venerdì 29 luglio 2022

CLAUDIO FIORENTINI: "DOPO L'ENNESIMA CRISI DI GOVENO..."

 Dopo l’ennesima crisi di governo, stavolta la meno necessaria e la meno comprensibile, ci si ritrova a fare i conti con due politiche: una che coinvolge le masse a colpi di slogan, e una che tenta di farsi capire senza riuscirci. Il problema sembra che sia la comunicazione, la prima efficace, la seconda fallimentare. In entrambi i casi, la comunicazione è legata a un sistema ormai consolidato che ha visto la luce in anni recenti, dove regna la contrapposizione e latita il dialogo. Comunicazione che, con tutte le sue sfumature che vanno dal dileggio dell’avversario al più crudo “vaffanculo”, accende il faro del manicheismo con la chiara divisione tra bene e male.

Qualcuno ricorda come Berlusconi, oltre a promettere mari e monti, ad ogni intervento sottolineava che gli altri erano i comunisti, brutti, cattivi e anche puzzolenti, che andavano visti con repulsione e ribrezzo. Ricordo un mio viaggio nel Matese, quando andai a trovare alcuni zii e cugini, erano gli anni novanta: una mia zia, attaccata alla televisione in cucina, mentre scarabocchiava un cruciverba, ripeteva le parole dette dai giornalisti o da Berlusconi, sorridendo quando parlava lui, e ribattendo l’astio contro i comunisti…

Non ebbi incontri facili con quel ramo della famiglia, io ero quello che andava preso in giro, quello che doveva essere deriso, un cittadino che pretendeva di obiettare quel modo di subire il messaggio del “potere”. Non era questione di simpatie politiche, ma di mancanza di dialogo, le porte erano chiuse e i comunisti (sebbene il comunismo fosse morto e sepolto da anni) erano nemici che andavano estromessi da qualsiasi forma di dialogo. Punto e a capo! La separazione tra due fazioni (i buoni da una parte e i comunisti dall’altra) fu l’opera maestra delle TV di Berlusconi.

Certo, il mio esempio è un caso estremo che forse dipendeva anche da me, ma quando invece del dibattito si ricorre alla derisione, qualcosa non va. Fu in quel periodo che si iniziò a parlare di persone più che di idee, e solo il più bello, il più telegenico, il più presente nei notiziari o nei salotti TV era meritevole di ascolto. Gli altri erano dei cialtroni.

Conseguenza della TV privata, che ha indottrinato gli elettori? Forse. Oggi, però, è innegabile che gli strumenti e i codici della comunicazione hanno subito una loro evoluzione fino a fondersi nelle reti sociali e a vivere di slogan e, se non di informazione pilotata, di disinformazione. Che è assai peggio.

Eppure stiamo vivendo una fase storica senza precedenti. Una rivoluzione incredibile che stenta ad essere capita. Mi permetto, quindi, di dire la mia.

Abbiamo visto cambiare l’Europa, prima con l’abbattimento del muro di Berlino, poi con la riunificazione delle due Germanie, poi con la crisi dell’URSS che ha visto paesi come Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e altre meraviglie della Terra, diventare europee (diciamo anche atlantiste, del resto non esiste una Difesa europea, piaccia o no), poi con l’apertura delle frontiere, lo Schengen, l’Euro, l’Erasmus, il roaming e ora il debito comunitario e il Next Generation Europe, dovremmo cogliere il messaggio che viene dall’evoluzione dell’Europa per capire che ormai non ci si può più dividere in Destra e Sinistra, ma in europeisti e sovranisti.

L’Europa, cioè l’unione di popoli, culture, economie e strategie politiche, è il futuro per cui dovremmo lottare, mentre l’isolamento delle nazioni è, invece, la peggiore delle catastrofi che potremmo augurare ai nostri figli, che sono nati europei.

Mi sembra chiaro che i programmi di sviluppo locali, che ignorano la visione d’insieme, siano fallimentari. Il futuro nasce da una visione d’insieme, nasce dall’unione delle intelligenze, e questo è il maggiore dei patrimoni che abbiamo in Europa: l’intelligenza. Già, non dimentichiamolo mai: non abbiamo materie prime, non siamo i migliori, non siamo incolpevoli dei disastri della storia, ma abbiamo fondamenta che durano millenni in democrazia, diritto, arte, musica, danza, opera, scienza, ricerca, sviluppo, filosofia, critica, letteratura, poesia… e tante altre bellissime realtà che costituiscono il nostro patrimonio culturale. E sebbene la nostra piattaforma comune sia fatta di territori e di gente diversi, abbiamo strutture sociali, per certi versi, simili, dove i diritti alla salute, all’istruzione, alla libertà di credo e di opinione e altro, determinano una parità di diritti che raramente si trova in altre aree del nostro maltrattato pianeta.

Direi che è innegabile che un programma di crescita unitario, con visione a lungo termine, è l’unica idea degna per cui vale la pena di lottare. Un cittadino europeo non è straniero in qualsiasi paese dell’UE si trovi. Se la barriera è la lingua, basta un po’ di studio e si abbatte. Se le differenze culturali sono una barriera, allora sì che si incorre nell’errore più grave della storia: le differenze culturali non sono una barriera, ma un arricchimento perché la cultura si nutre di scambi!

Del resto, quando Marco Polo andò in Cina, e ci andò a piedi, ad ogni passo imparava una parola, ogni giorno scopriva un modo diverso di fare il pane, ogni settimana incontrava tribù e popolazioni diverse, ogni mese imparava a cucinare qualcosa che gli era piaciuto (fino a insegnarci a fare gli spaghetti, che vengono proprio da questi scambi) … Questo è il punto: imparava!

Prendiamo spunto da lui per essere europei e progressisti, poi ragioniamo sempre con questa idea in testa: L’Europa non è estero e, una volta capito che si tratta di una piattaforma comune, capiremo che l’Unione, lo scambio, l’interculturalità e l’integrazione ci rendono migliori di quello che ora siamo. Da tutti i punti di vista.

A noi, e a queste torride elezioni, sta scegliere tra tentare di costruire un mondo migliore o fare marcia indietro, facendoci adescare dai soliti specchi per allodole.

