Loredana D’Alfonso su “La rosa bionda” di Isabella Gianelloni
Loredana D'Alfonso,
collaboratrice di Lèucade
Con
questo valido romanzo storico di qualche anno fa, edito da “Piazza Editore”,
l’Autrice si è liberamente ispirata ad una donna realmente esistita.
Tea è
il nome di una rosa ed ha il colore biondo dei capelli di una donna nata nel
1903 che ha attraversato la storia.
La
vicenda inizia con il ritorno della donna a Trieste dopo vent’anni di
lontananza, il treno dà il ritmo al viaggio interiore a ritroso nel tempo, dal
finestrino il suo sguardo passa in rassegna i ricordi.
Tea
parte da una Napoli dell’immediato dopoguerra, un lembo di terra dove si pensa
alla ricostruzione e al domani, mentre, nel resto dell’Italia, infuria una
guerra fratricida.
Sullo
sfondo di un Paese che passa dal fascismo alla guerra e alla liberazione, si
snoda la vita di una donna che farà dell’impegno sociale e politico la sua vera
missione.
La
protagonista è di origine slovena e nella cronaca della sua infanzia l’Autrice
mette in risalto due personaggi che, nel bene e nel male, influenzeranno tutta
la sua vita.
La prima
è la madre, una donna passiva e lamentosa che non si rassegna all’assenza del
marito che morirà sulle rocce del Carso.
“Noi donne…abbiamo bisogno di una guida,
di un uomo accanto, senza siamo alla mercé del mondo”.
La
seconda è la contessa austriaca al cui servizio lavora la madre e presso la
quale andrà a vivere con la famiglia. La nobildonna, stravagante, autonoma,
distaccata nella sua diversità che il rango le concede risulterà fondamentale
nella formazione di persona e di donna della protagonista.
“La contessa manteneva il suo sguardo
fiero e allegro allo stesso tempo, sembrava quasi che non le importasse molto
del fatto che suo marito da Vienna non era più tornato, anzi diceva alla mamma
che doveva ritenersi fortunata di avere qualcuno da rimpiangere”.
La
nobildonna crea con il suo esempio e con il suo comportamento fattivo un ponte
di libertà che permette a Tea di sfuggire dalle eterne lacrime della madre e di
costruire per sé una fisionomia libera e indipendente.
La
marcia su Roma trova uniti e innamorati Tea e il suo Arnaldo, al loro matrimonio
si parla triestino e sloveno, inframmezzato - come racconta l’Autrice - dal tedesco della contessa.
La
felicità è uno sprazzo di sentire luminoso ben descritto dalla Gianelloni: “Questo è lo stato d’animo di Tea, si sentiva
felice e utile, non come le altre ragazze della sua età. Non solo aveva accanto
un uomo innamorato, ma poteva decidere con lui, non se ne stava in un angolo
della cucina ma partecipava alle discussioni con gli altri compagni”.
Il
figlio della coppia, Spartaco, nasce a casa
della contessa, che continuerà ad essere il vero Nume tutelare della ragazza.
La
solitudine si affaccia nella vita di Tea e sarà l’unica compagnia che non la
lascerà mai più. La donna dovrà affrontare i distacchi dal marito, la
clandestinità, la lontananza forzata dal figlio.
La
protagonista, braccata ovunque dalla polizia di Mussolini, ha la stoffa di una
clandestina perfetta, scrive per ore i volantini e i resoconti di partito con
una vecchia Olivetti M1.
Entra nel
Partito Comunista nel 1921 ed al partito dedicherà le sue forze, la sua
passione, la sua intelligenza e, per il
partito e i suoi ideali conoscerà tre anni di carcere.
“Chiunque parla di libertà, ognuno ce l’ha
nel proprio vocabolario, pochi sanno davvero cosa essa sia. È la sua mancanza a
darne l’esatta percezione, è il timore di perderla di nuovo che muove i passi
di chi l’ha riconquistata”.
Tea
uscirà indurita dalla prigionia, una donna diversa che dovrà affrontare la
ferita più grande, la fine del suo matrimonio.
Bellissimo
il suo discorso in un riunione a Parigi
dove si trovavano i anche i “compagni dirigenti”.
C’è
anche Arnaldo, suo marito, con gli occhi bassi.
Tea,
che ha conosciuto le galere di Mussolini, è stata abbandonata da un uomo geloso
e invidioso.
Colpevole
di bellezza e intelligenza, viene accusata ingiustamente di essere frivola e
infedele.
Nelle
parole appassionate della sua difesa emerge anche la sua autonomia emotiva dal
partito, che, pure, è divenuto di fondamentale importanza nella sua vita.
“Dovresti essere stato orgoglioso di tua
moglie, di avere al tuo fianco una donna e non un soprammobile, se volevi per
te una ragazza brutta potevi rivolgerti altrove. Tu Arnaldo mi hai ingiustamente
allontanata, non hai voluto sentire le mie ragioni, non hai avuto fiducia, la
stessa che io ho sempre nutrito verso di te. C’è solo una persona a cui dovrò
delle spiegazioni, il mio Spartaco. Al partito prometto la fedeltà di sempre,
l’abnegazione, il sacrificio….nessuno però ha il diritto di dirigere il mio
cuore, fermarlo o muoverlo a piacimento….quest’uomo ha pensato di riavere la
propria moglie, come se fosse una sua proprietà, grazie ad un ordine del giorno
del partito”.
