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giovedì 4 marzo 2021

MARCELLA MELLEA LEGGE: "LA STANZA ALTA DELL'ATTESA" DI M. L. DANIELE TOFFANIN

 


Maria Luisa Daniele Toffanin

LA STANZA ALTA

DELL’ATTESA

Recensione di Marcella Mellea

 


La stanza alta dell’attesa, di Maria Luisa Daniele Toffanin, è un alternarsi e un mescolarsi di prosa e poesia: prosa impregnata di poesia e poesia narrata. L’autrice, attraverso il ricordo, visita diverse stanze della memoria, come lei stessa le definisce: stanze che racchiudono eventi, momenti della vita, di un’infanzia felice, ricca di affetti, di unione, di solidarietà, di magia, di sogno, e soprattutto di attesa, e li consegna al lettore cariche di emozione, sottraendole per sempre all’oblio del tempo. Un memoriale poetico, dunque, ricco di dettagli, che dà forma e voce a personaggi e luoghi cari all’autrice: «… Così nell’infanzia si apre un corridoio / infinito di rimandi emozionali / sgorgati emersi dalle stanze dell’anima / come lava dal cratere…» (Luoghi).

Grande protagonista dell’opera è la città del Grande Santo Antonio: Padova, con le sue chiese, le botteghe, gli infiniti scorci, la gente dal cuore buono, le strade che riecheggiano di voci e giochi di bambini, le corse, i battiti del cuore, lo stupore per le cose belle, la gioia dell’autrice bambina. «Mia città dell’utopia / mondo limpido di gente fida / il sentire sincero umile / pur d’interiore spessore / gli occhi non baluginavano / ancora d’arroganza» (Padova). Gli anni della guerra sono narrati con intenso pathos: la speranza del ritorno, la gioia dello stare insieme, la bellezza per le piccole attività quotidiane diventano un canto alla vita. Basta poco per sognare, per essere felici; un monito ai giovani e agli uomini dei nostri tempi, dove nulla sembra rendere felice e tutto è motivo d’insoddisfazione.

L’attesa, di leopardiana memoria, è la forma più autentica di felicità: è nell’attesa che tutto si immagina e si prefigura; un’attesa ormai sconosciuta nei tempi moderni, in cui tutto si consuma in fretta e voracemente. La vita è un’attesa continua e, per riprendere una celebre frase di Victor Hugo, «Rêver, c’est le bonheur; attendre, c’est la vie», «Sognare è la felicità; aspettare è la vita» (Le Feuilles d’automne). L’attesa scandisce i vari momenti, è il leifmotiv, il filo conduttore delle varie parti del libro. Attesa ricordata e scandagliata in tutte le sue sfaccettature, pregna di emozione, speranza, desiderio, gioia: attesa del padre e della famiglia per il ritorno dalla guerra, attesa delle elezioni, attesa parva, attesa innocente, attesa della vita, della morte, attesa del presepe, del Natale, della Pasqua, della Befana, della prima comunione, della processione, del compleanno, del vestito nuovo, dei giochi, dei compagni, attesa dei carri allegorici «…Sono andata così a ritroso nel tempo mitico dell’infanzia e ho ritrovato la mia minuta vicenda, inserita tra le pagine del secondo conflitto mondiale, proprio nel carteggio fra mio padre e mia madre risalente a quel periodo. Ho sentito allora di appartenere all’universa famiglia nelle mie prime attese sospese fra mito e storia»; «L’attesa è il ritmo che cadenza la vita e della natura e dell’uomo. La mia, le nostre infanzie sono state tempo di infinite attese che ci saziavano con il loro stesso succo…».

Tra tutte le attese, la più bella era quella del Natale: «L’attesa era il portico / ovattato di silenzio / la notte di Natale. / Là il padre la madre la sorella ed io / insieme tutti stretti / ai tabarri neri dei pastori / con pecore discesi da lontano. // S’alzava avvolgente un suono / ancora struggente di cornamusa / soffuso per gli incavi, effuso / per la piazza del Santo patavino / ma là nel buio era solo nostro / un suono intimo di famiglia / che si faceva universo. / Quel suono era l’attesa / – ora mi si svela il vero – / della Luce nella tenebra» (La mia attesa bambina del Natale).

Il libro alterna delicate poesie a riflessioni profonde. Dalla lettura della La stanza alta dell’attesa si evince che la Storia deve essere insegnata alle nuove generazioni attraverso la storia quotidiana della gente comune, di chi ha vissuto i grandi eventi e nel suo piccolo è riuscita, con dignità, a dare il proprio contributo alla società, trasmettendo valori autentici e veri. Nel susseguirsi delle varie pagine piene di ricordi, nel dispiegarsi dei vari episodi, quei tempi, quell’epoca, quel modo di vivere, diventano il simbolo e l’esempio e l’espressione di un’umanità viva, seppur sofferente e povera, ricca di solidarietà, bellezza, dedizione e gioia.

 Attraverso un linguaggio originale «…Nell’ombra-luce ritmata dagli incavi / la vita in saluti d’amicizia sinceri / con l’attesa-piacere di rivedersi nei salotti buoni…» (Via Gabelli) ricco di accostamenti insoliti, sinestesie, assonanze, ossimori, l’autrice ci veicola, con sguardo fanciullesco, un mondo migliore, fatto di semplici e innocenti cose, una sorta di età dell’oro, ci fa assaporare e respirare un luogo incantato, animato da un’umanità solidale. «…Erano le loro mani aperte in gesti di amicizia e generosità, nella casa sempre vissuta con gioia insieme a parenti e amici. Un vivere altro di sacrifici, rinunce, ma sereno e fiducioso nella provvidenza e nel conforto reciproco»; «…Luoghi tanti, amati: di ognuno la dolcezza di un ricordo, di un volto, di un’amica fidata nel ripetersi di esperienze amicali sullo stile genitoriale. Persone e luoghi non perduti, ma riproposti nelle ore dei giorni futuri in altri luoghi infiniti». Nel ricordo tutto s’illumina e si colora. L’autrice riporta in vita e con grande abilità, suoni, sapori, colori, particolari reconditi ed emozioni ad essi collegati, visioni di felicità domestica, quando seppur poveri si era ricchi di valori e forza d’animo; nella lettura dei versi sembra sentire il fruscio delle stoffe, il calore di un piccolo animale domestico.

Il libro ha una funzione didattica vera e propria. L’autrice sente il bisogno di non tralasciare niente: anche i minimi particolari hanno una loro funzione e li ripropone, li ripercorre e li offre al lettore come linfa dalla quale trarre energia e vita «… questo micro-macrocosmo dell’infanzia, e lo ricupero per mio figlio, i nipoti per farne - magari! - linfa per il futuro o semplicemente per ritrovare una misura più umana della vita…».

Pagine belle da leggere e sulle quali riflettere La stanza alta dell’attesa. Il nostro essere è frutto delle esperienze passate, nulla della nostra esperienza umana è dimenticato, ma va custodito nel profondo del nostro cuore, nelle nostre cellule, basta solo guardarsi dentro, scrutare profondamente e attraverso la riflessione recuperalo e riportarlo in vita. «...Sono suoni-immagini-moti / dell’animo-attimi / rimasti in me come sbiadito / fotogramma muto di un vissuto / piccino troppo piccino / per dirsi vissuto / ma sempre tessera valoriale / del mosaico-vita…».

Marcella Mellea 

Maria Luisa Daniele Toffanin, La stanza alta dell’attesa, Valentina Editrice, 2019, pp.144, 15€.

 

 

 

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