Epillio
(Dialogo
sul suicidio
tra un
filosofo e un gesuita)
F.
Quanta
storia! Mi affascina il profumo
della carta
invecchiata. Ci respiro
tutt’intera
una vita.
Figure di
filosofi,
di poeti,
di storici; di ognuno
mi facevo
un’idea. Ricostruivo
immagini di
santi o pensatori
tormentati
dai dubbi più feroci,
isolati
magari nei profondi
loro
turbamenti. Atri pensieri
di violenze
commesse da viventi
senza
ancoraggi, in alcuni, ed in altri
amori
eccelsi sopra soglie umane
d’imprevisti
bagliori.
E proprio
del suicidio
con te
vorrei parlare Don Vincenzo.
D. V.
Brutta
cosa! Non è che la tua vita
da Epicureo
ti abbia stancato?
e che il
pensiero privo d’Assoluto
mediti
strane cose?
Speriamo
che non sia.
Tu hai
bisogno di fede, mio Roberto.
F.
Non sono qui
venuto a confessarti
ripensamenti
estremi. Tantomeno
medito
torva fine. Nel mio credo
ci sono, e
tu lo sai, saldi valori,
altrettanto
vigorosi: l’edonismo,
il paradiso
in terra, soprattutto
l’amore ed
il piacere di gustare
le cose che
natura ci ha donato:
la vita
senza un fine,
la sana
libertà,
con cui
sfruttare il caso irripetibile
della
nostra venuta. Ma quest’oggi
io sono qui
da te per affrontare
il tema del
suicidio nella storia,
mio
Vincenzo. Tu sei un amico colto,
grande
maestro, e in più sommo gesuita.
Con chi
indagare in modo più appropriato
un
contenuto che coinvolge storia,
filosofia,
scienza, psichiatria,
letteratura
o altro; verrà a galla
Saffo, Bruto minore, e prima Jacopo
o Werter o Eloise o perché no!,
L’uomo dal fiore in bocca.
Per citare.
Premetto
che il suicidio è sempre stato
in tutti i
tempi il tema di filosofi,
religiosi e
medici. E le cause
(pur
personali) sono rintracciabili
nei
rapporti sociali ed in culture,
che tanto
hanno influenzato menti umane.
Ti ricordo che
il più antico documento,
a
proposito, è il papiro di Berlino:
la morte si
considera in quei fogli
una gran
sorte di accogliente porto;
liberazione
estrema dai dolori.
E nella
lunga storia poi sarà
a volte
condannato, a volte ammesso.
Furono
epicurei, stoici e cinici
a
difenderlo. Anche Lucrezio amò
l’azzeramento
come libertà.
Ed il
saggio restava indifferente
sulle cose
e la vita.
D. V.
Ma i
seguaci di Platone e di Aristotele
vi videro
un’azione
contraria a
ogni volere degli dei.
La vita è
sacra e per il primo è un dono.
Usurpare
nessuno può agli dei
di ritenere
il diritto che una sorte
sia giunta
ormai alle porte.
Il pensiero
di Aristotele va oltre:
cancellare
non può un’azione umana
i doveri
che l’uomo ha verso i simili.
Il cristianesimo
prese il suo pensiero.
Ma parlare
dovrei anche dei padri:
S. Agostino
e S. Tommaso si ritengono
certamente
contrari a tale pratica.
Grave
delitto in quanto violazione
del
fondamento biblico che è un ordine:
“Non
ammazzare”. L’uomo, ti ripeto,
non ha
nessun potere. Spetta a Dio
creare ed
annullare vite umane.
Tribunali
ecclesiastici sancirono
norme
severe e dure punizioni
per ogni
inosservanza a pensatori.
Età
particolare
fu
certamente quella medioevale.
F.
Offuscava
il tempo, con soffocante
aria di
punizione e di peccato,
ogni
coscienza. E si capisce bene
perché per
lungo tratto quel fenomeno
si fosse
assottigliato. Ma il suicidio
fu visto
solamente
sotto il
profilo etico
e religioso
fino a quella età.
