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Paolo Bassani, collaboratore di Lèucade |
Paolo
Bassani si cimenta in una nuova avventura letteraria carica di pathos e di
energica humanitas. Un racconto fresco e coinvolgente in cui l’Autore narra i
momenti più importanti della sua vita: dalle vicende personali, familiari, fino
a quelle paesane, ambientali, comunitarie, compresi gli accadimenti che la
rendono unica, sacra, da tramandare ai posteri per il suo peso civile, sociale,
ma soprattutto storico, documentaristico. Le mie storie
di quartiere: un titolo, che mette, fin da subito, a suo agio Bassani,
dandogli la possibilità di scrivere su avvenimenti, fatti, personaggi,
ambienti, situazioni di un quartiere, quello suo, dove è nato, cresciuto, vissuto;
è lì che ha accumulato memorie,
facendone un serbatoio a cui attingere; a cui restare aggrappato come ad un patrimonio
esistenziale di grande portata epigrammatica. Indicativi i titoli nel
diacronico succedersi dei fatti: Due
parole al lettore; Primavera alla Chiappa; La mia vecchia casa; Natale, Pasqua,
San Bernardo e altre feste; I giochi; Il canale; L’amicizia; Ritorno alla
Chiappa; Avanti c’è posto. Una
configurazione di quadri e pennellate analitico-pittoriche che, tradotta in un
dire di urgente fascino descrittivo e
narrativo, evidenzia tutti gli aspetti dell’umano vivere; dell’umano esser-ci
in un contesto lirico-realistico di vivacità capassiana: ricordi, affetti,
radici; insomma vita, in tutta la sua polisemica valenza, in tutto il suo
dispiegarsi di contatti e sentimenti; di sogni e di illusioni; di gioie e di
malinconie. Un nostos fra tempeste e bonacce alla ricerca di un faro che
illumini la strada; alla ricerca di una verità
che lo scrittore in parte ha scoperta nel rapporto con gli altri;
nell’impegno per il miglioramento di una società non sempre giusta e perfetta.
Uno spartito, questo, che spesso è contornato da un senso di saudade; di
precarietà per il tempo che passa; anche se il racconto si sviluppa su un
tracciato di effettiva posività dove l’inanellamento di immagini suggerite dal
memoriale sembra lottare e averla vinta sulle sottrazioni dell’oblio. “Quando seppi che il Comune della Spezia, in
collaborazione con l’Aidea, aveva bandito un concorso letterario, mi affrettai
per conoscere il regolamento. Il concorso che aveva come titolo “Storie di
quartiere” invitava gli spezzini (in modo particolare quelli di una certa età)
a scrivere, attingendo dalla loro memoria, storie di momenti vissuti (…) C’è
però un’altra storia che forse non approda ai libri di testo, ma che non è per
questo meno importante nella vita di una comunità. E’ il vissuto di ciascuno.
Se uniamo queste testimonianze, pezzo per pezzo, come in un mosaico, possiamo
avere allora una visione completa della storia di un paese. E’ bene, dunque, che
queste testimonianze non si perdano, ma restino come documento per le
generazioni venture. Così, grazie a quel Concorso, ho scritto le pagine della
memoria che seguono e che, altrimenti, sarebbero rimaste confinate nella mia
mente”. Questo l’inizio del testo da cui emergono i propositi e gli obiettivi
dell’Autore: narrare, tramandare, raccontare, perché la vera storia è quella tratta
dalla vita quotidiana, dalle piccole cose, dagli umili avvenimenti della gente
di quartiere. Se così fosse molte
sarebbero le storie a fare da guida a giovani, sferzati da esempi di sacrifici
e umiltà. D’altronde la vita è un mistero e rivelarne la portata per noi esseri
mortali è cosa impensabile: “Più m’addentro nel cammino degli anni -
calpestando nuvole di foglie- più m’accade di guardare indietro, al passato,
quasi per ricercare nelle mie radici una risposta al mistero della vita.”.
Forse è questa la condanna del nostro essere umani: esistere coi piedi a terra
e con lo sguardo all’azzurro; una dualità incolmabile fra rien e tout; rendersi
conto della nostra fragilità significa dare una dimensione umana alla nostra
storia; ritornare, mente e anima, corpo e respiro, alla nostra casa significa
mantenere in vita quella parte di noi che chiede di esistere: “Sono ormai più di quarant’anni che manco
dalla Chiappa: da quando le vicende della vita mi portarono altrove. In questi
anni, qualche volta sono tornato: visite fuggenti per ricercare qualcosa di
allora. Ma pochi sono i segni ritrovati. Spesso mi sono fermato davanti alle persiane
della mia vecchia finestra, eternamente chiuse sul passato.”.
Un
groviglio di volti e visioni, di input emotivi e nostalgie, si fanno avanti con
una successione incalzante di memorie. E la scrittura segue con passo morbido e
fedele un animo tutto vòlto a raccontare, a ri-vivere, e ad amare. Una parola
pregna, maturata al sole e al fresco dell’albero della vita, sciolta in tante
occasioni vitali:
LA
SCUOLA E LA MAESTRA “I ricordi scolastici
dei primi anni ci accompagnano per tutta la vita…”
NATALE,
PASQUA, SAN BERNARDO E LE ALTRE FESTE “Oggi,
come allora, uno dei simboli più diffusi e cari della festività natalizia è,
insieme al presepio, l’albero di Natale…”
I
GIOCHI “I tempi del dopoguerra, cioè
quelli della mia infanzia, non furono facili per le famiglie: tante erano le
necessità e pochi i mezzi…”
L’AMICIZIA
è stato scritto che “L’amicizia non ha un
tempo definito per fiorire, ma vive oltre il tempo”.
RITORNO
ALLA CHIAPPA “Quando lessi questa frase il mio cuore si illuminò di gioia. Non ebbi
alcuna esitazione: sì, avrei accettato con entusiasmo quell’insperato invito
della direttrice. Finalmente, dopo cinquantasei anni, sarei tornato nella mia
vecchia cara scuola elementare “Alessandro Manzoni”della Chiappa.”.
Andate
e ritorni, fughe e ancoraggi, lontananze e richiami. Questo è il viaggio; a
volte ci sperdiamo anche come zattere alla deriva, ma senza perdere mai il
sentimento di sacralità che nutriamo per l’esistere; sapendo che la vera verità
è nel nostro ritorno: “…Qui non regna il
velo gelido dei marmi né il silenzio desolato della morte; non trovano dimora
crisantemi recisi, opachi vasi e fiori di plastica, parole annerite dallo smog.
Qui ancora pulsa l'anello della vita; mi parla la tua voce, m'allieta il tuo
sorriso. Ecco la tua casa, o Madre, la mia casa: il nostro tempio della vita”.