, ai focolai,
ai fumi, ai mucchi, ricoperti e accesi.
Davano il cambio ad altri, già spossati,
da troppo tempo a governare il fuoco,
infreddoliti, esausti, affumicati,
in una vita che rendeva poco.
Prestavano le spalle alla fatica
di un’esistenza amara, senza sconti,
abbeverando una speranza antica
alla fresca purezza delle fonti.
Scendevano coi sacchi neri e pieni,
incontro ad un difficile dimane:
smagriti, sporchi, stanchi, ma sereni,
recando alla famiglia un po' di pane.
Figure antiche, quasi da leggenda;
i monti, nella notte, sono spenti;
coi bianchi fumi, pure la vicenda
dei carbonai s’è ormai dispersa ai
venti.
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Bene
qui latuit, bene vixit.
(Ben visse chi seppe vivere
nell'oscurità – Ovidio, Tristia)
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Voi giganteschi lecci, umidi e neri,
rinchiudete la storia della vita;
giganti solitari, muti, austeri,
di un’età sconosciuta ed infinita.
Immoti, nella furia più potente
che il ciel vi manda e scuote e non
s’arresta,
col tramontano freddo o col ponente,
nell’ombra, resistete alla tempesta.
Ogni altra pianta a voi d’intorno geme
e spesso sradicata a terra giace;
ma voi, umili e forti, d’altro seme,
alla tempesta resistete in pace.-
Nel più profondo gelo o alla calura
dello stridente sole dell’estate,
non cercate giammai nessuna cura,
le antiche fronde verdi conservate.
Questa natura per voler divino
aveste in dono e per benigna sorte,
uniche piante eterne. A noi, vicino,
un ubiquo cessar di foglie morte.
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Migrazione
S’affresca l’aria e la percorre,
inquieto,
un non so che di smanie più profonde,
un desiderio, un traghettar segreto
verso altre sponde.
Nelle fumose brume mattutine
vanno senza rimpianti torme d’ali
che s’alzano improvvise, repentine,
quasi irreali.
Agognano altre terre, altri colori
come sogni che fuggano, feriti,
e cerchino riparo in altri cuori
prima fuggiti.
Nell’aria chiusa resta il lieve incanto
d’un soffio breve, in uno spento
azzurro:
un sommesso passar d’umido pianto,
come
un sussurro.
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La
neve
Scende sul borgo, a sera, morbida, fitta
e lieve,
come il vento leggera la fiorita di
neve.
Ricopre silenziosa le strade, i tetti,
gli orti;
mite e pietosa cade, sulle tombe dei
morti.
Imbianca i campanili, le piazze, i campi
arati;
ridisegna gli ovili, cancella tutti i
prati.
Veste di bianca pace la campagna
d’intorno,
dove ogni cosa tace mentre ancor vivo è
il giorno.
Raspa sul seminato, prima di notte, un
branco
di passeri, affamato, nero, nel
vasto bianco.
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Vita dei campi
Si spengono fioche, appassite,
nell’ora che accende, segrete,
speranze da tempo ferite.
Nell’eco di voci dal colle,
si adagia la sera assopita
tra il tepido odore di zolle:
è breve la vita!
Un lieve ed atteso riposo,
il tenero, corto sospiro
d’un pallido moto, gioioso,
già stanco del prossimo giro.
Lo dice la squilla lontana
con voce che ondeggia smarrita
tornando struggente ed arcana:
che corsa, la vita!
Le gravi fatiche passate
non bastano ancora, saranno
ad altre più gravi accostate
nel corso veloce dell’anno.
È incerto il destino che aspetta
chi semina in terra, chi addita
speranze che passano in fretta:
amara, la vita!
È muta la pieve. Rimane
nell’aria che scura e si bagna
la voce di gracide rane
nell’umida aperta campagna.
Or cessa disperso il rumore
d’usate faccende. Affralita,
sui campi di spento colore,
riposa la vita!
Risorgono stelle lontane,
si accende la volta del cielo,
sussurrano ascose fontane
si chiude il notturno asfodelo.
Il tempo silente si perde
nell’avida corsa infinita,
poi torna più tenero e verde:
è un sogno, la vita!
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Tramonto
Splende il tramonto con i suoi rossori
nell’esondare d’ombre della sera,
nel luccichio brunito degli allori,
nella foschia disfatta come cera.
Sull’infinito velo di un sipario
di vaganti umidori, sulle alture
il chioccolio d’un merlo solitario,
il disfatto abbrumar delle pianure.
Risorge il mormorio delle fontane
con nuova voce, mentre si prepara
l’immoto gracidare delle rane.
Su tutto cala una mestizia chiara.
S’indesertano i boschi ed i canneti,
lentamente s’appocano i rumori.
Tutto s’acquieta; tornano i segreti
d’una follia di sogni dentro i cuori.
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Memorie d’altri giorni
Amo le sere pallide e silenti
e il bosco che s’imbianca della luna,
i rumori sperduti fiochi e lenti,
i cieli ignoti nella notte bruna.