Claudio Fiorentini

 

RITA FULVIA FAZIO: "AMA IL VENTO"

 

ama il vento
ed accorgiti qui
che solo i sogni possono esistere veramente,
perciò in sogno a raggiungerti m’avvio.Rita 

Inviato da smartphone Samsung Galaxy.

 

martedì 26 luglio 2022

ANITA MENEGOZZO: "MA DOVE FINIRANNO...."

 Ma dove finiranno le storielle 

le scuse arrangiaticce 

cercate un po' alla meglio

 tra le parole più sconsiderate

o senza fondamento 

Quelle sciocchezze 

dette a fior a fior di pelle

capaci di leccare le ferite

cosi come le lacrime da un viso

in grado di placare uno spavento

distrarre  da un tormento

per mano ad un bambino o a un moribondo

Ma dove finiranno 

quelle argomentazioni 

 assurde e per lo più raffazzonate 

ragionamenti privi di ogni senso

dettate dall' amore e da nient' altro

 talmente prepotenti 

che neanche le preghiere.

Risalgono  a ripioverci dal tetto

quando verrà il momento 

dovessero servirci basta un gesto 

 

domenica 24 luglio 2022

RAFFAELE PIAZZA LEGGE: "DA UN POEMETTO ALLA LUNA"

 

Adriana Deminicis

 

Da un Poemetto alla Luna

I fiori di Gelsomino

 

Recensione di Raffaele Piazza

 

 

La raccolta di poesie di Adriana Deminicis, insegnante di Monte Vidon Corrado, in provincia di Fermo, che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Maria Rizzi esauriente e ricca di acribia.

Come scrive la prefatrice l’Autrice crea una sorta di romanzo in versi che tocca vette altissime di lirismo e trascina nel suo universo, in apparenza surreale, in realtà quanto mai vicino alla concretezza. Il riferimento Alla luna, l’idillio leopardiano dell’opera I Canti, è inevitabile, tanto più che il poeta di Recanati aveva come tema di fondo il ricordare, ovvero il rimettere nel cuore, per riferirci al significato etimologico del termine.

Leggerezza che si coniuga a icasticità sembra essere la cifra distintiva del poiein e della poetica della Deminicis, connotato fortemente dalla linearità dell’incanto, ad una capacità di stupirsi, di fronte alle cose e alla natura e non manca un riferimento concreto alla quotidianità di componimento in componimento come quando vengono detti la medaglietta del cane Zoe e la caffetteria, che a loro volte divengono simboli della ricerca di un rassicurante profitto domestico.

Tutte ben risolte le composizioni che sono sottese ad una forte dose di magia e malia e sembra che la poetessa raggiunga equilibrio e armonia nel suo approccio alle cose come quando, per esempio, prova un forte senso di amore per le piante, metafora di purezza, qualcosa che scende nel cuore e nell’anima.

Tutto l’ordine del discorso pare essere immerso in una costante riscoperta della bellezza che trova la sua realizzazione in quello che potremmo definire Eden privato dell’io-poetante stesso.

Chiarezza, nitore, luminosità e precisione sembrano connotare questi versi e la raccolta per la sua unitarietà contenutistica, semantica e stilistica potrebbe essere considerata un poemetto.

«…/ Il fiore nasceva come sentimento d’Amore / ogni qualvolta passava un Cuore colmo / d’Amore /…» (La caffetteria) scrive Adriana riscoprendo la rima che per antonomasia appartiene ai giardini eterni, infiniti e salvifici della poesia.

«Aspettavo la guarigione / andavo a cercare nei libri antichi / della memoria che dentro di me conservavo / per far venire alla Luce quel medicamento / antico, naturale, / quando ancora non c’era il caos / della disinformazione /…» (Aspettavo la guarigione): e qui pare essere sottinteso che proprio la pratica della scrittura poetica porta salvezza e guarigione dell’anima e del corpo.

In Una pianta di ulivo vengono decantate le qualità terapeutiche dell’ulivo e dell’olio e l’ulivo stesso diviene animato perché saluta l’io-poetante.

In un’epoca come la nostra di pandemia e guerra, di inquietudine per il destino dell’umanità, è raro incontrare una voce poetica, in questo caso autentica e originale come quella della Deminicis che non rifletta sul dolore e la morte.

C’è qualcosa di virgiliano in questi versi quando l’amore per la natura che si fa poesia anima le pagine.

Un esercizio di conoscenza tout-court intelligente e sensibile per ritrovare sintonia con se stessi e la realtà.

     Raffaele Piazza

 

 

 

Adriana Deminicis, Da un Poemetto alla Luna – I fiori di Gelsomino, pref. Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 120, isbn 978-88-31497-32-9, mianoposta@gmail.com.

 

    

 

    

GIUSY FRISINA "LUNA PERDUTA"

 

LUNA PERDUTA 

Ieri notte ho perso la luna 
Era la Luna piena di Luglio 
In Capricorno congiunta a Plutone 
Non era una luna da fotografare 
Per questo se ne è  andata 
Troppo  severa e austera 
Disperatamente vera 
Consapevole come pochi 
Del mondo che soccombe - 
Del tempo  che scompare - . 
Così  se ne è andata esule 
Perduta nei giorni perduti 
Nascosta nel pozzo dello spirito 
Dove risuona il silenzio abissale 
Sulle tracce di una stella caduta 
E il muto rimpianto di risate 
Tra i gelsomini notturni 
esplosi dai cespugli della memoria 
Di pallide visioni nel giardino 
Che non so come fare 
A disegnare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

sabato 23 luglio 2022

MARCELLA MELLEA LEGGE: "LAMODECA" DI TOMMASO TOMMASI

 

Tommaso Tommasi

 

LAMODECA

Lettere d’amore, Lettere ai genitori,

Racconti, Memorie, Poesie

 

Recensione di Marcella Mellea

 

LAMODECA (Lettere d’amore, Lettere ai genitori, Racconti, Memorie, Poesie), di Tommaso Tommasi  (Guido Miano Editore, Milano, 2022), è un’opera originale e peculiare, poiché l’autore, attraverso forme letterarie diverse – lettere, poesie, pagine di diario, recensioni, articoli di giornale, racconti – esprime il suo caos interiore, il senso di frammentarietà del vivere quotidiano, e tenta di dargli unitarietà e senso. L’opera si potrebbe collocare, come sottolineato da Enzo Concardi nella prefazione, nel filone del Frammentismo, tipico della letteratura italiana dei primi anni del Novecento, che ebbe come espressione caratteristica il frammento, cioè la composizione lirica breve, in versi o in prosa, inconciliabile con ogni forma di letteratura costruita, complessa e oggettiva.

