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Lino D'Amico |
Sussurri
di emozioni
Credo sia opportuno riportare alcuni miei scritti
sulla poesia di Lino D’Amico:
Questa la mia Prefazione al testo:
“Poesia con valenza eponima di forte impatto emotivo-vicissitudinale. Gli abbrivi intimi si
affidano ad una metaforicità di urgente respiro; ad uno stilema folto di
immagini ricche di impatti memoriali, dove il tempo fugge senza rispetto per il
sacrosanto patrimonio del nostro essere. La vita c’è tutta con il suo bagaglio
ontologico, coi suoi quesiti esistenziali, in un raffronto vicissitudinale che
inquieta e dà segno della fragilità dell’esser-ci. “Dilemmi confusi smarriti
nell’attimo… brusii di fluttuanti memorie… profughe eco… dissolversi di un
respiro… correre di passi…”. Tutto è precario, tutto è fragile in questa significanza
di larga intrusione epigrammatica che coinvolge a livello umano, contemplativo
ed escatologico. D’altronde l’uomo ha sempre sofferto di fronte al pensiero del
tutto o del nulla; del dopo o del prima; di fronte al pensiero dell’oggi e
dell’ieri. Tanti momenti che delineano le problematiche del fatto di esistere:
a quale destino il patrimonio della nostra terrenità? a quale isola quello che
resterà di un viaggio fatto di tappe a volte piacevoli, a volte in ripida
salita, a volte fra pensieri, tormenti e riflessioni su ciò che siamo, siamo
stati e saremo. Cerchiamo con tutto il nostro pathos di ripescare momenti o
figure, incontri o sottrazioni; di tenerli con noi con tutte le energie
possibili. Ma la clessidra scorre improrogabilmente con una fretta tale che le
memorie stesse si assottigliano, sfuocano o si dissolvono come foglie
d’autunno:
Svaporano
nell’oblio briciole di ricordi,
mormorii ed
allegorie di sogni,
silenzi di
emozioni vissute
tra
fatui sospiri e speranze sopite,
eteree, come
sublime immanenza
di una
struggente melodia
E mentre noi
passiamo impigliati nella rete della vita, quello che ci attende è un vuoto che
svanisce dove gli sprazzi di luce si arrendono alle ombre: “tra pigre
apparenti empatie,/ in un viaggio vissuto, forse senza partire”.
Ed è già ieri”
Nazario Pardini
Ed è già ieri
Dilemmi confusi smarriti nell’attimo,
dileguano brusii di fluttuanti memorie,
vestono brandelli di profughe eco
nel lento dissolversi di un respiro
che scolora baluginii di sensazioni,
mute compagne del correre di passi.
Svaporano nell’oblio briciole di ricordi,
mormorii ed allegorie di sogni,
silenzi di emozioni vissute
tra fatui sospiri e speranze sopite,
eteree, come sublime immanenza
di una struggente melodia.
Come refolo che circuisce il nulla
nella illusoria clessidra dei miraggi,
il tempo rincorre un vuoto che svanisce,
cede alle ombre balenii di luce,
tra pigre apparenti empatie,
in un viaggio vissuto, forse senza partire.
Ed è già ieri.
Un libro ben fatto, editato con amore e
professionalità, questo nuovo di Lino D’Amico. Tante poesie che in gran parte
hanno trovato ospitalità sul blog Alla
volta di Lèucade e che con estrema
duttilità esprimono tutto l’amore dell’autore per questa antica arte. Ma c’è
qualcosa di nuovo, e non è poco, e sta nella corrispondenza fra immagini
fotografiche e canti; il tutto in un ensemble di grande effetto cromatico-allusivo;
coinvolgente e avvolgente: scatti di per sé emblematici e significativi: figure
umane, panorami, squarci autunnali, sentieri montani, brumosi castelli, anziani dormienti, cime rosa
in vertigini azzurre, spazi di grani
mietuti, di cipressi accoccolati…. Tante immagini che danno forza e
concretezza ai vari momenti lirici del nostro D’Amico, alcuni dei quali, riportati
su questo testo dal titolo Sussurri di
emozioni, ho avuto occasione di commentare e recensire. Mi piace ricorrere
ad alcuni miei scritti, che a suo tempo avevo stilati, per mettere in evidenza
la saudade, e quel substrato di malinconia che fa bene al canto; quella
semplicità espositiva che lo rende fruibile: naturalmente semplicità nel senso
positivo del termine; quella a cui si perviene dopo anni di maturazione;
quando, appunto, ci si incontra con noi stessi in un afflato di spontanea
liricità che non ha alcun bisogno di rocamboleschi rigiri di parole ma solo della chiara oggettivazione
di quello che siamo e di quello che fummo.