Attendere
dovremo
il
rinascente spirito
e ancora di
più il tempo dei lumi
per essere
stimato
come un
atto di libertà dell’anima.
E ne fa
fede l’opera di Hume;
da noi fu
d’accordo il Beccaria
per
un’azione vista con ragione
e non più
sotto l’azione
offuscante
dei sogni. Ma per Kant ...
D. V.
Kant è ben
altra cosa mio Roberto.
L’osservazione
sua sul suicidio
che fa
torto a se stesso quando ignora
che
l’esistenza (al di là dell’empirismo
di una
persona umana portatrice
di valori
esteriori) è dotata
di una
particolare dignità,
è di radici
cristiane. Ma è tra
i romantici
che esplode il nostro caso.
F.
Veniva il
tempo in cui amore, onore
ed eroismo
furono ideali
che ne
fecero incetta. E tutti furono
simboli di
quella generazione.
E si aggirò
senz’altro sulle sponde
del suo
mare o sui colli solitari
del suo
suolo, con in mente un duraturo
marmo sugli
Euganei, il poeta.
Per lui
deluso, solo la battaglia
più antica
di un eroe con l’immagine
eletta di
un aedo, fece sì
che
vincesse la vita. Lunga storia
da caduco
mortale ai propri versi
lesse esaltato.
Eppure, epicureo
anche lui,
e senza ardore per il regno
dei cieli,
seppe dare ad un sepolcro
eterna
giovinezza. Eppure vide
la durata
dell’uomo nel pensiero
che
tramandò la storia. E così,
il gran
cantore di saffiche stagioni
e della
cruda sorte del minore
dei Bruti,
nonostante divorasse
natura
l’Islandese, amò l’amore
e in Silvia
e in giovinezza; e in arduo modo,
fuori da
intendimenti trascendenti,
esaltò
epicamente
il senso
della vita e propugnò
che l’uomo
si associasse contro sorte.
D. V.
Ma tanto
più serena è l’esistenza
se si vede
la fine
in grembo
al Creatore. Di quei tempi,
di cui hai
portato esempi
da fuoco
degli Uberti, è pure il monito
di colui
che predicò nel grande libro
la mano del
divino e vide il còrso
a dominare
il mondo perché fu
Iddio che
lo volle. Più sereno
fu
certamente l’animo dell’uomo
che
s’impegnò civile e religioso
verso mete
di fede e di speranza.
F.
Più eroico
però di certo è il ruolo
di quelli
che notarono convinti
nella vita
terrena uguale sorte
per ogni
mortale. Ed in loro,
sfortunati
di fede, fu senz’altro
più
apprezzabile lo sforzo di assegnare
all’esistenza
un impegno e un dovere.
D. V.
è il filosofo estremo ad
affermare
che è
attraverso il suicidio che un vivente
confermerà
il dominio sul volere
senza
esserne schiavo. Esistenziale
sarà il
problema. E tanto crescerà
lo sfronto
tra l’esistere e la vita
che
aumenteranno i dubbi. Facilmente
si ridusse
alla morte in un albergo
chi non
vide possibile
risplendere
la luna sui falò.
E proprio in
questi tempi puoi notare
quanto sia
duro il fatto dell’esistere.
Quanti
dubbi imperversino in viventi
soltanto
inariditi
da scopi
materiali. I nostri giovani
li vedi
spersi e incerti vagolare
in mondi
defraudati dello spirito.
F.
Penso alla
civiltà d’Oriente. E a quanto
sia diversa
la prassi nei confronti
del
suicidio. Accettato, spesso acquista
funzione
religiosa, laggiù. In Cina
ha valore
di protesta contro offese
di disonore
pubblico
per chi
l’abbia commesse. Ed in Giappone
moralmente
non era condannato;
diventava
una vera cerimonia
di
“harakiri” che
(a volte,
morendo l’imperatore)
portava a
suicidi collettivi.