Il titolo dell’opera stessa non è riconducibile a qualcosa di reale e di senso compiuto. “Lamodeca”, il primo termine del titolo, infatti, pur significativa per l’autore, non ha senso linguistico “ufficiale”, potrebbe essere un gioco di parole oppure esprimere le iniziali di più parole messe insieme: a tal proposito, l’autore nulla spiega, ci lascia nel dubbio, sospesi tra speculazioni mentali varie. Molti passaggi del volume – affermazioni, dichiarazioni, descrizioni –, presentano messaggi strani e misteriosi, indecifrabili a volte, che potrebbero essere collocati nella sfera onirica e/o dell’inconscio.

Il libro, suddiviso in cinque capitoli – AGENDA ROSA, AGENDA GRIGIO/VERDE, AGENDA GIALLA, AGENDA BLU, AGENDA VIOLA –, è caratterizzato da autobiografismo ed estreme punte di lirismo. Nell’agenda rosa, l’autore ci rende partecipi di una sua storia d’amore, un amore impossibile, che non potrà mai realizzarsi per gli impedimenti che solo i due protagonisti della storia conoscono. L’autore gioisce alla sola vista della donna amata, al solo sfiorarla o al solo parlarle; è lei l’amore della sua vita, un amore struggente e unico, un amore che non ha futuro e rimarrà per sempre in una dimensione platonica.  Nell’agenda grigio-verde, l’autore ci parla della sua vita militare, della sua esperienza di soldato e, attraverso una serie di lettere inviate ai genitori, ci narra con minuziosità la vita quotidiana in caserma: le uscite, gli incontri, le guardie, i soprusi, i permessi, le sensazioni e le speranze di un giovane soldato. L’agenda gialla ci narra fatti quotidiani, storie di gente comune che popola un mondo ricco di umanità e dolore. Nell’agenda blu sono riportati diversi articoli giornalistici e recensioni su argomenti vari, anche a carattere artistico - culturale. L’agenda viola, l’ultima, ci offre immagini e messaggi indecifrabili e simbolici che emergono dall’inconscio dell’autore e da una dimensione di sogno.

L’opera, nel complesso, è caratterizzata da mescolanza di generi letterari: poesia e prosa, stili e temi vari.  L’autore ci offre stralci di vita, ricordi,  rimpianti, rivisitati con un linguaggio asciutto e scorrevole. Le varie parti dell’opera, pur non collegate tra loro, hanno dei temi comuni, un “fil rouge” che scorre dalla prima all’ultima parte e le tiene legate fra loro: il bisogno d’amore, la sua ricerca spasmodica, il bisogno di essere amati e accettati, la paura e l’angoscia di non essere all’altezza, l’incapacità di realizzare i propri sogni e seguire i propri desideri.  Infatti, nella prima parte, lettere a Silvy, si legge:… «Ti amo come non ho mai amato / ti amo e vivrò per sempre solo per quest’amore puro / per quest’amore che il mondo non capirà mai / e che non so da dove scaturisca…/ Ma so che esiste e che non è del tutto impalpabile: / se vorrai potremo trasformarlo eterno / come eterno è il mare / come eterno è il cielo / come eterno è l’amore. / Amore unico /amore mio per sempre».

Nella seconda parte, lettere ai genitori, si legge: «Carissimi genitori, questa volta vi scrivo da un tavolo di un bar-tabacchi. Devo dirvi delle cose importanti». L’autore registra tutti gli eventi e le esperienze per ricevere approvazione, comprensione e affetto dai suoi genitori. Nella terza parte, i protagonisti delle storie sono alla ricerca di qualcosa: «Quando un’estate di tanti anni fa mi sei apparsa vestita allegramente come una farfalla, avrei voluto abbracciarti per portarti con me nel mondo. Ma non ho avuto il coraggio di fare quel passo in più che avrebbe deciso per noi. Mi avvicinavo a te, ma poi tornavo indietro, poi mi avvicinavo di nuovo, ma mi allontanavo di nuovo. Forse temevo un tuo rifiuto (Vanna)». Nella quarta parte, l’autore ci riporta articoli e lettere inviate alla redazione di vari giornali.

La quinta parte, la più complessa, tra poesia e narrativa, si muove tra sogno e realtà; di particolare fascino è la poesia “POESIA”: «Immaginavo di volare / tra i fiori del cielo / che ridevano in coro / tra i capelli. lontane scintille di stelle / che correvano giocando / e coprivano il mio sognare / ma ricordavo visioni / nell’espressione dei tuoi occhi. / immaginavo di girare / come un’onda di sale marino / ma il potere dell’uomo / non va oltre il cielo / di fantasmi nascosti». Qui il poeta si libra nell’aria, è libero:  è aria,  poi diventa onda, consapevole comunque che l’uomo non può superare i limiti umani e rimarrà sempre in una dimensione terrena: come “Icaro” le sue ali di cera non gli consentiranno di andare oltre il cielo. Questa lirica racchiude il senso profondo di LAMODECA, un’opera tra sogno e realtà, tra lo slancio alla vita,  di chi vuole innalzarsi e volare, e il mondo reale che intrappola nelle sue  ansie, frustrazioni e paure.

Marcella Mellea

 

 

Tommaso Tommasi, Lamodeca, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 96, isbn 978-88-31497-87-9.