L’autrice
ci porta per mano a Parigi, un’isola felice in quegli anni tragici, sentiamo il
profumo del croque monsieur nei Boulevard,
mentre in Spagna c’erano uomini e donne pronti a morire per l’idea di un nuovo
Stato.
Ma nel
’36, Francisco Franco ha l’appoggio di Mussolini per stroncare la giovane Repubblica.
“No pasaràn!” è il grido sussurrato che
passa di bocca in bocca e che dà la forza a Tea di fondere tutto il suo essere
nella lotta contro tutte le dittature del mondo.
E’ la
sua vita, la sua ragione di esistere.
Vediamo
attraverso gli occhi di Tea le bandiere con le svastiche che invadono l’Europa,
la guerra, il confino.
Finita
il conflitto, Tea capisce che non ha senso aspettare oltre e capisce che vuole riannodare i fili della sua storia,
tornando a Trieste alla ricerca delle sue radici e del rapporto con il figlio.
“Basta, dunque. Era ora di affrontare una
volta per tutti gli spettri, ingaggiare con se stessa la battaglia più dura,
ammettere le debolezze, gli errori, analizzare
impietosamente una volta per tutte le scelte di una vita intera”.
Il
finale è aperto, ma lascia spazio ad una nuova storia ancora tutta da scrivere.
La struttura
tecnica del romanzo vede una parte di ricordo e una parte in corsivo che
descrive il presente, che accompagna il suo ritorno a casa, durante il quale
ricorda e osserva anche i compagni di viaggio.
“Si mise ad osservare ancora una volta le
persone vicine, ognuna aveva una sua storia, gioie e sofferenze da raccontare,
coriacee speranze e radicate disillusioni. Le venne voglia di raccontare, di
confidare a qualche sconosciuto gioie e dolori, spiegare quelle scelte che a
volte aveva compiuto anche a dispetto di se stessa”.
Il ruolo
di Trieste è centrale, di forte impatto emotivo, il posto dove tornare, le
radici, il mare, la bora.
Bellissime
le descrizioni, quando si paragona il vento gelido di Milano, estraneo, alla
brezza di Trieste che era l’aria umida di casa.
Trieste,
sdraiata lungo il golfo, madre e matrigna, confine essa stessa.
Le
note dello spartito della Gianelloni mi hanno ricordato quelle di “Una donna”
di Sibilla Aleramo.
Quest’ultima
compone il romanzo tra il 1901 e il 1904, la contestualizzazione storica è
differente e così anche i due ritratti
di donne, ma entrambi sono cesellati nella pietra dura di un identico coraggio.
Sono
storie di presa di coscienza, due donne che capiscono di non poter vivere senza
realizzare loro stesse come persone e non solo come mogli e madri, come voleva
la cultura del tempo.
In
entrambe le storie c’è un altro elemento in comune: un figlio amatissimo, abbandonato
per cause di forza maggiore, ma mai dimenticato.
In “Una
donna” la protagonista lascia il marito (che era stato il suo violentatore) e
si trasferisce a Milano. Viene privata del diritto a vedere il figlio, addirittura
il marito oppone il “divieto maritale” a riscuotere una sua eredità.
La
donna si dedica all’impegno sociale, all’insegnamento e soprattutto al progetto
della sua vita, quello di scrivere il “libro per il figlio” come testamento
spirituale e morale.
Il
senso della vita e della lotta di Tea, della sua dedizione ai suoi ideali, a un livello più alto di
amore, è l’esempio, il messaggio, il dono che consegna nelle mani di Spartaco,
l’uomo nuovo che proseguirà nella sua stessa lotta per un mondo migliore.
E non
è molto diverso, in fondo, dal testamento struggente della protagonista dell’Aleramo dedicato al figlio.
“Ed è per questo che scrissi. Le mie parole lo raggiungeranno”.
Loredana
D’Alfonso
Loredana continua a stupirmi e a coinvolgermi in questo magico viaggio tra i libri presentati nel decennio di eventi condotti a Roma. Ovviamente sta operando una scelta, in quanto si tratta di centinaia di Autori, che come affluenti hanno irrigato il grande fiume della ricchezza interiore. Isabella Gianelloni ha dipinto una grande Donna slovena, che la nostra Lory descrive come in meraviglioso quadro. Le sue pennellate rapiscono e rendono chiara l'idea del talento della Scrittrice e del valore sociale di questa Rosa bionda, che lottò duramente in un mondo dominato dal potere degli uomini. La ringrazio con l'affetto antico e fraterno che ci lega per quest'avventura di 'recupero e d'amore'. Victor Hugo disse che i libri sono importantissimi e 'una biblioteca rappresenta un atto di fede'... Mai come adesso ne abbiamo bisogno! La stringo forte insieme alla carissima Isabella che porto nel cuore.
RispondiEliminaGrazie a Maria per le sue parole affettuose come sempre....sono tanti i libri validi che abbiamo presentato insieme a Roma e non è facile operare una scelta e recensirli....ma hai ragione tu Maria c' è bisogno ora più che mai di buone letture che rinfrancano l'anima....grazie all' Autrice che ci ha ringraziato in privato e grazie, sempre, al Nume tutelare di questa Isola feconda!
RispondiEliminaUn abbraccio a tutti e tre
Loredana D'Alfonso