Amo le strade di campagna bianche,
l’uligine che agli argini vapora,
le curve messi ormai mature e stanche
il declinar del giorno all’ultim’ora.
Amo le fonti ora smarrite e mute
che un tempo gorgogliavano contente,
fontane misteriose e sconosciute
che nel cuore trattengo e nella mente.
Amo il folto dei boschi e dei roveti
là dove un dì sostai di me compagno
tra profumi di terra e tra i segreti
fruscianti della quercia e del castagno.
Amo il vento notturno che sospira
e liscia l’erbe con passo leggero,
quell’indistinto ondar che intorno spira
colorando ogni cosa di mistero.
Amo le brume umide di pianto
che lavano le piaghe della vita,
l’ultima nota che conchiude un canto,
l’andar di un’ala debole e smarrita
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Solitudine
Un angolo in giardino è il mio rifugio
circondato d’alloro.
Spesso mi chiudo là, spesso v’indugio,
per un po’ di ristoro.
M’illudo ai desideri del domani
che forse non avrò.
Troppo hanno ricevuto le mie mani,
stanche son già da un po’.
Eppure, spesso, basta il gorgheggiare
di un piccolo uccelletto,
mi basta con stupore contemplare
il volo di un insetto
per ritrovarmi in giorni ormai lontani,
quando rideva il mondo,
e tutto luminoso era il domani,
colmo, propizio e biondo.
Dalla mia solitaria amica zolla,
che mi tien riparato,
m’immergo ancora nell’immensa folla
dei sogni del passato.
Li rinchiudo con me, nella mia aiuola,
finché non mi confonde
il verso rotto di una cincia sola,
che implora tra le fronde
.
Lidia bella, che gesti grandi state compiendo inserendo nella nostra Isola voci nuove e poderose! Dopo il sedicenne presentato da Maurizio Donte la breve Silloge del toscano Lido Pacciardi, che introduci con un'esegesi degna della tua competenza e del tuo talento. Lo definisci "custode di quella che era la ricchezza e la santità dei boschi, delle vallate, e della vita in campagna o perlomeno del suo ricordo" e non avresti potuto trovare parole più adatte. Mi addolora non frequentare il tuo gruppo su facebook, ma sai bene che sono molto poco presente in generale per difficoltà con la linea e per la mancanza di eventi pubblici da proporre, ma l'idea di dargli spazio su questo blog mi sembra eccellente. Un Poeta che sembra un unicum con i miracoli della natura, che si esprime attraverso l'amore verso di essi e la saudade dei 'giorni in cui rideva il mondo'. Echi pascoliani nel suo canto che mi hanno proiettata nella dimensione ora proibita, nella libertà di creare la magica simbiosi con la poesia degli alberi, dei monti, del mare e di rivedere il mondo con il sorriso... Restiamo in attesa e posiamo le anime su tutte le tue liriche, sulle recensioni come questa e sui versi di Lido... Ti voglio bene e sono fiera di esserti Amica!
RispondiEliminaMi fa vibrare delle corde intense e profonde, risvegliando frammenti di ricordi antichi e sepolti, ma forse proprio per questo più preziosi per me che sono figlio di un modo più cittadino.
RispondiEliminaSinceramente grazie per il commento.
EliminaRingrazio il Prof. Pardini per avermi accettato.
RispondiEliminaRingrazio Lidia per avermi presentato.
Auguro a tutti voi buon lavoro e buona poesia.
Poesie tanto evocative, riflettono sentimenti e stati d'animo puliti da sovrastrutture mentre passano le stagioni
RispondiEliminaBravissimo poeta e complimenti a Lidia per la bella presentazione.
Grazie del suo apprezzamento. Mi ha fatto veramente piacere. Grazie ancora.
EliminaRingrazio il Professor Pardini per aver accolto su Lèucade
RispondiEliminaquesto amico, e la mia riconoscenza a te, Maria, ed all'altro commentatore per la generosità nel non aver sottolineato le ripetizioni presenti nella mia introduzione. Le vedo ora, a mente fredda. Il fatto è che ho scritto velocemente per la smania di inviare presto, prestissimo tutto.. non vedevo l'ora! e sono stata tanto a scegliere nella vasta produzione di Lido, ..non potevo certo mandare a caso nè chissà quante poesie...e mi sono stancata in questa ricerca !!!.perdono me stessa dato che la pochezza della forma è compensata dall'entusiasmo . E quello c'era e c'è. Grazie dunque; per me è una gioia aver portato una goccia di pura poesia nel mare limpido di Lèucade. Lo so, Maria, che sei tanto impegnata. Io continuo a svolgere in Castalia un lavoro di ricerca e di aiuto in campo metrico a chi lo desidera; è una cosa che a momenti mi pesa perchè questi tempi bui ci intristiscono e demoralizzano, ma più spesso mi aiuta ad andare avanti dandomi uno scopo. Ed ora, vedere uno dei " miei" poeti sbarcare sulle rive dell'Isola, mi ricompensa di tante ore passate a leggere versi su versi per trovare errori o difetti da indicare e spiegare. Grazie.