 

 

MARIA RIZZI su "hasch Md5" di IACOPO CHIOSTRI

Maria Rizzi su “Hash Md5” di Jacopo Chiostri edito da Il Viandante

 

Ho ricevuto il romanzo Hash Md5 del caro Jacopo Chiostri, referente della bassa Toscana del nostro Circolo Insieme per la Cultura (I.P.la C.) e sono rimasta molto colpita dal suo modo di affrontare il ‘genere’ giallo. Ho posto il termine genere tra virgolette perché sono stanca di veder catalogare la letteratura considerando alcuni testi, in particolare i gialli, i thriller, i noir, come sottospecie. A mio umile avviso si tratta di libri dello stesso valore di quelli storici, esistenzialisti, o di altro tipo, e per scriverli bene occorre particolare abilità, in quanto è necessario curare l’intreccio, far sì che nessun particolare renda banale o poco credibile la storia. Il testo di Jacopo Chiostri si può definire senza ombra di dubbio un giallo poliziesco e, per fortuna, è ambientato in Italia, per l’esattezza a Firenze, città dove l’Autore è nato e vive da sempre. Inoltre ha tutti i canoni del giallo, presenta i crimini e, termina con la soluzione degli stessi, al contrario del noir che lascia al lettore varie possibilità di interpretazione. La novità assoluta del testo credo si possa rilevare nella capacità del Nostro di narrare mettendo in rilievo gli aspetti comici delle situazioni e dei personaggi. Lo Scrittore ha grande padronanza dell’umorismo, della capacità di cogliere gli aspetti divertenti della vita e rende godibilissimo un testo che è strutturato in modo perfetto e con risvolti originali e sociali. Il Commissario Prospero Gennaro, che come spesso accade, è il protagonista di vari romanzi di Chiostri, nel testo in oggetto è reduce da un infarto e terrorizzato all’idea che gli accadimenti nei quali viene coinvolto possano interferire con la sua salute. Ama Maigret e, come il famoso commissario, è stato sposato dieci anni e poi la moglie l’ha lasciato, esasperata dal suo lavoro che non lasciava tra le pareti dell’ufficio. Va detto che Gennaro, antieroe e uomo di grandi valori, sembra dimostrarci che tante cose umane sono patetiche. La segreta fonte dell’umorismo non è la gioia, ma il dolore. Risulta impossibile per i lettori non affezionarsi al protagonista e ai personaggi del distretto, l’ispettore Dell’Amore, esperto in massime, proverbi e fedele al suo cognome nel coltivare amori saltuari e senza senso; l’autista Frangipane, che vede ogni disgrazia come una liberazione da ulteriori ‘rotture di scatole’; il Questore Minghetti, sempre sull’orlo di una terribile crisi di nervi, teso a ricordare al commissario che in passato ‘hanno risolto un omicidio su sei’ e che la sua futura destinazione sarà la Barbagia. L’Autore crea una carrellata di figure irresistibili, che fanno spesso dimenticare la violenza e la stranezza degli omicidi. Lo stesso Gennaro nel susseguirsi convulso degli eventi, a un certo punto afferma d avere la: “sensazione di una congiura, come ci fosse una regia occulta che sceglieva con cura tra i pazzi in circolazione e, fatta la selezione, li indirizzasse uno dopo l’altro nella sua stanza”. In effetti la caratterizzazione di ogni persona risulta talmente accurata che l’intera Opera meriterebbe di essere letta da uno sceneggiatore. Lo stesso Questore in vari estratti esula dal ruolo ed è a dir poco esilarante. Tra coloro che collaborano all’indagine meritano di essere citati Ugo Betti, famoso come menagramo, che evoca il racconto pirandelliano “La patente”, perché non fa nulla per scrollarsi di dosso l’appellativo, anzi gira per il cimitero in cerca di vedove da consolare e corteggiare; e soprattutto Pieroni, fondamentale per la soluzione del caso, affetto da disturbi ossessivo- compulsivi. Il contraltare è un testo di indubbio valore sociologico, che presenta due vittime uccise in modo assurdo e senza apparenti legami. Si tratta di ‘poveri cristi’, infatti il primo, Esposito, aveva l’attitudine a fare l’aeroplano nelle strade sbattendo contro i passanti, il secondo era un uomo sandwich, ovvero uno di quei ragazzi che indossano cartelloni pubblicitari per sbarcare il lunario. Le loro morti sono violente e condite di grottesco e gli investigatori brancolano nel buio e nell’amarezza. Quando in un’Opera “si riesce ad alternare l’umorismo con la malinconia si ha successo, se le stesse storie sono al contempo divertenti e malinconiche, il risultato è meraviglioso” - Francois Truffaut. Gennaro e il suo gruppo di eccentrici poliziotti, seguono il caso con competenza e professionalità e, come accennavo poc’anzi è proprio Pieroni, che nonostante le turbe maniacali che lo spingono a voler un ordine ossessivo, forse addirittura grazie a esse si accorge che l’assassino o gli assassini, si sono firmati, lasciando su entrambi i luoghi dei delitti la sigla che dà il titolo al romanzo: hash Md5. Le sigle non sono complete, ma l’agente spiega che si tratta di un un algoritmo che si usa in genere in informatica per la crittografia. L'hash MD5 è identificativo di uno dei giochi elettronici messi costantemente al bando dalla Polizia postale perché per lo più violenti o a sfondo sessuale, Giochi che rappresentano delle sfide. Il testo dopo questa scoperta vira verso una possibile soluzione, che ovviamente richiede giorni e impegno, ed è scandita dalle minacce del Questore che ventila solo traghetti diretti verso le zone più sperdute della Sardegna. Dal canto suo Gennaro, che “in ospedale aveva imparato che il tempo diluisce i guai”, segue le piste cercando di mantenere la concentrazione. La malinconica ironia del protagonista è affiancata da una pietas, intesa nella declinazione latina come sentimento di amore, compassione e rispetto verso i poveri ragazzi che hanno perso la vita in modo tanto crudele, che lo rende ancora più caro ai lettori. Confesso che il libro, di raro interesse, mi ha ricordato il mistero della Sapienza, ovvero la vicenda rimasta di fatto insoluta, nel corso della quale perse la vita Marta Russo, studentessa dell’Università d Roma. Michael Connolly, scrittore americano, che gli amanti di gialli conoscono senza dubbio, asseriva che “Nei migliori romanzi polizieschi non è importante il modo in cui un detective lavora su un caso, ma il modo in cui un caso funziona su un detective.” Nel testo di Chiostri gli omicidi di Esposito e Querci incidono su Gennaro in modo determinante. Lo spingono a superare i timori legittimi sulla salute e gli restituiscono vigore.

