Maria Luisa Daniele
Toffanin
LA STANZA ALTA
DELL’ATTESA
Recensione di Marcella
Mellea
La stanza alta dell’attesa, di Maria Luisa Daniele Toffanin, è un
alternarsi e un mescolarsi di prosa e poesia: prosa impregnata di poesia e
poesia narrata. L’autrice, attraverso il ricordo, visita diverse stanze della
memoria, come lei stessa le definisce: stanze che racchiudono eventi, momenti
della vita, di un’infanzia felice, ricca di affetti, di unione, di solidarietà,
di magia, di sogno, e soprattutto di attesa, e li consegna al lettore cariche
di emozione, sottraendole per sempre all’oblio del tempo. Un memoriale poetico,
dunque, ricco di dettagli, che dà forma e voce a personaggi e luoghi cari
all’autrice: «… Così nell’infanzia si apre un corridoio / infinito di rimandi
emozionali / sgorgati emersi dalle stanze dell’anima / come lava dal cratere…» (Luoghi).
Grande protagonista dell’opera è la
città del Grande Santo Antonio: Padova, con le sue chiese, le botteghe, gli infiniti
scorci, la gente dal cuore buono, le strade che riecheggiano di voci e giochi di
bambini, le corse, i battiti del cuore, lo stupore per le cose belle, la gioia
dell’autrice bambina. «Mia città dell’utopia / mondo limpido di gente fida / il
sentire sincero umile / pur d’interiore spessore / gli occhi non baluginavano /
ancora d’arroganza» (Padova). Gli anni della guerra sono narrati
con intenso pathos: la speranza del ritorno, la gioia dello stare insieme, la
bellezza per le piccole attività quotidiane diventano un canto alla vita. Basta
poco per sognare, per essere felici; un monito ai giovani e agli uomini dei nostri
tempi, dove nulla sembra rendere felice e tutto è motivo d’insoddisfazione.
L’attesa, di leopardiana memoria, è la
forma più autentica di felicità: è nell’attesa che tutto si immagina e si
prefigura; un’attesa ormai sconosciuta nei tempi moderni, in cui tutto si consuma
in fretta e voracemente. La vita è un’attesa continua e, per riprendere una
celebre frase di Victor Hugo, «Rêver, c’est le bonheur; attendre, c’est la vie»,
«Sognare è la felicità; aspettare è la vita» (Le Feuilles d’automne).
L’attesa scandisce i vari momenti, è il leifmotiv,
il filo conduttore delle varie parti del libro. Attesa ricordata e scandagliata
in tutte le sue sfaccettature, pregna di emozione, speranza, desiderio, gioia: attesa
del padre e della famiglia per il ritorno dalla guerra, attesa delle elezioni,
attesa parva, attesa innocente, attesa della vita, della morte, attesa del presepe,
del Natale, della Pasqua, della Befana, della prima comunione, della processione,
del compleanno, del vestito nuovo, dei giochi, dei compagni, attesa dei carri
allegorici «…Sono andata così a ritroso nel tempo mitico dell’infanzia e ho
ritrovato la mia minuta vicenda, inserita tra le pagine del secondo conflitto
mondiale, proprio nel carteggio fra mio padre e mia madre risalente a quel periodo.
Ho sentito allora di appartenere all’universa famiglia nelle mie prime attese
sospese fra mito e storia»; «L’attesa è il ritmo che cadenza la vita e della
natura e dell’uomo. La mia, le nostre infanzie sono state tempo di infinite
attese che ci saziavano con il loro stesso succo…».
Tra tutte le attese, la più bella era
quella del Natale: «L’attesa era il portico / ovattato di silenzio / la notte
di Natale. / Là il padre la madre la sorella ed io / insieme tutti stretti / ai
tabarri neri dei pastori / con pecore discesi da lontano. // S’alzava
avvolgente un suono / ancora struggente di cornamusa / soffuso per gli incavi,
effuso / per la piazza del Santo patavino / ma là nel buio era solo nostro / un
suono intimo di famiglia / che si faceva universo. / Quel suono era l’attesa / –
ora mi si svela il vero – / della Luce nella tenebra» (La
mia attesa bambina del Natale).
Il libro alterna delicate poesie a riflessioni
profonde. Dalla lettura della La stanza alta
dell’attesa si evince che la Storia deve essere insegnata alle
nuove generazioni attraverso la storia quotidiana della gente comune, di chi ha
vissuto i grandi eventi e nel suo piccolo è riuscita, con dignità, a dare il proprio
contributo alla società, trasmettendo valori autentici e veri. Nel susseguirsi
delle varie pagine piene di ricordi, nel dispiegarsi dei vari episodi, quei
tempi, quell’epoca, quel modo di vivere, diventano il simbolo e l’esempio e
l’espressione di un’umanità viva, seppur sofferente e povera, ricca di solidarietà,
bellezza, dedizione e gioia.
Attraverso
un linguaggio originale «…Nell’ombra-luce ritmata dagli incavi / la vita in
saluti d’amicizia sinceri / con l’attesa-piacere di rivedersi nei salotti
buoni…» (Via Gabelli) ricco di accostamenti
insoliti, sinestesie, assonanze, ossimori, l’autrice ci veicola, con sguardo
fanciullesco, un mondo migliore, fatto di semplici e innocenti cose, una sorta di
età dell’oro, ci fa assaporare e respirare un luogo incantato, animato da un’umanità
solidale. «…Erano le loro mani aperte
in gesti di amicizia e generosità, nella casa sempre vissuta con gioia insieme
a parenti e amici. Un vivere altro di sacrifici, rinunce, ma sereno e fiducioso
nella provvidenza e nel conforto reciproco»; «…Luoghi tanti, amati: di ognuno
la dolcezza di un ricordo, di un volto, di un’amica fidata nel ripetersi di esperienze
amicali sullo stile genitoriale. Persone e luoghi non perduti, ma riproposti nelle
ore dei giorni futuri in altri luoghi infiniti». Nel ricordo tutto s’illumina e
si colora. L’autrice riporta in vita e con grande abilità, suoni, sapori,
colori, particolari reconditi ed emozioni ad essi collegati, visioni di felicità
domestica, quando seppur poveri si era ricchi di valori e forza d’animo; nella
lettura dei versi sembra sentire il fruscio delle stoffe, il calore di un piccolo
animale domestico.
Il libro ha una funzione didattica vera
e propria. L’autrice sente il bisogno di non tralasciare niente: anche i minimi
particolari hanno una loro funzione e li ripropone, li ripercorre e li offre al
lettore come linfa dalla quale trarre energia e vita «… questo micro-macrocosmo
dell’infanzia, e lo ricupero per mio figlio, i nipoti per farne - magari! -
linfa per il futuro o semplicemente per ritrovare una misura più umana della vita…».
Pagine belle da leggere e sulle quali riflettere La stanza alta dell’attesa. Il nostro essere è frutto delle esperienze passate, nulla della nostra esperienza umana è dimenticato, ma va custodito nel profondo del nostro cuore, nelle nostre cellule, basta solo guardarsi dentro, scrutare profondamente e attraverso la riflessione recuperalo e riportarlo in vita. «...Sono suoni-immagini-moti / dell’animo-attimi / rimasti in me come sbiadito / fotogramma muto di un vissuto / piccino troppo piccino / per dirsi vissuto / ma sempre tessera valoriale / del mosaico-vita…».
Marcella Mellea
Maria
Luisa Daniele Toffanin, La stanza alta dell’attesa,
Valentina Editrice, 2019, pp.144, 15€.
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