Questo scrissi a proposito della poesia Antiche
pietre:
“Poesia di
forte intensità umana; di ontologica vicenda esistenziale; qui si va oltre il
terreno, oltre gli spazi ristretti del soggiorno; si volge lo sguardo a pietre
antiche che hanno sepolto memorie, volti, sogni, civiltà: “antiche pietre
vegliano/ profughe memorie”; memorie in fuga verso orizzonti indefiniti. Tutto
è silenzio. Il tempo ha chiuso la sua porta a fantasie, sentimenti, voli e
svoli. Restano di un’intera vita delle piccole fiammelle come fuochi fatui; un
crepuscolo che tanto sa di ultimazione, di redde rationem, di sottrazione. Ogni
tratto del percorso si fa simbolo della brevità del giorno, della fugacità
dell’ora, dello svanire del tutto, di una vita di passioni e di memorie.
Onirici allunghi; pietre testimoni di un esistere di amori perduti, gioiose
nostalgie, furtive carezze, perdoni negati, abbracci affettuosi, sprazzi di
luce, nuvole al vento, sciami di aromi, ombre di cieli vuoti. Una sottile
melanconia pervade l’intera pièce dandole compattezza e organicità. Dire che il
memoriale e il mistero siano parte integrante delle vita del poeta è come
rimandare il nostro ricordo a “Le Génie du Christianisme di Francois-René de
Chateaubriand” che afferma: “Tutto è nascosto, tutto è ignoto nell’universo. Lo
stesso uomo non è forse uno strano mistero? Da dove parte il lampo che
noi chiamiamo esistenza e in quale notte si spegne?”. La versificazione scorre
con armonia e varietà metrica affidandosi ad effetti contrattivi ed estensivi
per concretizzare il pathos del poeta; e sono le misure accessorie (in
prevalenza settenari) a rafforzare la funzione sonora e visiva degli
endecasillabi; della loro musicalità in una poesia che dice dell’uomo, della
sua storia, del suoi odeporici intenti, del suo essere tassello di un perpetuo
foscoliano storicismo”.
Nell’etereo e
silenzioso oblio,
sudario di
riposo
per la quiete
dei giusti,
antiche
pietre vegliano
profughe
memorie.
In quel
ricetto, ogni fruscio è silenzio,
senza spazio,
senza tempo,
svapora tra
fugaci sensazioni,
antichi
ascolti di echi latenti,
chimere di un
fugace passato.
Aleggiano
impulsi di amori perduti,
gioiose
nostalgie, furtive carezze,
perdoni
negati, abbracci affettuosi,
sprazzi di
luce, nuvole al vento.
sciami di
aromi, ombre di cieli vuoti.
E nel tenue
calar del crepuscolo,
fioche fiammelle
sembrano danzare,
nel vuoto di
mille ombre,
che dalle
antiche pietre,
sussurrano a
chi sa ascoltare.
E
quello che segue per commentare altre poesie postate sull’isola di Lèucade:
“Poesia
spontanea, che, avvolta da un alone di semplicità, e da intenti di urgente
comunicazione, si distende su uno spartito di plurima significanza. Di forte
allusione alla caducità della vita. Non mancano guizzi di
metaforicità a fare da scavo ai quesiti del nostro esistere; a volgere sguardi
verso panorami privi di silenzi sciapi. Ed è così che i sogni, le illusioni, le
delusioni, le rievocazioni, il patema del tempus fugit, e il senso del mistero
che ci avvolge si sciolgono in inquietudini esistenziali di generoso impatto
emotivo. Di un impatto in cui i palpiti di un alitar di brezza, la
notte, i diafani petali di luna, il brivido dell’autunno, e il ricordo
dell’ultimo sole d’estate si traducono in visive concretizzazioni
di sapidità umana. In un malinconico silenzio che, scorrendo nel
sottofondo delle poesie, coniuga speranze smarrite a melodie che hanno
sfumature d’infinito. E anche se nel correre delle stagioni riaffiorano sogni
ed emozioni di antiche primavere, “il giorno evapora nel nulla/…/ oltre il
sussurro di un volo di ricordi”.
Nazario Pardini