La cifra stilistica dell’Opera è ottima. L’Autore è dotato di nerbo narrativo superbo e si muove tra le varie situazioni con padronanza straordinaria. Ho parlato di sceneggiatore perché in questo libro la curiosità di noi lettori sorge sin dalle prime - critiche -cinque pagine. La suspense introdotta nelle primissime righe del giallo, che viene definita hook, uncino, ci avvinghia e ci rende felicemente schiavi.

 

Maria Rizzi

 

  

 

 

 

 

domenica 17 luglio 2022

CINZIA BALDAZZI: "DIMA BOOK FESTIVAL"

 Caro Nazario, buonasera. Come stai?

Questa volta vorrei proporre, per il tuo blog, un progetto di cui ho assunto la direzione editoriale. Si tratta del Dima Book Festival, evento di promozione libraria che si terrà dal 1° ottobre al 20 novembre 2022, a Roma, presso il Centro Commerciale Dima Shopping Bufalotta (via della Bufalotta, 548).

Per la durata di 50 giorni continuativi, dalle 10.00 alle 20.00, Autori ed Editori potranno esporre, presentare, promuovere e vendere i loro libri di poesia e prosa all’interno di un grande spazio nella sala centrale della struttura. Il continuo afflusso di visitatori nel centro commerciale, soprattutto nel periodo autunnale, garantirà ampia visibilità all’iniziativa e costituirà una preziosa opportunità per far circolare e conoscere le opere. 

Nei fine settimana, secondo un calendario prestabilito, oltre ad eventi in campo culturale e artistico, saranno riservati a ciascun Autore e Autrice dei momenti specifici in cui presentare le proprie opere. È prevista la pubblicazione di un catalogo contenente, per ogni partecipante, schede bio-bibliografiche, fotografie e un breve commento critico.

Se pensi che l’iniziativa del Dima Book Festival possa essere di interesse anche per i frequentatori del blog, riporto in allegato il testo integrale del regolamento e la scheda di partecipazione per gli Autori.

Grazie, come sempre, della tua attenzione.

Cinzia Baldazzi

 

 

 

REGOLAMENTO DIMA BOOK FESTIVAL

 

L’Associazione “Officine Culturali Romane”, la “Galleria Arte Sempione”, la “Collana Editoriale Orofino”, il gruppo culturale Facebook “Segnalazioni Letterarie” organizzano “DIMA BOOK FESTIVAL”, evento di promozione libraria pensato appositamente per Autori e Case Editrici.

Dal 1° ottobre al 20 Novembre 2022 a Roma, presso il Centro Commerciale Dima Shopping Bufalotta (Via della Bufalotta n. 548), sarà allestito un ampio spazio espositivo di 500 mq, situato nella parte centrale della struttura, dove gli Autori e le Case Editrici avranno modo di promuovere e vendere i rispettivi libri.

Per una durata complessiva di 50 giorni continuativi, dalle ore 10 alle ore 20, un numero selezionato di Autori e Case Editrici, provenienti da tutta Italia, potranno beneficiare di un’importante vetrina per far conoscere le proprie opere alle migliaia di clienti che quotidianamente visiteranno il Centro Commerciale.

Ferma restando la possibilità di ogni Autore e Casa Editrice ad essere presenti in ciascun giorno, la vendita dei libri sarà gestita da specifico personale qualificato.

L’esposizione e la vendita dei libri sarà affiancata, nei diversi fine settimana, da una serie di eventi culturali legati al mondo editoriale e artistico, i quali troveranno risalto mediante il coinvolgimento di alcune testate giornalistiche nazionali, reti televisive locali, note trasmissioni radiofoniche e personaggi del mondo letterario e dello spettacolo. Secondo un calendario prestabilito, saranno riservati a ciascun Autore e a ciascuna Casa Editrice, presenti al Centro Commerciale, anche dei momenti in cui presentare le proprie opere, la cui visibilità sarà amplificata da alcuni canali media e social. Inoltre, per chi volesse, saranno presenti delle attività culturali pensate per i più piccoli come ad esempio dei corsi di disegno o momenti di lettura. Al termine della Manifestazione verrà realizzato un catalogo di tutti gli Autori.

È prevista la presenza fissa di Associazioni no profit alle quali gli Organizzatori devolveranno parte del ricavato al termine della Manifestazione.  

 

PER PARTECIPARE

AUTORE: Costo di iscrizione 250,00 euro.

CASA EDITRICE: Costo di iscrizione 900,00 euro.

 

Per confermare la propria disponibilità a partecipare scrivere entro il 5 Settembre 2022 all’indirizzo dimabookfestival2022@gmail.com allegando copia del bonifico (IBAN IT07W0306905259100000001287, intestato a Officine Culturali Romane; CAUSALE: partecipazione Dima Book Festival), insieme ad una breve sinossi del libro (per gli Autori), l’apposita scheda di partecipazione e una breve presentazione della propria attività editoriale (per le Case Editrici).

Ogni Autore potrà presentare un libro recapitando agli Organizzatori da un minimo di 10 ad un massimo di 20 copie, secondo le modalità che verranno comunicate una volta perfezionata l’adesione. In caso di esaurimento delle copie, gli Autori potranno inviarne altre. Quelle invendute verranno restituite al termine dell’evento agli Autori presenti o, in alternativa, spedite con costo a carico del destinatario.

Ogni Casa Editrice avrà facoltà di portare fino ad un massimo di 20 titoli che potranno così gestire:

10 titoli i primi 25 giorni (dal 1° al 25 ottobre)

10 titoli gli ultimi 25 giorni (dal 26 ottobre al 20 novembre).

In caso di esaurimento delle copie, le Case Editrici potranno inviarne altre. Le copie invendute saranno restituite alle Case Editrici presenti all’evento o, in alternativa, spedite con costo a carico del destinatario.