Questo è un
solo esempio.
D. V.
Mentre il
Buddismo è in linea generale
contrario a
tale atto. Ché si pensa
non possa liberare
dal circuito
delle
reincarnazioni. Solamente
si ammette
che (se un monaco si sente
di avere
ormai raggiunto la beata
contemplazione)
il religioso possa
compiere il
gesto estremo con il fuoco.
è in India che si aggiunse
anche una pratica
(detta “sutuee”):
imponeva
di seguire
alla vedova sul rogo
il corpo
del defunto. Come vedi,
per chi era
nei paesi più diversi
altrettanto
diversi erano gli usi.
F.
Se mi
permetti voglio completare
con note
più precise
riguardanti
la scienza. Solamente
a partire
dal secolo di Freud
viene
affrontato l’atto suicidario
con ottica
medica e scientifica.
Tutti gli
aspetti sono contemplati:
il diritto
dell’uomo,
la libertà
di scelta,
fino ad
ogni forma preventiva
con studi
sia di psiche che di ambiente.
D. V.
La psichiatrica
tesi di Esquirol,
ripresa da
Brondel ed alienisti,
portò alla
conclusione
che il
suicidio è una conseguenza
d’infermità
mentale, temporanea.
Fu una
condivisa affermazione.
F.
Anche
Virginia Wolf era ammalata?
Disse di
sé: “Mi sento come un cumulo
di sabbia
sotto un’onda.” E proprio l’onda
recise la
sua età
galleggiante
nel rischio.
Forse
doveva attendere
che il
destino giungesse
a recidere
il filo: una tempesta
per
Schelley, una stazione per Tolstoj,
(la stessa
conclusione per Karenina)
o una
povera spina di una rosa
per Kilke.
Ma per Virginia forse
fu
possibile soltanto epigrafare
l’idea di
libertà in “death by water.”
E qui da
noi che dire sul problema.
In Italia è
follia? Ma di chi?
Degli
indagati o degli indagatori?
In un paese
dove cresce il numero,
vi cresce
la pazzia?
È malattia di mente o è il
sistema
che non
funziona più, il potere occulto
che occulto
più direi.
L’ultimo è
Lombardini (e lo speriamo)
dopo
Gardini, Cagliari, Amorese,
Moroni,Vittorìa;
questi indagati
non ressero
al tormento. In prospettiva
di un
calvario così triste delle indagini,
e di una
risonanza,
che un
fatto può ottenere nei mass-media,
Lombardini
ha scelto la sua fine.
Mi hanno
insegnato a scuola ed ho insegnato
che alla
base di un mondo democratico
vige la
divisione dei poteri.
Non è così.
Il sistema è squilibrato.
Ed anche un
grande uomo
ha dovuto
sottostare agli ostacoli
di lotta
burocratica e politica,
che taluni
individui
gli volsero
contro con superbia.
Dimostrò
lottando che la storia
della prima
repubblica non era
del tutto
da gettare. E quanto fosse,
al
contrario, opinabile e illusoria
l’onestà
della seconda. Che illusione!
Il piccolo
cimitero di Hammamet
lambisce il
mare e assorbe quelle aurore
che
aspergono le coste dell’Italia.
Volge lo
sguardo a Oriente,
le spalle
ad Occidente
inebriandosi
dei canti
degli
inquieti gabbiani.
è là che, morto, vive un
Italiano
in un
perpetuo esilio della mente
rivolta
alla gente del suo cielo.
Guarda
lontano che si levi il sole.
Forse gli
porterà note e portali
di Verdi,
di Puccini e del Vasari.
Da questa
parte
se vuoi
vedere l’alba
gli devi
volgere le spalle di vergogna;
per
guardare il tramonto
sei
costretto con gli omeri a una patria
rossa nelle
facciate e sopra i tetti
di un’aria
che ricorda altri sospetti.
19/01/2000