Gabriele
Bellucci Aldo Giordanino
Mario
Fulvio Giordanino Anna Vincitorio
COME RUOTA DI PAVONE. Antologia di narrativa a cura di Eugenio Rebecchi. Blu di Prussia Editrice. Monte Castello di Vibio. 2018
Una
antologia di buon impatto visivo, ben fatta, attraente, editata con gusto e
competenza dalla Casa
Editrice Blu Di Prussia di Eugenio Rebecchi, Editore di lungo corso aduso a libri
di valore bibliografico per caratteri, impaginazione, e veste grafica. In
copertina la ricchezza policroma del pavone, l’abbondanza del piumaggio che
tanto dicono del polisemico contenuto del testo. In quarta una tranche della
nota introduttiva a firma di Rebecchi: “... Le
narrazioni si susseguono con vivacità di ritmo e con apprezzabili spunti
sia quando sono frutto di pura invenzione, sia quando rappresentano fatti
storici o autobiografici. Ne consegue un’esaustiva rappresentazione di mondi
vicini e lontani, di situazioni, di personaggi, di eventi capaci di offrire al
lettore la possibilità di calarsi tra sfaccettati percorsi e raffrontarsi,
magari, con problematiche attuali...”. Quattro Autori importanti che, con
diversi racconti ciascuno, contribuiscono alla stesura crestomatica del libro.
A chiusura una nota biobibliografica per
ciascun Autore:
Gabriele
Bellucci, fiorentino, con quattro sillogi pubblicate e citazioni nella Storia
della Letteratura Italiana (Helicon), Dizionario degli Autori Contemporanei (G.
Miano), e Letteratura Italiana del Secondo Novecento (Bastogi); Aldo Giordanino,
astigiano, con L’ultimo esodo scritto
con Pier Cesare Mora; Ali d’albatro
(Blu di Prussia), Voglia di un Dio nero
(Idem), Gli anni in tasca (Baima-Ronchetti);
Mario Fulvio Giordanino, astigiano, professore di Geografia Generale ed
Economica, con un libro di racconti dal titolo La trota maschio (Blu di Prussia, 2012); Anna Vincitorio,
napoletana, trasferitasi a Firenze, studi classici e Laurea in Giurisprudenza. Impegnata
in letteratura, poesia, critica letteraria dal 1974. Molteplici le
pubblicazioni di poesia e narrativa.
Ho avuto occasione di leggere e di scrivere
sulla proficua produzione della Vincitorio, rimarcandone la energia intuitiva e
immaginifica, il suo realismo lirico e la sua facilità narrativa. Mi piace
riportare parte di un mio pezzo critico sulla sua figura di scrittrice: “... Il
tutto in una pennellata panico-ornitologica che fa da prodromica apertura ad
una narrazione che tanto ha a che vedere con la vicinanza dell’autrice ad una
natura semplice, pura, genuina; ad ali di uccelli che spiccano il volo verso
un’azzurrità che si declina in simbolo del modo di sentire della Nostra: voglia
di volare, di sottrarsi ai paradigmi di un mondo che la scrittrice condanna per
la plurivocità delle aporie. Tanta spiritualità, tanto amore, tanta interiorità
autobiografica in questa serie di brevi quadri freschi e contaminanti: “Amo e
osservo gli uccelli, rapita dalle loro volute. Le ali spalancate svelano
piumati spazi bianchi....”.
I racconti
dei quattro Autori si connotano per
agilità architettonica, per freschezza di immagini, e autorevolezza di pensiero
Non è difficile scoprire nel loro dettato verbale la predisposizione alla
scrittura, alla rappresentazione di fatti e personaggi rivelanti problematiche
di attuale portata. Le figure risultano ben inserite nel contesto di
una trattazione spigliata e coinvolgente, dove la natura, spesso chiamata a
collaborare con la sua plurale significanza (vedi i Racconti della Vincitorio),
si fa dolce, mansueta, ribelle o di antropologica contaminazione nella
concretizzazione di sentimenti e pensieri.
Gabriele
Bellucci ci si rivela con tutta la sua forza dialogica descrittiva, mentre Aldo
Giordanino nel suo Due pagine bianche ci
porta nel lontano 1571 all’interno di una struttura di Messina.
Lo
stile è apodittico, conciso, paratattico, energico e conclusivo. Di
affascinante resa. Gli schizzi frenetici delle descrizioni ci danno la chiara
idea di un Autore aduso ad un dire semplice, arrivante e spigliato che conduce
con tratti esperiti alla conclusione drammatica della battaglia di Lepanto.