A conclusione della Manifestazione sarà cura degli Organizzatori bonificare a ciascun Autore e a ciascuna Casa Editrice il ricavato dalla vendita dei loro libri.

Nel caso di rinuncia alla partecipazione non sarà previsto alcun rimborso.

 

MARIA RIZZI: "IL TEOREMA DELLA SPADA" DI LUCIO SANDON, BASTOGI EDITORE

Maria Rizzi su “Il teorema della spada” di Lucio Sandon - Jacopo Bertoni Editore

 

Ho ricevuto in dono dall’amico Lucio Sandon, nato a Padova e trasferitosi a Portici, in provincia di Napoli da ragazzo, il romanzo “Il teorema della spada” - Bertoni Editore - e, pur scrivendo gialli sociologici, sono rimasta molto colpita dalla capacità del Nostro di concepire un thriller che comprendesse tanti generi letterari e tanti personaggi diversissimi tra loro. Innanzitutto va detto che l’Opera ha una solida base storica ed ero consapevole che l’Autore fosse ferrato in questa materia. Eppure la lunga vicenda di Annibale Barca risulta nuova pur narrando di tempi immemorabili. Il passato sembra rinascere con essa. Le lunghe vicissitudini del condottiero cartaginese e delle guerre contro i romani si legano incredibilmente a quelle del suo trisavolo, lo sprovveduto Angelo Aquilani, viceispettore del  servizio informatico del Corpo di Polizia Penitenziaria del carcere di Poggioreale. Quest’ultimo potrebbe meritare l’appellativo di protagonista, in quanto riveste il ruolo di filo conduttore ed è l’io narrante del libro. Il voluminoso testo  ha un corpo unico e ben strutturato, anche se il racconto salta da Cartagine a Napoli; al villaggio di Maricaq, in Afghanistan, dove il figlio del viceispettore, Paolo,  è medico della Croce Rossa; al Molise, terra natia di Angelo, a Pula nella Sardegna meridionale, in provincia di Cagliari. Le tematiche affrontate da Lucio Sandon in quest’Opera sono numerose e affascinanti. Si dimentica di seguire la trama di un noir e si viaggia su registri seduttivi: l’esoterismo, la realtà del Servizio Sanitario italiano, tra i più organizzati del mondo, eppure esposto al rischio di attentati, l’umorismo, steso spesso come velo sulle tragedie, i flash back del passato recente che si collegano a quelli dei tempi remoti, gli incontri imprevisti e balsamici, la poesia. Lo stesso Autore che, con tragica attualità, scrive: “L’Italia è uno dei primi paesi produttori di armi: la classifica mondiale la vede al nono posto per quantità di armi da esportare. Quasi il tre per cento delle armi di tutto il mondo”, ci delizia tramite immagini di empatia con madre - natura : “Le acque del Volturno appena nato sono limpide e purissime, si lanciano in salti, spume, gorghi, spruzzi, si frangono in rivoli e pulviscoli iridescenti al sole e formano arcobaleni nel cielo”. Si può dire che laddove il Narratore non ricorre all’autobiografia – in questo caso solo nella scelta di alcuni luoghi - due qualità essenziali formano la struttura del romanzo: l’una è insita nello Scrittore e nella sua libertà, l’altra nel mondo e nella sua necessità. La prima può definirsi autarchia, la seconda universalità. E in questo senso il romanzo diviene il cosmo di Dio. Nel caso de “Il teorema della spada” si può asserire che dimostra quanto siamo tutti collegati, in ogni epoca, apparteniamo alla stessa storia che cerchiamo di raccontare dall’alba dei tempi, perché sappiamo che quel racconto è l’unica strada per evolverci. Angelo Aquilani è collegato ai secoli precedenti, strumento del presente, eletto a salvatore del figlio e degli amici. Il poderoso nerbo narrativo di Sandon lo proietta in accadimenti lontani anni - luce dalla sua indole tranquilla e lo rende un anti eroe che conquista i lettori. Per quanto riguarda l’elemento che, con approssimazione, ho definito esoterismo, si lega perfettamente a una vicenda che vede le origini ai tempi delle guerre puniche e della dea della Luna, Tanit, autentica co-protagonista dell’Opera. L’esoterismo nasce dall’assoluta conoscenza di chi ha osato per primo affrontare il peso della sapienza trafugandola agli antichi dei. L’uomo nell’antichità tradusse in conoscenza ciò che aveva captato dall’esterno. Durante la ricerca della ragione della propria esistenza il suo discernimento si volse verso l’imponderabile, perché non poteva esistere soltanto il nulla. Ogni percorso portava l’essere umano verso ricordi antecedenti: gli archetipi, che si manifestano sotto forma d simboli. Tali simboli avevano un’importanza fondamentale e la loro energia veniva impiegata come legame con il tutto. Da ciò si deduce che l’esoterismo non può essere confuso con l’occultismo e men che meno con lo spiritismo, in quanto è scaturito dalla parte più profonda dell’uomo. Ogni interrogativo trovò un riscontro con l’inizio dei culti sacrali e delle varie manifestazioni misteriche. Nel romanzo di Sandon il simbolo è una spada tempestata di pietra preziose, della quale il viceispettore entra in possesso casualmente e che sembra poter determinare la catena di eventi che si trova ad affrontare. Come in ogni thriller non mancano le vittime, ma l’Autore non ama spargere sangue e destare orrore gratuito. Sembra che il suo primo scopo sia la restaurazione dell’ordine. Con una trama così complessa non è facile, eppure dopo aver letto il volume occorre riconoscergli che lo svolgersi della sua storia consiste nell’imbattersi di continuo in fenomeni visibili la cui spiegazione è nascosta e, riflettendoci, questa è l’essenza di ogni filosofia. Per dirla con Robert Mckee “Un thriller scritto bene non rappresenta una fuga dalla realtà, ma un veicolo che ci conduce alla ricerca della realtà. Si potrebbe definire il massimo sforzo per dare un significato all’anarchia dell’esistenza”. Nel libro di Sandon si ha la sensazione di trovarsi d fronte a una babilonia narrativa, visti i salti pindarici da un’epoca all’altra e il cambio dei personaggi, ma l’arte dello Scrittore si rivela nella straordinaria capacità di tirare i fili delle situazioni , riconducendole a un’unica imprevedibile causa, a una sola verosimile volontà. L’Autore, che ormai ha patria interiore partenopea, non poteva esimersi dal coinvolgere una rappresentanza della camorra, capitanata da Ronciofellone a anche l’umorismo, che talvolta sembra inconsapevole, è di chiara matrice napoletana. Egli riesce a rendere le situazioni nel contempo divertenti e malinconiche, facendo sì che i personaggi riescano nelle tragedie a realizzare una forma di distacco di fronte a se stessi e e agli eventi che si trovano ad affrontare. Riguardo alla lunga parte storica che introduce il romanzo e pone le basi per le vicende che si susseguono senza dar fiato ai lettori, credo vadano messi in rilievo gli studi, la professionalità e la dolcezza con i quali Sandon narra la storia del temibile Annibale Barca, del fratello Mengone e dei vari guerrieri, intervallandola con il diario di Amilcare, figlio del comandante cartaginese, un bimbo come tanti, che ‘crede che il papà sia un po’ matto’ L’epilogo del lungo, interessante preludio ci porta a conoscenza della temuta dea Tanit e degli elefanti, tanto importanti per l’esercito africano, che al termine del romanzo ritroviamo nelle vesti di Dumbo, un asino robusto e mansueto, che dovrebbe farsi carico di reperti antichi molto pesanti. Da grande narratore l’Autore compie un’operazione altamente originale e creativa: mette in scena. E dimostra che i libri come i suoi non si prefissano di narrare una sola storia, piuttosto un’espansione della vita, specchio di ogni esistenza precedente… Nel trhriller di Lucio Sandon il caso non riveste alcun ruolo, e se qualcosa o qualcuno ha l’aspetto del caso diviene destino e concatenazione. Per concludere chiamo in aiuto Haruki Murakami e il suo “Kafka sulla spiaggia”, nel quale diceva: “Quando la tempesta finisce non sai come hai fatto ad attraversarla. Anzi, non sei neanche sicuro che sia finta per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato”.

