Sentimenti ed emozioni minimali
nella poesia di Vincenza Armino
Cromie, titolo
della nuova silloge di Vincenza Armino, ci immette da subito in un
contesto di tessiture atomiche di esperienze e di emozioni che hanno luogo
nella sua anima. Un microcosmo fatto di particelle fluttuanti, eteree ed
incerte, indefinibili. Non è facile desumere dai versi da cosa prendano origine
e verso dove navighino, a quale porto cerchino approdo. E davanti a noi si
schiude uno scenario di totale indeterminatezza.
“Cromie” non è, per l’appunto, un termine
che ci immette nella sostanza delle cose, non è riferibile al loro essere, al
loro fondamento, ma a qualità variabili di esse. Ed infatti i versi ci appaiono
vuoti di reale e concreto contenuto, e della realtà descrivono solo sfumature,
piccole ombre o bagliori, aspetti particellari e minimali.
La versificazione scarna, e la tonalità
apodittica di questo procedere, ci mettono innanzi a un tutto senza fine né
inizio, senza perseguimento di obiettivi e direzioni. Un coacervo di vaganti
particelle, piccoli embrioni dell’anima, piccoli conglomerati, ognuno dei quali
sembra vivere per se stesso - quasi una monade senza finestre. Vi è
completa astrazione dal contesto reale da cui l’esperienza emozionale
scaturisce, e l’autrice si concentra solo sull’impressione recepita, e sull’interiore
accumulo emotivo da questa prodotta. Il resto ci appare in ombra o come messo
tra parentesi, o forse, volutamente non considerato.
Così, i versi cedono, in piccole gocce, in
perle di minuscole costellazioni di percezioni, emozioni e sentimenti, gli
istantanei guizzi dell’anima. Si tratta di essenze e concetti distillati a
rappresentare momenti peculiari dell’interiorità, ma avulsi dal contesto reale
da cui prendono vita, e pertanto, le immagini suggerite sono spesso stranianti,
spesso prive di contiguità logica anche con altre immagini presenti nello
stesso testo, e finiscono col dare, talora, l’impressione di passaggi
artificiosi, arbitrari o appunto atomici, e a suggerire una fluttuante
inconsistenza di eventi minimali senza tempo né spazio né memoria. I versi
esprimono tali indefinite risonanze anche quando sembrano nominare entità
concrete: “Solide gambe e / mani rugose. // Crepuscoli. // Sfumature. // Corvi
neri e / notti stellate. // Linea d’ombra / tra il grano / e il cielo” (Desìo). Qui, quella che sembrerebbe
una descrizione del mondo reale è in realtà la connotazione di un peculiare
sentire. E come ha acutamente rilevato Nazario Pardini, nella sua attenta analisi del
testo, sembrerebbe che l’autrice rivesta di un senso tutto interiore gli
oggetti, facendone quasi una sorta di “correlativo oggettivo”, alla maniera
montaliana.
Il linguaggio prende allora una nuova
configurazione, si apre alla ricerca di nuove espressività, la struttura
metrica si condensa, si fa ermetica, si ricama e si costituisce di ellissi, ora
verbali, ora nominali, ora sintattiche. Talvolta, invece, è costruita in
accumulo, con elencazioni dello stesso tipo: “Risuonava come / un aforisma, /
una massima, / una battuta, / un monosillabo, / un colpo di gong. // Risuonava /
spingendo dentro / il dilemma vitale” (Ritorno di fiamma). Ora, nelle due brevi strofe è ripetuto un unico stesso
verbo, “risuonava”, accompagnato, nella prima, da una sequenza di sintagmi
nominali - distribuiti nei cinque versi a seguire - che ci comunicano la
modalità di questo “risuonava”. Mentre al verbo, identico nelle due strofe, non
è attribuibile alcun soggetto. Il presente andamento lo ritroviamo in molti
altri testi. Eccone un altro esempio del tutto simile al precedente: “Scendevano
lente / e ricoprivano le cose / come sfumature calde / come bei colori. /
Danzavano. / Erano / carezze di luce, / scarabocchi di pensieri, / contatti, /
abbracci, / ragnatele invisibili. / Legami.” (Scendevano). Anche qui, ci imbattiamo in
forme verbali del tutto prive di soggetto, il quale soltanto si specchia nella
modalità in cui le azioni si compiono e nella sequenza di predicati nominali ad
esso collegati. Un procedimento in funzione straniante e fortemente evocativa.
Il discorso interiore,
focalizzato sulla percezione, è quasi sempre espresso in terza persona, come se
l’autrice ambisse al distacco dal proprio sé per un’osservazione più attenta e
lucida del fenomeno interiore. In taluni casi, dunque, il soggetto mancante è
riconducibile all’autrice del testo (che parla di sé in terza persona) e all’osservazione
che su di sé conduce: “Cercava / nei grovigli / un suo sentiero. // Premeva la
vita. // Riprovare, / si ripeteva. // Doveva // Poteva // In Alto, / la sua forza,
/ la voglia / di lottare” (Ferma). Così è in tanti altri testi, come Senza nome,
Libera mente,
La vide,
Era lei,
Visioni d’anima,
12 agosto,
ecc.
Quanto
espresso comporta che l’intero percorso della silloge non è attraversato da
tematiche dall’ampio respiro né aventi uno sviluppo organico, ma i temi sono
appena accennati e sfuggenti. Tuttavia la parola appare non fortuita, e
sembrerebbe, talvolta, frutto di una ricerca che ha alla base se tessa, come in
un intento di costruzione di una sorta di collage verbale.
Tuttavia,
molti testi, all’interno della stessa silloge, mostrano una struttura meno
rigida e densa; la loro stesura ci appare più articolata ed aperta, e la
sintassi è, in linea di massima, rispettata, senza accumulazioni o ellissi
ricorrenti. Non troviamo più la “parola-frase” - che altrove ricorre in
pregnanti condensazioni di senso - e in buona sostanza, la forma ci appare più
aderente ai canoni di una versificazione tradizionale: “Il rumore della risacca
/ saliva dalle scogliere. // La natura continuava il suo corso, / il mare / il
suo andare eterno / e il tempo / il suo fluire”. Qui, la dimensione temporale
costituisce l’elemento pregnante del testo, suggerito dal rumore del perpetuo
infrangersi della risacca.
La presente opera, è inserita nella collana Analisi Poetica Sovranazionale del terzo millennio, dell’Editore G. Miano, e le prefazioni al testo - a firma di Nazario Pardini e di Enzo Concardi - assimilano alcune sfaccettature di esso, l’uno alla specificità di taluni aspetti della poesia montaliana e di quella dell’americano Turner, e l’altro ad alcuni accenti della particolare anima dickinsoniana.
Rossella Cerniglia
Vincenza Armino, CROMIE, prefazioni
di Enzo Concardi e Nazario Pardini, pp.104, Guido Miano Editore, Milano 2020, isbn
978-88-31497-36-7.
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