Mario
Fulvio Giordanino nel suo Una fucilata
perfetta ci fa vivere i dintorni della seconda guerra mondiale fra
Partigiani, Repubblichini, mitragliatrici, amicizie: “... Non osavamo alzare la
testa per paura di essere colpiti. Attendevamo che esaurisse la scorta dei
colpi per poterci sganciare, ma quello continuava imperterrito...”, rievocando,
con realismo visivo, i momenti
drammatici di quella guerra. Seguono gli altri suoi racconti di intensa
emotività umana e psicologica: Il viaggio
di Giovanna, Il maresciallo (... Lei era vestita modestamente e portava i
capelli sciolti come di consueto...) in uno stile dialogico vicino al linguismo
quotidiano per la sua rapidità comunicativa. Quanto ad Anna Vincitorio, oltre a
conoscerla per i miei diversi interventi critici sulla sua produzione, mi vanto
di averla come cara amica; una grande intellettuale narratrice, poetessa e
critico letterario che scarica la sua densa statura emotivo-creativa in un fresco e coinvolgente memoriale come ben denotano i suoi racconti: Zeus, dove giovani, luci
psichedeliche e musica rock ci portano
in un difficile e complicato mondo giovanile.
Seguono Exodus, I dieci giorni di
prigionia, Madame Arthur, rue des Martyres, Paris 18, Blu, Sedia a sdraio
abbandonata lungo il lago, e Sul selciato. La freschezza, l’armonia, e la
scorrevolezza delle sue pagine addentano la preda, senza mollarla, fino all’ultimo
rigo della narrazione. Ma ritengo utile concludere, a proposito, con una parte di
una mia recensione: “Sedia a sdraio
abbandonata lungo il lago, dove assenze oniriche, rievocazioni, vertigini
familiari, tentativi di ritorni, fanno da cammei, da quietudini verso cui la
scrittrice si incammina per colmare distanze; per vincere il tempo che con la
sua ingordigia distrugge armonie di affetti, alcove di amore, dolori di altre
stagioni. E torna il memoriale imperioso a prendersi la scena con Ilena,
autoritaria, il pulmino di una città che
non ricorda, il giardino nell’ombra, e l’attesa di lui con le mani odorose di
legno. Poi su una sedia a rotelle. “Perché” “dov’è la mia casa?”. “Eppure
mi pareva di avere camminato tanto; c’era un bosco e l’acqua, ma non era il
mare… Quel mare… dove? Com’era il posto? C’era la torre e quella buca d’acqua
verde, sì, la buca delle fate. Ma dove sono andati i bambini?”. Con un lungo
sorriso l’uomo la guarda e le stringe le mani tra le sue. “vieni, è tardi, ti
portiamo a dormire”. Lei si alza insicura e lo guarda negli occhi: “ma tu, chi
sei?”.
Un
racconto da brividi, tracciato da una mano onesta, da un’anima netta che gronda
storia, emozione, sensibilità, vicissitudine; da un’anima accoccolata,
disumanamente insicura, con là una sedia a sdraio abbandonata lungo il lago.
Quello
che poi richiederebbe un discorso a parte, una nota non di secondo piano, riguarda
i contorni ambientali di cui Anna si serve per avviare le sue storie di pathos, passione, melanconia, struggimento,
riflessione, meditazione. E la natura, con i suoi paesaggi, monti, orizzonti,
viali, cieli brumosi… si impossessa della penna della scrittrice in funzione di
un preludio o di una concretizzazione delle sue calde storie:
“Un
turbine di foglie nel gelido vento di un autunno che si preannunziava con
piogge improvvise. A terra, specchi d’acqua disseminati, riflettevano
ombrelli e passi frettolosi…” (Presagio).
“E’
una ventosa giornata di febbraio. Il freddo si proietta all’interno della
stanza…” (Quel mercoledì di febbraio).
“Il
treno scorreva lento nella notte. Gli alberi e la bassa in movimento si
allungavano e dilatavano assumendo forme inconsuete che turbavano i pensieri di
Emanuele…” (Il quadro).
“…
i viali, gli alberi che nell’avanzare dell’autunno si colorano di giallo e di
marrone mentre scompare il verde e al suolo uno scomposto frusciare di foglie
secche che invadono i prati verdissimi, bagnati di rugiada… (La moto e la piscina).
…
Insomma
un “romanzo” che dice dell’uomo, del suo esistere, del suo inquieto sopravvivere,
dell’esserc-ci, in questa terra illuminata dal sole, e inumidita da nubi, ora
disseminate, ora affagottate, in un cielo che promette acquazzoni. Un viaggio
fatto di tappe umanamente vicine che trae dalla realtà ogni occasione per
slanci in vertigini azzurre; in campi nascosti di questa vita che ci guarda in
faccia. Questo è.
D’altronde
tutto non si può dire come non si può dire tutto sull’esistere ed il mistero
che lo circonda.
A
voi la lettura.”.
Nazario
Pardini