 

Maria Rizzi  

 




venerdì 15 luglio 2022

giovedì 14 luglio 2022

PIETRO RAINERO: "L'INCONTRO CON COSIMO" RACCONTO

 

                          L'INCONTRO CON COSIMO

 

“Che meraviglia!” pensò Piero.

Che meraviglia, davvero, quel passaggio segreto che dalla Stanza della Geografia di Palazzo Vecchio avrebbe permesso a lui, ed ai suoi cari, di incunearsi, tra scale ripidissime e discese ardite, in stretti cunicoli che, a guisa di un labirinto, li avrebbero condotti fino alla stanza nascosta di Cosimo I, il famoso capo della Firenze rinascimentale, vissuto dal 1519 al 1574, secondo duca di Firenze e poi primo granduca di Toscana. 

E Piero, seguendo la guida che gli aveva svelato, ed aperto, la porta celata nella cartina geografica dipinta sulla parete di legno, Piero, dicevo, con al seguito la moglie Isidora e la figlia Sara camminò ubbidiente dietro l'inserviente che li conduceva, lentamente, verso la stanza dove Cosimo I li attendeva senza fretta, scribacchiando qualche segno, con una penna d'oca, su di un vecchio taccuino.

Già, perché dovete sapere che, nel corso delle visite a Palazzo Vecchio, viene proposta ai turisti la possibilità di in incontro, faccia a faccia, con sua Grazia Cosimo I, e, in quel giorno dell'anno di grazia 2006, a Piero era capitata la grazia di non essere accompagnato da altre persone nel gruppo che, in quella fascia oraria, si sarebbe avvicinato al duca.

Insomma, tutto il gruppo era costituito da tre persone: lui, sua moglie e sua figlia.

Che fortuna insperata!

Avrebbe potuto, per una mezz'oretta o giù di lì, dialogare col personaggio a capo della Firenze dell'inizio dell'età moderna.

Quando la famigliola arrivò, scortata dalla solerte guida, nella camera del granduca, quest'ultimo dava a loro le spalle e continuò, incurante dell'arrivo  di qualche persona e ben conscio della sua importanza, e forse proprio per questo, a scrivere svogliatamente sul suo taccuino.

La guida salutò Piero ed i suoi, raccomandando loro di rivolgersi sempre all'interlocutore con il dovuto rispetto, iniziando sempre le frasi almeno con un “Sua Signoria” o “Eccellentissimo” od ancora “Magnifico”, e via dicendo.

Indi (è meglio usare indi piuttosto che poi o quindi, è un vocabolo più antico e perciò più adatto alla nostra storia) si accomiatò.

Finalmente Cosimo si degnò di girarsi ad osservare i nuovi venuti, sorpreso dall'esiguità del loro numero.

Poi, o indi se preferite, disse solo “Buongiorno”.

“Buongiorno, Altezza” rispose la famiglia all'unisono.

“Quali sono i vostri nomi?”    

“Illustrissimo, io mi chiamo Pietro, questa è mia moglie Isidora e questa nostra figlia Sara”

“Messer Pietro, Le do il benvenuto nel Granducato di Toscana, e nella mia modesta abitazione.

Lo estendo anche a Madonna Isidora, che bel nome, è una duchessa? Ed anche alla giovane Sara, altro nome di una antica principessa”

“No, siamo di non elevato lignaggio, Don Cosimo. Mia moglie non è nemmeno baronessa”

“Donde provenite?”                            

“Veniamo da Nord, da un luogo vicino ad Alessandria”

“Sì, conosco quella città: nacque nella seconda metà del dodicesimo secolo con il toponimo di Civitas Nova su un nucleo urbano già esistente.  Fu fondata ufficialmente nel 1168 e in quell'anno assunse il nome attuale in onore di Papa Alessandro III”

-Già – pensò Piero, colpito dalla cultura del duca, – Alessandria è stata fondata ai tempi di Federico Barbarossa-  

“La nostra città è situata a circa 20 miglia da Alessandria, a metà strada tra Asti e Genova, Vostra Altezza”  

“Ah! Capisco, capisco. E come mai Vostra figlia è vestita in una maniera così strana, con quelle braghette?”

-Oh, sì- pensò Piero- ai tempi della Firenze del finir del  medioevo le donne, vecchie o giovani, indossavano lunghe gonne, non certo un paio di jeans-.

Alla situazione rimediò con prontezza la moglie: “Eccellentissimo, è un nuovo tipo di tessuto, molto resistente, che proviene da Genova, e l'adorata mia figlia lo ha voluto provare.

E' in gran voga nei territori del Nord Italia, contee o ducati che siano”

“Ma, messer Pietro!”  disse un Cosimo visibilmente sorpreso “Voi permettete a Vostra moglie di prendere la parola per rispondere ad un estraneo senza chiedervi prima il permesso?!”

“Scusatela, Magnanimo, Vi prego!

Certamente causa di questo comportamento non usuale è stata l'emozione provata nell'essere alla Vostra presenza.

Ve l'ho già detto e Ve lo ripeto: mia moglie non ha l'abitudine di trovarsi a cospetto con duchi, principi o granduchi, ella non è neanche baronessa!

Inoltre è difficile per Lei restare a labbra conserte.

Per lavoro si occupa infatti di perorare di fronte a vari Tribunali le cause di poveri diavoli che passano guai con la Giustizia o litigano con vicini o parenti: è un avvocato”

“Un avvocato donna?? Cosa devono sentire le mie orecchie!!

Che strane cose succedono nei marchesati e nelle contee del Nord!

Un avvocato donna....incredibile. 

Dovrebbe ben occuparsi, invece, di cuocere le galline per far del buon brodo per le Vostre cene, caro messer Pietro. Insomma, dovrebbe essere tutta intenta alle faccende domestiche, che diamine!”

“Forse avete ragione.......anzi avete senz'altro ragione, Duca”

“E la Vostra figliola, quanti anni conta?”  

“Oh, Magnifico, è una buona figlia.

Ha dieci anni, ma nonostante la giovin età ha molto viaggiato, visitando paesi stranieri: per esempio è stata ad Augusta, in Alemagna, e persin più in là, nella lontana Danimarca”

“Perbacco, una vera viaggiatrice. Ma come se la cava con le faccende della casa?”

“Le piace moltissimo cucinar dolci, è una brava studentessa e suona volentieri il pianoforte ed il violino”                

“Non li ho mai sentiti, immagino siano strumenti musicali delle vostre parti”

“Sì, Grandezza” rispose sorridendo Piero “sono strumenti molto in auge nel nostro Marchesato del Monferrato. Comunque il violino è una specie di viola da braccio, un'evoluzione di uno strumento ad arco che forse qui a Firenze chiamate Soprano” ed il suo pensiero si involò verso la ghironda, della quale, in tutta la sua provincia, conosceva solo due interpreti. 

Ma queste idee rimanevano tuttavia sullo sfondo, perché egli desiderava tanto, temendo però un rifiuto, una fotografia col famoso granduca e, non sapendo come formulare la richiesta, la sua mente era occupata a meditar sul da farsi.  

 “Quante cose imparo oggi. E, mi dica, alla sua giovane figlia piace cucire e rammendare?”    “Certo, Eccelso, oltre che cucinar dolci e torte adora anche filo, ago e ditale”

“Bene, bene, bene. Questo è molto importante. Dopotutto, tra tre stagioni entrerà nel tredicesimo anno  della sua età, una età nella quale le fanciulle devono pur pensar a maritarsi ed a metter su famiglia!”  

Quanto appena detto dall'esimio duca fece riflettere Piero; le fanciulle del  '500 non si godevano certo la loro spensierata giovinezza, costrette a metter su casa così presto!

Ma ormai l'incontro con quel bravo attore, bardato di tutto punto con quegli sgargianti abiti medioevali, stava volgendo al termine, e doveva assolutamente essere immortalato in una fotografia! 

“Vostra Altezza ” si fece coraggio il nostro “oso indegnamente chiedervi un grande favore: anelo tanto a portar meco il ricordo di questo incontro, che molto mi ha onorato”

“Ma, messer Pietro, capite pur bene che non posso aspettar qua, accanto a Voi, che uno dei pittori della mia corte, e vi assicuro che sono numerosi ed anche assai abili, finisca pazientemente di fissare la mia immagine, e la Vostra, su di un pezzo di tela”

“Comprendo benissimo, Eccellenza, ma vede.... è recente una invenzione, vien dalla Francia, che consiste in questa piccola scatola” 

Piero mostrò allora ad un Cosimo interessato e divertito il contenitore della propria macchina fotografica.

“Questa scatola è come uno dei Vostri valenti artisti; è infatti in grado di dipingere un quadro, ma tutto in un colpo solo.

In un attimo, è quasi incredibile, esegue un ritratto. In pochi istanti, lo giuro, Vostra Grazia!”

“Uhmmm...” Cosimo soppesò per pochi secondi la scelta delle parole della sua risposta, per dire poi: “Di solito non permetto mai alla gente di ritrarmi, caro messere, ma Voi mi siete simpatico e la Vostra nuova invenzione, lo confesso, mi incuriosisce assai. In via eccezionale acconsento a farmi ritrarre in Vostra compagnia” 

Allora messer Pietro, consegnata a Madonna Isidora la piccola scatola, si posizionò vicino all'illustre personaggio storico e, pochi istanti dopo, proprio Isidora scattò (o dipinse velocemente, come preferite) l'immagine che fece entrare l'incontro nella memoria della Storia.  

Alcuni attimi dopo ancora, la guida ritornò nella stanza per riaccompagnare il gruppo, cioè la felice famigliola, all'uscita, tra un dedalo di scale, muri, feritoie e muraglioni vari.

Piero, uscendo da una porta laterale di Palazzo Vecchio, si voltò indietro per dare un'ultima occhiata al famoso edificio, grato a Firenze per avergli permesso quella favolosa passeggiata in pieno millecinquecento!